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I Cramps, la storia di una band di culto nata in autostop

I Cramps

Nell’iconografia di tanto cinema americano gli autostoppisti fanno sempre una brutta fine. E invece, nell’estate del 1972, proprio da un passaggio nasce il mito dei Cramps. Un mito tornato d’attualità grazie a Tim Burton e alla serie Mercoledì.

I Cramps, a quel tempo, non esistono nemmeno nella fertile mente di Erick Purkisher, cantante dell’Ohio che cerca fortuna in California, a Sacramento. Quel giorno d’estate, Erick se ne va a zonzo con un amico su una vecchia decappottabile così, senza una meta. Il ragazzo ha ventisei anni, è cresciuto col sano rock’n’roll delle origini e va pazzo per il glam dei T-Rex.

Attenzione però a scambiare Erick per un ragazzo americano tutto football, rock’n’roll e colazione dei campioni. Erick coltiva ben altre passioni: quella per il grand guignol di Alice Cooper, ma soprattutto quella per il cinema di serie B, il trash da drive-in che negli stessi anni fa sognare Tarantino e Lansdale.

Narra la leggenda che Erick e il suo amico stiano ascoltando alla radio Sally Weedy Waddy Woody Wally di Hasil Adkins, sghembo cantante di rockabilly, quando a bordo strada si materializza una visione da sogno. Una ragazza sinuosa come Cat-Woman (il paragone con il personaggio di Batman, vedrete, non è peregrino) cammina sul ciglio della highway.

È vestita come un personaggio dei pulp B-Movie di Russ Meyer e sta facendo l’autostop. Erick la carica: da allora non si lasceranno più. La loro sarà una bellissima storia d’amore, ma anche la scintilla dell’avventura musicale dei Cramps.

Kristy Wallace, così si chiama la vamp, non ha ancora vent’anni ed è cresciuta con due sacre ossessioni. La prima è per la musica, ampiamente praticata in famiglia e favorita dallo smodato ascolto dei riff di Chuck Berry; la seconda è per il sesso, che in quel momento governa tutte le sue pulsioni e la fa essere costantemente – parole sue – sconvolta.

Dopo un incipit che pare preso da uno di quei filmacci per cui i due vanno pazzi, non può che scoccare l’amore. Erick e Kristy flirtano e decidono che prima o poi si rivedranno. L’occasione, guarda il destino, arriva subito dopo. I ragazzi non lo sanno, ma si sono iscritti allo stesso corso e anche questo pare fatto apposta per loro: Arte e Sciamanismo al Sacramento City College.

I due si mettono insieme, com’era inevitabile, e decidono di fondare una band. Oltre all’immaginario e all’estetica gotica, la parte musicale è piuttosto aleatoria. Erick ha qualche esperienza non proprio proficua con gli Aristocrats, band del fratello minore; Kristy è una grezza chitarrista di rock’n’roll, influenzata da Hendrix più che altro – è ancora lei a dirlo – sul versante sessuale.

Intanto, i due mettono a punto degli alter ego in puro stile B-Movie. Erick diventa Lux Interior, prendendo spunto dalla reclame di un’auto; Kristy è Poison Ivy Rorschach, mischiando il personaggio di Batman e l’inventore del test psicologico. A Sacramento, però, li notano solo per l’abbigliamento eccentrico e per qualche guaio con la legge.

Saranno proprio i dissapori con le forze dell’ordine a farli emigrare prima ad Akron e poi a New York, dove si inizia a favoleggiare della nascente scena punk.

Ad Akron, pure se immersa nella profonda provincia, per qualche anno ribolle una scena punk non indifferente. Erick e Kristy, intanto, vanno mettendo a punto la loro personale ricetta musicale. Gli ingredienti sono l’immagine gotica e punk, l’attrazione per tutto ciò che è freak e per spettacoli live estremi; musicalmente, la loro è quasi una visione ucronica degli anni ’50, dove a trionfare non sono i ciuffi impomatati e rassicuranti alla Elvis, ma personaggi ben più inquietanti.

I giubbotti di pelle e il surf di Link Wray, tanti gruppi strumentali che non hanno sfondato come Phantom, Busters e tanti altri. E, soprattutto, il nume tutelare Hasil Adkins, sorta di cugino bifolco di Elvis, e Billy Lee Riley. Tutto il primo repertorio dei Cramps è un astuto ma sincero mash up tra strumentali sconosciuti e i loro contributi personali.

A New York i due entrano nel giro del CBGB, attratti dall’estetica di band come New York Dolls, ma scoprono anche che nella Grande Mela l’atmosfera è abbastanza conformista. Poco male, Lux e Ivy arruolano lo scalmanato chitarrista Bryan Gregory. I nascenti Cramps avrebbero bisogno di un bassista, ma la presenza scenica di Bryan li convince a farne a meno: “Brian voleva suonare la chitarra, così la suonammo entrambi” ricorda Poison Ivy.

