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“I like Chopin” di Gazebo: tutti l’abbiamo ballata senza averle mai prestato ascolto

Di cosa parlava questa canzone “perfetta” che sta per compiere i suoi primi quarant’anni?

Mettiamoci nei panni di un giovane cantante che sta iniziando la sua carriera all’inizio degli anni Ottanta. La mattina apre il giornale, va alla pagina della musica e trova le foto di Simon Le Bon e di George Michael. A pranzo accende la televisione, preme il tasto sei, e viene travolto da decine di video musicali, tutti rigorosamente in lingua inglese, spesso dotati di un intro non udibile sul disco, che lo inducono a non cambiare canale.

Ricordate quelle giornate? Stavamo subendo una vera e propria British invasion vent’anni dopo lo sbarco in Italia di Beatles e soci.

Diamo un’occhiata alla classifica dei 45giri:

nella prima settimana del 1983 alla prima posizione troviamo Words di F.R. David, seguita da Hard To Say I’m Sorry dei Chicago, poi Der Kommissar di Falco, al quarto posto Raffaella Carrà con Ballo, ballo, seguita da Eye of the tiger dei Survivor, You are a danger di Gary Low, Disco project dei Pink Project, Master Piece di Gazebo, I know there’s something going on di Frida e I want let you down dei Ph.D.

Cosa ci dice questa classifica?

Che l’Inghilterra sorprendentemente ha soltanto una band nella nostra Hit, i Ph.D; che l’Illinois è, nella nostra hit nazionale, il territorio più rappresentato, con i suoi Chicago e Survivor. Che, a parte Falco e Raffaella Carrà, nessun altro artista ha il coraggio di cantare nella sua lingua madre. Perfino Frida, per la sua pietra tombale sugli ABBA, non ha rinunciato alla lingua inglese. Commettendo peraltro un errore di strategia: se avesse cantato in svedese, avrebbe almeno reso meno anonima la sua I Know There’s Something Going On. Per non parlare poi del leader della classifica, il tunisino naturalizzato francese F.R David, al quale le parole sembrano venirgli più facilmente se profferite in inglese. Non ci vuole molto a comprendere che se si vogliono vendere dischi, se si vuole sperare di andare in televisione – insomma – se si vuole avere successo, non si può rinunciare all’inglese.

Ed è per questo che in classifica, oltre alla Raffaella nazionale, compaiono Stefano Pulga, un sardo che ama la sua Sassari quasi quanto gli Alan Parson e i Pink Floyd e Luis Romano Peris Belmonte, un romano de Roma che dagli amici se fa chiama’ Gary Low.

Viene da pensare che sia Pulga che Belmonte avranno dovuto lavorare a lungo per poter imparare a cantare in inglese. Non è stato così per l’altro italiano che occupa la posizione n. 7: Gazebo.

Gazebo, Masterpiece – copertina del 45 giri Baby Records 1982
Un nome che non sembrerebbe idoneo a rappresentare una pop-band nell’Italia degli anni Ottanta:

un nome come tanti, destinato a non durare a lungo, strangolato dalla morsa dei grandi gruppi inglesi come i Duran o gli Spandau. Una band che canta in un inglese così perfetto da risultare privo di inflessioni dialettali. Chi sarà mai questo gruppo che ha scelto come nome quello di un articolo da giardino?

Una parola inconsueta – Gazebo – da poco in uso nel nostro vocabolario. Non sappiamo nemmeno come si pronunci esattamente: forse deriva da un incrocio tra l’inglese to gaze “fissare” e la desinenza latina che marca il tempo futuro -ebo, come se fosse il futuro di un verbo ipotetico gazere, guarderò.

O addirittura dall’arabo qaṣba, o ancora dalla contaminazione arabo-spagnola qušaybah e quindi, perché no? – dalla parola spagnola alcazaba.

Avremmo dovuto capire fin dall’inizio che chiunque avesse scelto di darsi un nome così ricco di contaminazioni linguistiche, non poteva essere un personaggio banale

Ed infatti Paul Mazzolini, alias Gazebo, a soli 21 anni è uno che conosce un sacco di cose. L’inglese gli riesce facile perché è un po’ come se fosse la sua seconda lingua madre: è figlio di un diplomatico italiano di stanza in Libano e di una cantante statunitense, ha trascorso l’infanzia con la valigia in mano, tra Libano, Giordania, Danimarca e Francia. Quando torna a Roma ha nove anni compiuti, parla benissimo l’inglese e si mette a studiare la chitarra. A quattordici anni si reca tutte le mattine in via di Villa Patrizi, dove frequenta il Lycée Chateaubriand. Qui s’innamora della cultura francese ma ancora non immagina che i suoi studi caratterizzeranno in modo indissolubile la sua carriera artistica.

