Si sente spesso parlare di crisi dello streaming, ma si tratta di una realtà che non tocca da vicino il settore musicale, anzi.
Se da un lato le piattaforme video come Netflix e Disney+ stanno subendo un calo molto ampio, per via di problemi come i costi alti e la pirateria (IP TV), dall’altro il mondo della musica risplende di luce propria, dimostrando una verità: agli italiani il meccanismo piace eccome. Nell’articolo di oggi, dunque, vedremo di approfondire i dati relativi al mercato dello streaming audio in Italia nel 2023, insieme ad uno studio sulle piattaforme che stanno registrando i numeri più interessanti.
Musica in streaming: un mercato che vola
Bastano pochi dati per chiarire l’enorme successo che sta registrando la musica in streaming in Italia. In base alle indagini ufficiali della Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI), il primo semestre del 2023 ha collezionato oltre 138 milioni di euro, in aumento rispetto allo scorso anno del +16%, quando ci si era fermati su un valore complessivo di 119 milioni euro. La maggior parte dei guadagni proviene, com’è ovvio che sia, dagli abbonamenti degli utenti.
Da questo punto di vista, piattaforme come Spotify hanno messo a registro i numeri più interessanti, con oltre 515 milioni di utenti giornalieri attivi. Ovviamente anche i cantanti hanno beneficiato di questo mercato, come si evince leggendo questo post di ExpressVPN sulla classifica dei guadagni dei singoli italiani su Spotify. Giusto per la cronaca, vince Cenere di Lazza con 104 milioni di stream e con un totale di incassi stimato intorno ai 313 mila euro. Bene anche Due Vite di Marco Mengoni, con 72 milioni di stream e 217 mila euro di incassi, e Supereroi di Mr. Rain, che chiude il terzetto di testa con 63 milioni di stream e 190 mila euro di incassi stimati.
Tornando ai dati, il mercato musicale dello streaming in Italia ha chiuso i primi 6 mesi del 2023 con un totale di ricavi intorno ai 176 milioni di euro, in aumento di 22 milioni euro rispetto alle precedenti rilevazioni. Una fetta notevole per il settore della musica che, come si può facilmente intuire, oggi si appoggia quasi esclusivamente al digitale. Se consideriamo anche lo streaming video, infatti, il digital rappresenta da solo l’84% circa del mercato videoludico, il che include anche i videogiochi.
Come anticipato, sono soprattutto gli abbonamenti a fare la differenza, dato che da soli hanno portato circa 90 milioni di euro nei primi sei mesi dell’anno in corso. I restanti guadagni, invece, derivano dalle pubblicità che vanno in onda sugli stream degli abbonamenti gratuiti. In realtà il mercato dello streaming musicale è in crescita già da diverso tempo: basti pensare al fatto che, nel 2022, era stato raggiunto un incremento del 9% rispetto al 2021. Ed è altamente probabile che i numeri e le percentuali saliranno ancora.
Piattaforme streaming: c’è chi scende e c’è chi sale
Spotify domina la classifica delle piattaforme streaming musicali, e il suo primato attualmente non è in discussione. Dietro, però, si agita un mercato particolarmente vivace, ricco di sorpassi e di sorprese. Deezer, ad esempio, è riuscita a conquistare il secondo posto in classifica, con Tidal a chiudere il podio. Entrambe hanno messo la freccia superando due colossi come Apple Music e Amazon Music: un dato che deve essere sottolineato. Promosso a pieni voti anche Qobuz, che riesce ad offrire un eccezionale rapporto tra qualità e costi.
L’altra faccia della medaglia: la crisi dello streaming video
Se da un lato il mercato dello streaming audio sorride, dall’altro quello dello streaming video piange. Ci si trova infatti di fronte ad una crisi senza precedenti, che sta colpendo indifferentemente tutte le piattaforme. Ci si rende conto di questa caduta libera analizzando, ancora una volta, i dati: nei primi 3 mesi del 2023, infatti, gli italiani hanno cancellato ben 870 mila abbonamenti. Inoltre, è diminuito anche il totale di ore trascorse di fronte allo schermo, con una media di 8-9 milioni di ore circa (Netflix e Prime Video).
Come detto, sono due i fattori che hanno causato questo crollo. Da un lato l’aumento dei prezzi e le politiche che hanno contrastato i multi-abbonamenti (basti pensare a Netflix e al discorso inerente al “nucleo familiare“). Dall’altro lato hanno ovviamente inciso lo streaming pirata tramite le IP TV.