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Il vinto. Fotogrammi dal cinema di Aleksandr Sokurov.

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Una delle figure più gravide di significati e complesse da sgrovigliare è quella del vinto. Egli è studiato in genere come “vinto”, ma all’interno del suo stato possiamo leggere molteplici espressioni dei momenti di crisi, residuali energie, la profonda precarietà dell’uomo e altro ancora.

Nelle immagini del grande cineasta russo Aleksandr Sokurov sono visibili i volti di madri, padri, figli che riassumono questa condizione.

I suoi personaggi camminano dentro un mondo polveroso fatto di erba e di terra o come anime vaghe intorno a tronchi di esili alberi. Qui, il bosco e la terra sono rifugio, talvolta sostegno.

Accanto a un caro o in solitudine piena non si sa dove i vinti muovano i passi, verso quale luogo. Infatti, i vinti cosa cercano? L’idea del riscatto è per ora troppo lontana. Delle parole fanno uso parsimonioso e sembra sia loro impossibile credere ancora. I dialoghi si fanno radi, esistenziali.

Gli intensi volti dei vinti sono immersi in grossa filigrana, tendono lo sguardo su un davanti non visto. Esistenza ed averi sono andati in frantumi dietro il loro cammino. Di essi restano solo tracce. Sokurov non offre risposte sul loro futuro, non dice se insieme al mondo è andato perduto anche l’impulso a proseguire nel solco della ragione, del fare sensato. In questi suoi fotogrammi, a volte davvero molto ridotti (il minimo che i corpi occupano) si può percepire invece un respiro ampio che popola le distese della terra russa: lande senza confini, steppe semibruciate, poco rigoglio se non in zone limitate e piuttosto distanti dal girovagare dei vinti.

Nella magnifica filmografia di Sokurov, in particolare quella dedicata agli affetti, il vinto (più del vincitore) consente al regista grandi spazi narrativi, regalando inquadrature che rappresentano il suo stile alto: una lentezza che fa percepire nettamente le emozioni dei protagonisti e grazie alla quale lo spettatore “entra in scena”, altrettanto sperduto.

Nella condizione del vinto (esule in terra propria) ci sono le macerie di popoli ed etnie, cade sulla terra una cultura che deve ritrovare (se li ritroverà) motivi, dignità e rispetto necessari alla sua sopravvivenza.

Ma il vinto, preso singolarmente, anche se porta in sé queste rivendicazioni sociali, ha abissi ben più profondi da affrontare, essendo ancora vivo di vita fisica (poiché moralmente gli è già accaduto di morire).

È dunque impossibile tracciare un disegno definito, “con-cluso” della sua vicenda: il vinto serve come caleidoscopio dell’umanità (del suo divenire, del suo morire). Di una certa – allargata e frequente – umanità. Guardare Sokurov per credere.

 

Clara Lunardelli – Onda Musicale

— Onda Musicale

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