Nelle cupe atmosfere ritratte da Alisa Resnik, fotografa nata a San Pietroburgo nel 1976 e trasferitasi a Berlino nel 1990, regnano l’acidità, i luoghi “sporchi” dei margini, la vita graffiata e densamente, esilmente umana.
Nei volti magistralmente rapiti dall’autrice è inscritta una storia che è impossibile non percepire nelle sue più forti espressività. I corpi sono segnati e vestiti di abiti portati come stracci. A queste immagini si alternano case fantasma di periferie notturne, lungo strade scarsamente illuminate, e misteriosamente accese nelle finestre sghembe, grazie alla “prospettiva ubriaca” che spesso la Resnik adotta.
Questo mondo preso di taglio è l’universo dei sogni perduti dove ciascuno ha il diritto e la dignità di una biografia, messa a fuoco dall’autrice (anche con il frequente uso dello sfuocato).
C’è un abbandono che circonda le anime dei suoi soggetti e un infinito che si perde nei rami intrecciati di alberi che giganteggiano, metafora delle tante spine sottotraccia dell’umanità, qualcosa che non è possibile districare, che ha come sfondo un cielo crepuscolare, minaccioso, livido.
Eppure, eppure, in questi scatti c’è qualcosa che attrae e forse è quella dimensione più bassa dell’esistenza, quella cosa fatta di correnti impossibili da toccare pena l’ustione, quella cosa che illumina chi nella notte non ha più riferimenti e che solo le anime dolenti conoscono.
La Resnik in questi giorni è al Festival Fotoleggendo di Roma col suo “La notte immensa”. Nel 2013, l’autrice ha vinto il prestigioso Premio Europeo Editori per la Fotografia; ha esposto in numerose gallerie e festival europei.
di Clara Lunardelli – Onda Musicale