Agli amici di quegli anni Paul doveva apparire come un gran secchione: ai brillanti risultati scolastici e universitari, Paul riesce a coniugare la sua nuova passione per la musica. Un hobby che trasforma in una grande opportunità professionale quando, a soli 22 anni, firma il primo contratto discografico con la Baby Records.

È l’estate del 1982:

gli Azzurri di Enzo Bearzot stanno trionfando in Spagna mentre Paul ha terminato il suo penultimo anno all’Università degli Studi di Roma la Sapienza: è uno studente modello di Letteratura francese, sinceramente appassionato al romanticismo ottocentesco che arriva a trasferire nelle sue ballate Italo-dance.

Cos’era l’Italo-dance?

Con questa espressione non troppo felice si classificava il genere di musica in cui si misuravano molti artisti italiani di quella stagione non particolarmente florida, che strizzavano l’occhio alla Disco Music made in USA.

Ma Paul ha una marcia in più e questa definizione non lo rappresenta appieno. All’alba del 1983 sta consegnando due lavori: la sua tesi di Laurea in letteratura francese all’Università e il suo primo album, che si chiama come lui – Gazebo – alla sua casa discografica.

La prima traccia del Lato B è I like Chopin

Non staremo qui a parlarvi dell’enorme successo che riscosse questo disco all’epoca, delle prime posizioni nelle classifiche di Svizzera, Germania e Giappone, di come seppe tener testa a grandi star come i Duran Duran di quegli anni. La sua melodia suonava elegante, aveva un suono – composto da quattro accordi al pianoforte – che irradiava una sensazione vellutata ed avvolgente.

al primo posto della Deutsche Hit parade

Ipnotizzati dalla sua melodia, ovunque abbiamo ballato alle sue note, in tutte le feste, a casa e in discoteca, senza sentire mai il bisogno di conoscere l’argomento trattato.

al primo posto nel Paese del Sol Levante

Dicevamo che Paul – Gazebo – Mazzolini è influenzato dalla conoscenza della letteratura e della poesia francese che sta studiando all’Università. Attraverso i suoi studi ha conosciuto anche la grande musica di Chopin. Approfondendo la conoscenza del musicista è rimasto impressionato dalla personalità della donna che ebbe un ruolo decisivo nella sua vita e sulla sua arte: George Sand.

Chi era George Sand?
George Sand, la misteriosa musa di Frédéric Chopin

Entriamo in questa storia: Frédéric Chopin e George Sand si conobbero a Parigi nell’autunno 1838, in uno dei tanti salotti dove il musicista si esibiva al pianoforte. Chopin, polacco di Żelazowa Wola, aveva ventotto anni e con il suo straordinario talento di musicista, aveva conquistato il raffinato pubblico di artisti e intellettuali dell’élite parigina.

Fryderyk Franciszek Chopin – Żelazowa Wola 1° marzo 1810, Parigi 17 ottobre 1849

Era dotato di una sorprendente tecnica al pianoforte: nell’opulenta capitale francese viveva alla grande, impartendo, ad un prezzo altissimo, lezioni di pianoforte alle ragazze dell’aristocrazia cittadina.

George Sand – il cui vero nome era Aurore Amandine Lucile Dupin – aveva sei anni più di Chopin, era nata a Parigi nel 1804: era una scrittrice famosa ed una donna coraggiosa e indipendente. Separata dal marito, il barone Dudevant e con due figli, Maurice e Solange, era un personaggio anticonformista. Probabilmente bisex e certamente rivoluzionaria, aveva scelto un soprannome maschile. Indossava spesso i pantaloni ed era una donna libera, decisa a vivere con i proventi della sua scrittura. Il rapporto che nacque fra lei a Chopin fu intenso e complicato.

Lui era un giovane compositore e un fascinoso musicista che, con la sua musica sublime e i suoi gesti spesso teatrali, intratteneva e seduceva il pubblico parigino. Lei aveva un carattere forte, capace di superare ogni difficoltà. Al contempo, era anche una donna capace di essere accogliente, protettiva e materna.

Sul loro incontro, Chopin scrisse nel suo diario:

Lei era appoggiata al pianoforte, e il suo sguardo ardente era come brace su di me. La mia anima aveva trovato un porto. Mi prese una sorta di languore, nondimeno mi ritirai dal pianoforte con soggezione. L’ho rivista in seguito altre volte nel suo salotto, con persone dell’aristocrazia francese. Poi un’altra volta che si trovava sola. Mi ama, Aurora è un nome magico. La notte è sparita”. Paris, 10 ottobre 1838 – Frédéric Chopin.

Una storia romantica che si tinge di giallo per via di un misterioso ritratto spezzato:

Il primo incontro tra i due personaggi venne immortalato dal pittore Eugène Delacroix, che era presente allo stesso ricevimento in cui i due artisti si conobbero nel 1838.

la bozza a matita di Eugène Delacroix

Delacroix li ritrasse accanto, l’uno al suo pianoforte, l’altra insolitamente intenta a cucire. Sette anni più tardi la coppia si sarebbe separata.

