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L’arte e il suo discorso sulla povertà.

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Aldo Nove, scrittore varesino classe 1967, agli inizi della sua carriera vicino alla corrente pulp, ha dedicato il suo bellissimo libro “Tutta la luce del mondo” (Bompiani) alla figura di San Francesco.

Emblema di una radicale scelta di vita, elogiando nel suo incipit la meraviglia di quel periodo-mondo: “Nel Medioevo tutto era stupendo. Nel senso che era pieno di stupore”. E qualche giorno fa, in una intervista a Il Caffè di Rai Uno, ricordava come il rocker americano Lou Reed, in una sua poesia, si dicesse pronto a pisciare sui meccanismi del potere che inducono alla povertà e nella povertà mantengono.

Il suo riferimento fa pensare alla posizione e al ruolo di chi si è in qualche modo emancipato dalla povertà, oppure non l’ha mai vissuta, o di chi, come il Santo, ha fatto il percorso inverso.

Senza voler associare la santità all’arte, ci si può chiedere se l’artista occidentale e ricco – divenuto tale grazie al suo talento (e ai sistemi collegati al mercato e dunque anche al potere)  possa ancora essere portavoce del disagio, delle sofferenze di cui è fatta la povertà, di quelle vite i cui talenti non sono invece emersi, perché non esistono, non hanno trovato strada propizia, o sono stati bruscamente interrotti e repressi.

Da sempre l’artista propone istanze e le comunica nel modo che più pertiene al suo stile; può parlare di sé, della sua Weltanschauung, ma accade spesso che si focalizzi  sulle domande urgenti e degne che riguardano la società di cui egli è parte spesso “fortunata”.

Può allora l’artista essere paladino delle cause della povertà navigando nell’oro? Può parlare di freddo, sporco e fame non conoscendoli (più)? O è proprio questo il suo ruolo preminente, essere cantore e mentore, dare voce a chi stenta a far sentire la propria?

E la condizione di privilegio, se non altro spirituale, che egli vive, pone questa domanda alla sua coscienza?

Può sembrare una provocazione, ma è un dubbio legittimo e vale anche per chi ha potere, denaro, e disquisisce sui problemi che stenta a risolvere, nonostante gli strumenti che possiede.

In ultima analisi, chi è l’artista? È colui che condivide il dolore di precise circostanze o la sua anima, capace di mantenersi sensibile e carica di echi, vive un dolore più profondo, un riflesso della sofferenza umana in genere?

È una questione antica quella dell’artista come testimone, e la domanda potrebbe essere posta anche in questi termini: “Che cosa mi aspetto da un artista?”.

Può la sua arte sostenere l’incoerenza etica tra la sua condizione e i suoi temi?

       

 

Clara Lunardelli – Onda Musicale

— Onda Musicale

Tags: Lou Reed/Clara Lunardelli
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