Oggi piangiamo un grandissimo maestro, ma lui esisterà ogni volta che rivedremo un suo film; il nuovo cinema italiano, invece, se non ci accorgiamo che sta continuando ad esistere, morirà ben prima di poterlo piangere da vecchio.
Quando un regista 84enne come Ettore Scola muore e “lascia un enorme vuoto nella cultura italiana” il problema è nella cultura italiana. Il virgolettato è tratto da un tweet di Matteo Renzi e al netto del fatto che la sua sia soltanto un’espressione segnaposto di cordoglio automatico, è innegabile che quel pensiero passi per la testa di tutti noi ogni volta che muore qualcuno che ha veramente lasciato un segno nella nostra società. Ma è anche innegabile che qualcosa non vada per il verso giusto. Oggi dovremmo provare dolore, ma non sentire un vuoto.
Per provare la sensazione del vuoto ci vuole, prima, la sensazione di un pieno. Quindi se qualcuno lascia un vuoto significa che quello spazio lo occupava lui, prima di scomparire. Oggi purtroppo è toccato a Ettore Scola farci da esempio, ma il discorso vale per tutti i grandissimi maestri come lui. Se escludiamo il documentario Che strano chiamarsi Federico, che è del 2013, Ettore Scola non faceva un film da 13 anni.
L’ultimo fu Gente di Roma, del 2003. Avrebbe lasciato un vuoto incolmabile se fosse morto nel 1975, prima di girare Brutti, sporchi e cattivi (1976), Una giornata particolare (1977), La terrazza (1980) e La famiglia (1987). Quella sarebbe stata una tragedia per la cultura italiana. Ma per fortuna non è successo, e noi ora abbiamo un grande nome in più nella storia del cinema italiano.
Oggi no, la morte di Ettore Scola non è una tragedia per il cinema italiano. Certo, è tristissima, come tutte le morti. Ed è triste per tanti, perché siamo in tanti ad averlo pensato spesso come un amico, un padre, un nonno — in dipendenza dell’età, chiaramente — ma non può lasciare un vuoto enorme e incolmabile.
di Andrea Coccia
(tratto da www.linkiesta.it)