“Ricostruzione” del doppio ritratto di Eugène Delacroix

Una notte del 1845, una lama, vibrata da mano ignota, avrebbe tagliato in due quel dipinto, lasciando ai posteri soltanto il frammento d’immagine di Fryderyk Chopin, oggi conservata al Louvre, con cui siamo abituati a riconoscere il volto del musicista. Il destino della metà sinistra della tela, raffigurante George Sand, è sconosciuto. Quella metà sarebbe andata perduta.

Ricostruzione della metà perduta

Una trama raffinata, per esperti di arte, di letteratura e di musica francese dell’Ottocento, che Paul Mazzolini semplificò in un pezzo “disco” con una immediatezza straordinaria. Una storia sconosciuta, anticonformista e progressista; per i quattro accordi di pianoforte, Gazebo inventò un testo ancora più semplice e diretto, “Ricordi quel piano?

A questa semplicità espressiva si contrappone la visione che il suo autore ha di George Sand. E’ infatti lei a parlare, ad evocare quel pianoforte così deliziosamente insolito. Potrebbe rivolgersi direttamente a Chopin, anche se il video lascerebbe aperta la porta anche ad altre chiavi di lettura, rispecchiando in pieno i tratti psicologici di un personaggio come la Sand:

Ricordi quel pianoforte

così deliziosamente insolito?

Quella sensazione classica

confusione sentimentale.

Dicevo che

mi piace Chopin,

amami ora e ancora,

i giorni di pioggia non dicono mai addio

al desiderio quando siamo insieme.

I giorni di pioggia crescono nei tuoi occhi.

Dimmi dov’è la mia strada,

immagina il tuo viso

in un riflesso di sole.

Una visione di cieli blu.

Per sempre distrazioni.

Dicevo che

mi piace Chopin.

Amami ora e ancora

i giorni di pioggia non dicono mai addio

al desiderio quando siamo insieme.

I giorni di pioggia crescono nei tuoi occhi.

Dimmi dov’è la mia strada.”

Quando sottopone il pezzo alla sua casa discografica, Federico Naggiar, il carismatico fondatore della Baby Records, va in visibilio. È talmente folgorato da approvarne su due piedi sia la produzione che il relativo – faraonico – budget.

la copertina del 33 – LP (Baby BR 56050

Verrà realizzato un video uguale a quelli che si vedono su Videomusic. Un vero mini-film, ricco di stacchi e piccoli colpi di scena, frutto di una sceneggiatura nient’affatto scontata.

Con una vera regia e una location scelta ad hoc (la troupe dovette arrivare nell’Essex, in Italia non esistevano ancora studi di produzione specializzati in clip musicali) che potrà competere con le atmosfere patinate dei più celebri Spandau, Duran, Ultravox e Wham.

Il risultato è nel video che avrete visto chissà quante volte. Che tuttavia non raggiungeranno mai quelle in cui lo avrete ballato.

I critici e lo Stato Maggiore dell’Esercito dovrebbero chiedere scusa a Gazebo.

I primi non seppero cogliere la portata di un brano dalla bellezza senza tempo, capace di “colorare” un’epoca, quella dei nostri anni Ottanta, con un suono della stessa rappresentatività di quello delle più sponsorizzate star inglesi. Un brano da ballare in due, come la suadente Careless whisper degli Wham o l’esotica Save a prayer dei Duran Duran.

Che dire dello Stato Maggiore dell’Esercito? Forse avrebbe potuto essere più lungimirante. Possibile che nessuno riuscì ad evitare a Gazebo l’anno di naja? Se avesse scritto e composto altre canzoni avrebbe servito sicuramente meglio la Patria! Invece, al culmine del suo successo, Paul dovette interrompere la carriera di musicista. Quando si liberò dagli impegni di leva molte cose erano cambiate.

I gemelli new wave, Duran e Spandau, erano ormai sulla via del tramonto, i Wham si erano sciolti e nuove sonorità, più acustiche e meno elettroniche, facevano capolino dalle nostre radio e televisioni.

Anche la lingua italiana stava tornando a prendere piede, lanciando i primi segnali di emancipazione ad un sistema che aveva sponsorizzato la scelta dell’inglese come minimo comune multiplo per il mercato musicale globale.

Gazebo e la sua I like Chopin brillarono di luce propria. Sound immediato, storia broccata argento. Per eleganza e riconoscibilità, a quarant’anni di distanza, osiamo definirla la canzone perfetta per un amore imperfetto.

— Onda Musicale

Tags: The Beatles, Spandau Ballet, Duran Duran, Gazebo, Chicago, Raffaella Carrà
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