Alla batteria si accomoda la sorella di Bryan, che si fa chiamare Pam Balam e l’avventura inizia. Il nome The Cramps ricorda i tipici moniker delle band surf anni ’50, ma cela anche un’allusione ai dolori mestruali, chiamati in slang cramps. Dopo una lunga gavetta, tante false partenze e una leggendaria esibizione il 13 giugno 1978 al Napa State Hospital, un manicomio, i Cramps registrano il primo disco.

Songs The Lord Taught Us è il primo, riuscitissimo esempio di Psychobilly, o Voodoobilly, come i Cramps stessi chiamano la loro musica. Il repertorio è quasi tutto a firma Interior/Ivy, ma – come detto – è un abile mischione di tanti pezzi cult.

Alla batteria siede ora Nick Knox e il sound selvaggiamente punk ma allo stesso tempo profondamente radicato nel rock’n’roll conquista la scena. Erick è un vocalist incontenibile, specie dal vivo: si agita, magrissimo e a torso nudo, quasi ingoia il microfono con cui amoreggia e appare spesso coperto di tagli. La sua voce è però davvero notevole, profonda come quella di Elvis e incredibilmente espressiva.

Poison Ivy è una chitarrista essenzialmente ritmica che predilige le accordature aperte; vistosa nelle mise, ma spesso enigmatica sulla scena, mette insieme rozze frasi soliste all’insegna del twang che però non mancano di efficacia.

Appena un anno dopo i Cramps sono già pronti col seguito, Psychedelic Jungle.
La strategia cambia leggermente. Anziché prendere vecchi pezzi e proporli rivisti attraverso i loro occhiali deformanti, i Cramps suonano una serie di vere cover. Probabilmente ci sono anche motivi di diritti d’autore. Le atmosfere però sono le stesse.

Green Fuz dei Randy Alvey and The Green Fuz è fin troppo posata per i loro standard e apre l’album. Il secondo pezzo è quello per cui oggi orde di adolescenti hanno riscoperto i Cramps, Goo Goo Muck. Il titolo riprende una parola che in slang indica il vampiro ma anche concetti su cui non ci dilunghiamo troppo. La canzone, inserita nella scena più iconica della recente serie Netflix Mercoledì, è tornata d’attualità tra i giovanissimi.

In realt, Goo Goo Muck ha radici lontane, in un pezzo misconosciuto di Ronnie Cook and the Gaylads. La prestazione dei Cramps in questo brano è micidiale ed emblematica del loro stile. Quattro accordi ripetuti all’infinito, la grande espressività di Lux Interior e una messa in scena gothic-punk che repelle e attira allo stesso tempo.

Rockin’ Bones, Primitive, The Crusher, Jungle Hop sono tutte cover aggiornate attraverso il trattamento Cramps. Anche i pochi originali si fanno però ricordare con piacere, specialmente Voodoo Idol, dove Lux mette a segno una prestazione da antologia. Su un testo semplice ma tremendamente efficace, il cantante ci mette davanti agli occhi le tipiche immagini di qualche horror di serie B. E pare davvero di vederle.

Dopo i primi due dischi, però, la stella dei Cramps affievolisce quasi subito. Il punk smaltisce in breve il suo momento di gloria, travolto dalla New Wave e dagli anni Ottanta. Soprattutto, però, la band rimane impelagata in una battaglia sui diritti d’autore con Miles Copeland, il produttore che li ha lanciati.

La querelle legale impedisce di pubblicare fino al 1983, ma per ascoltare nuovo materiale dei Cramps occorrerà aspettare fino al 1986. Con un bassista fisso, la band incide A Date with Elvis, disco che sfonda solo in Europa, dove il culto dei Cramps è forse più profondo che in patria.

Tra alti e bassi la carriera del complesso prosegue per tutti gli anni Ottanta, Novanta e Zero del nuovo millennio. Una storia di culto che si interrompe la notte del 4 febbraio del 2009 quando il cuore generoso di Lux Interior si arrende a un infarto.

Poison Ivy, che per tutta l’avventura è sempre rimasta accanto al marito, perfettamente alla pari con lui, lo ricorda così: “Potevi stare in una band o in una cella imbottita: la questione è solo non essere presi.” A testimonianza di una vita artistica e non solo passata in una continua fuga dalla “normalità” del Sogno Americano. Sempre rigorosamente ai margini della strada e delle classifiche, come bravi autostoppisti.

— Onda Musicale

Tags: Chuck Berry, Tim Burton, T – Rex
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