Cultura ed eventi

Emilio Isgrò l’artista della “cancellazione” tra passato e presente

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Quando si accostano i termini “arte e moderno”, o che dir si voglia per alcuni altri “arte e contemporaneo”,  sembra che queste due paroline messe assieme posseggano un suono capace di creare svariate e diferenti reazioni non appena arrivano all’orecchio delle persone.

Si tratta di una formula che al contempo ha catturato molti come una febbre ma anche allontanato tanti altri che si sono rifugiati ancora di più nel mondo dell’arte più attempata. Quando si tratta di visitare un’esposizione o un’installazione di arte moderna/contemporanea, spesso tra i visi dei visitatori si possono osservare curiose e diversissime, ma anche divertentissime, espressioni.

Ci sono i volti ossessionati, devoti, entusiasti, occhi che s’interrogano tra di loro ed esprimono solamente un “Bo…?”, oppure quelli bisognosi di una spiegazione. Altri mostrano in’idea di sfida – e a mio gusto si tratta dell’espressione più classica – e se ne escono generalmente con il clichè “ah ma questo potevo farlo anche io”. Tutto nella norma, e ciascun lettore saprà sicuramente ritrovarsi e riconoscersi in una di queste caratteristiche.

Poi esistono quegli artisti che sono invece per tutti, per gli amanti del nuovo e per quelli del vecchio, per i sognatori e per chi invece viaggia con i piedi per terra. Quegli artisti sfrontati ma immediati che nonostante si collochino tra i contemporanei, riescono a collegare in modo armonico presente e passato.

Emilio Isgrò, siciliano, classe 1937, è uno di questi. Ho avuto la possibilità di conoscere la sua arte da poco e non ho potuto non innamorarmene subito, per quanto io faccia parte spesso delle facce dubbiose/bisognose/di sfida quando si tratta di “moderno”. Recentemente Milano, la città che Emilio ha fatto sua per la maggior parte della propria vita, ha deciso di celebrarlo con una mostra a cura di Marco Bazzini, che si divideva tra Palazzo Reale, le Gallerie d’Italia e Casa Manzoni. L’esposizione è terminata il 25 Settembre ma mi piacerebbe dedicare alcune parole a quest’artista pazzesco, nella speranza di suscitare la giusta curiosità in chi non avesse ancora avuto la fortuna di vedere dal vivo una sua opera, e volesse quindi saperne di più (Il sito personale di Isgrò al link ).

Considerato uno degli innovatori del linguaggio artistico del secondo dopo guerra, è per eccellenza l’artista della cancellazione, tecnica personale da lui perseguita con una ricerca ed uno studio assiduo. E’ un linguaggio assolutamente inconfondibile per cui Isgrò ha cominciato letteralmente a cancellare parole da testi cartacei o parti raffigurate su altri supporti con delle macchie di colore nero. Le parti cancellate da questa spessa ma densa pennellata nera permettono solo ad alcune parole di salvarsi e rimanere nitide, così che l’osservatore possa leggere tra le righe il messaggio comunicato dall’artista ed imprimerlo nella propria mente.

Isgrò lascia in vista solo le parole o le parti che vuole, quelle che infatti comunicano il suo personale messaggio, indicando che ci possono essere diverse versioni della stessa cosa, a seconda di come la si guardi. E’ sufficiente un segno nero per modificare il significato di una frase. Ma quelle parole o quelle parti sopravvissute a questa tecnica distruttiva possono come rinascere nuove e più pure, con nuovo significato. In questo modo la sua tecnica passa dall’essere distruttiva a costruttiva.

Partendo dai primi semplici testi cartacei, Isgrò ha poi ampliato questa tecnica portandola e applicandola a carte geografiche, spartiti musicali, giornali, fotografie e stampe di quadri; tutte le sue opere hanno in comune l’ironia, il gioco ed il senso di rinascita. In particolare sono rimasta colpita da un’installazione in mostra, presentata per la prima volta alla Rotonda della Besana nel 1979. Si tratta di Chopin 1979, che all’epoca era riuscita ad ottenere proprio l’effetto desiderato da Isgrò, ovvero al contempo polemica e apprezzamenti.

Ci sono 15 pianoforti in una stanza appena illuminata, quel poco che serve per fare un po’di luce sugli spartiti appoggiati ognuno sopra uno strumento. Su questi fogli, tra pentagrammi, note e parole è raccontata la vita dell’ottocentesco compositore polacco d’origine, ma francese d’azione, Fryderyk Chopin, ma il racconto è del tutto nuovo, totalmente alla Isgrò.

La vita di Chopin è riproposta in maniera diaristica attraverso frasi del suo quotidiano, della sua intimità familiare e dei suoi amori non troppo fortunati, e da queste pagine Isgrò ha cancellato ovviamente alcune parole. L’artista non ha inteso in questo modo immedesimarsi nel compositore, come non intende mai farlo nei personaggi da cui trae ispirazione, ma lo fa per renderli più attuali in un tempo come il nostro, per renderli parte della storia, così come dell’installazione. Ci regala una nuova lettura di Chopin, che viene come distrutto, secondo qualcuno perfino profanato e dissacrato, ma in questa sala silenziosa e poco illuminata, dove i pianoforti sembrano fluttuare, succede qualcosa di mistico. Sembra di poter sedere di fianco a Chopin ad ogni singolo pianoforte, di sentire i suoi pensieri, sembra che egli ti parli e suoni lì accanto a te. Ma non è lo stesso Chopin noto al pubblico, è un uomo nuovo che quasi rinasce dalle sue stessi ceneri, come una fenice. Ed è vero quello che c’è scritto nella presentazione all’inizio della sala “E’ come se l’artista, silenziosamente, fosse andato a visitarlo con una macchina del tempo”.

Emilio Isgrò sa viaggiare nel tempo e sa fare da ponte tra passato e presente, cancellando qualcosa dal primo e ricreando a suo piacimento qualcosa di nuovo nel secondo.

 

Martina Bastianelli- Onda Musicale

 

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— Onda Musicale

Tags: Milano/Chopin/Emilio Isgrò
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