Mauritius Cornelius Escher (Leeuwarden1898- Laren 1972) è stato un artista senza tempo di cui si potrebbe parlare all’infinito senza mai annoiarsi. A Milano fino al 22 Gennaio sarà possibile visitare a Palazzo Reale “Escher”, una mostra che lo vede protagonista assoluto.
Sono più di 200 le opere selezionate per l’occasione, specialmente xilografie e litografie. In ognuna di queste emerge la grandiosità ed al contempo la complessità di questo artista, il quale con il solo uso del bianco e del nero– nella maggior parte dei casi- è stato ed è ancora capace di condurre l’osservatore in dimensioni e mondi diversi, però paralleli tra di loro. Geometrie, scienza, disegno, uso della prospettiva, raffigurazione di una realtà modificata e perché no, anche un po’ di magia: sono tutti elementi forti dell’estetica di questo folle personaggio.
Tra le sue immagini più celebri salteranno subito alla mente le Scale (Scale a volta, Casa di scale, Concavo e Convesso), un labirinto ed un rimando continuo tipico di Escher per cui sento particolarmente appropriata una frase letta in mostra, in cui l’artista viene definito “Un genio dentro un genio dentro un genio…”. Denominatore comune di tutte le sue opere è quindi la continua esigenza di trasformazione della forma e della materia che alla fine, dopo questo continuo movimento, non sono più le stesse.
La mostra, per quanto il numero delle sale sia sostenuto, scorre comunque rapida e si divora in fretta opera per opera. Inoltre, molto studiato e apprezzabile, è l’aver letteralmente disseminato tutto il percorso espositivo di giochi sia per grandi sia per piccini. Si possono vedere bambini con i visetti concentratissimi o intenti a conversare tra di loro per risolvere i curiosi enigmi sulle forme illusorie, ma al contempo non mancano signore di tutte le età che si mettono in coda per potersi fare un selfie deformante tra specchi concavi e convessi.
Perché Escher è così, può toccare le corde di chiunque.
La genialità di questo artista sta anche nel fatto di essere riuscito a diffondere la sua grandezza e fama come una corrente elettrica lungo cavi infiniti, e questo si spiega benissimo nell’evidente modo in cui è stato in grado d’influire sulle generazioni future. Il tutto si è trasformato facilmente in un vero e proprio fenomeno che potremmo definire quasi di “escherizzazione”, per cui sono stati influenzati da lui non solo lo stesso mondo dell’arte, ma anche diversi campi a partire dalla più banale oggettistica, fino alla fumettistica, per arrivare al cinema e ovviamente, alla musica.
In mostra è possibile vedere una sezione dedicata a questo cosiddetto “effetto Escher” e qui una parete è interamente destinata all’esposizione incentrata sul rapporto tra l’artista olandese e le note: si tratta di una serie di Lp le cui copertine si ispirano più o meno liberamente ad alcune opere di Escher. Tra queste la più celebre è senza dubbio la copertina di On the Run (1973) dei Pink Floyd, i quali gli richiesero espressamente di poter impiegare a questo scopo una sua litografia con raffigurate delle Scale. Non ebbe invece la stessa fortuna Mike Jagger al quale fu invece rifiutata la medesima richiesta per l’illustrazione della copertina di Let it bleed (1969). Tra queste vi è anche un po’ di orgoglio italiano, ovvero la copertina di Quasi Quasi dei Nomadi (1976), un bell’omaggio patriottistico ad un’artista che tanto amò l’Italia, ove visse fino al 1935 facendone anche una grande fonte d’ispirazione.
Martina Bastianelli – Onda Musicale