Musica

Ian Anderson: il mito dei Jethro Tull rivive ad Arco

|

È una fresca sera estiva quando Ian Anderson, cantante, polistrumentista e fondatore dei Jethro Tull, infiamma il Climbing Stadium di Arco con la sua energia, la sua band e, soprattutto, con le sue performance da giullare al flauto.

Mr. Ian Anderson infatti, scozzese doc classe 1947, ha saputo riportare la magia del repertorio dei primi album dei Tull, i primi album con qualche incursione nel futuro, durante il loro pieno periodo progressive – folk.

Si comincia subito con “Living in the Past” quasi come a ricordare il fatto che Anderson avrebbe suonato il meglio della band.

Ad ogni modo, appena sentita l’inconfondibile intro di basso, era impossibile non ricordare Glenn Cornick, primo bassista dei Tull deceduto per un arresto cardiaco.

Di seguito sono stati, letteralmente, lanciati brani classici come “Nothing is Easy”, “Sweet Dream”, “Mother Goose”, “Locomotive Breath” e “Songs from the Woods” che hanno caratterizzato il loro repertorio degli anni ’70.

Anni di sperimentazione sonora, a cavallo tra melodie folk, rock, blues e jazz, e strumentale con l’uso di più strumenti da parte della band.

Un buon esempio è la versione live, in quegli anni, di “Skating Away From the Thin Ice of a New Day” dove la band si scambiava gli strumenti direttamente sul palco, come i colleghi Gentle Giant.

Dimostrazione del loro talento, ma anche della voglia di non prendersi troppo sul serio visti i vestiti, i testi e gli atteggiamenti da giullari sul palco.

Anni che sono stati raccontati dal menestrello Ian Anderson la cui memoria è tornata indietro a quei tempi. Ha infatti raccontato, scherzosamente, del periodo progressive rock e dei ricordi degli innumerevoli concerti al Marquee Club di Londra.

A proposito di periodo progressivo, quale canzone potrebbe esprimerlo al meglio? Naturalmente la lunga “Thick as a Brick”, qui accorciata, che racconta le gesta del fittizio ex – bambino prodigio Gerald Bostock in uno dei grandi concept della band.

Concept che ha visto nuovamente la luce ad Arco ed anche pochi anni fa con la pubblicazione della seconda parte (dal sottotitolo Whatever Happened to Gerald Bostock?).

Altro brano famoso della band è “Bourée”, originariamente composta da Johann Sebastian Bach, la loro personale rivisitazione di un caposaldo della musica classica che li lanciò nel lontano 1969.

Il perido “classicheggiante”, ed anche medievale, riprende anche con “Pastime with Good Company” ballata di Enrico VIII, re che “aveva la brutta abitudine di tagliare la testa alle sue mogli” ripresa dai Jehtro Tull, così come la sua “Greensleeves”, a dimostrare il loro essere un ponte tra un passato classico ed un presente progressivo.

Il futuro è “ben” rappresentato da “Fruits of Frankenfield dove Anderson critica ferocemente gli OGM tentando di immaginare un “biochimico che mischia chissà quali elementi nel suo calderone”.

È infine l’ora di “Aqualung”, dal famoso album omonimo, prima dell’ultima canzone per un finale in grande stile. Un concerto di circa due ore, trascorse rapidamente senza un attimo di noia, dove uno scatenato Anderson ha saltato e suonato, anche su una gamba sola, per tutta la durata dello show. 

Certo, il tempo si fa sentire, infatti ha preso alcune pause per lasciare suonare la band e la voce non raggiungeva più le note di un tempo, ma è stato comunque un gran bel concerto.

Un vero e proprio “living in the past” che ha saputo dimostrare, ancora una volta, la grandezza di un uomo che riesce a farsi carico di una leggenda.

Leggenda apprezzata da un pubblico comprendente tutte le fasce di età, dai ragazzini più giovani, ai giovani appassionati fino agli adulti, ed oltre, che sono cresciuti sulle saltellanti note del genio creativo di Anderson.

Durante il concerto non sono mancati, ovviamente, gli assoli. Tra quelli di batteria per ricordare lo storico batterista Clive Bunker, a quelli del giovane chitarrista che ha saputo dimostrare come, dalla “Toccata e Fuga in Re Minore” di Bach, sia stato possibile passare ad “Eruption” dei Van Halen ed a quelli di basso e tastiere.

Assoli per dimostrare come la poliedricità e la spettacolarità di Anderson siano ottimamente sorrette da una band in formissima composta da Florian Ophale alla chitarra elettrica, David Goodier al basso, Scott Hammond alla batteria ed infine John O’Hara alle tastiere.

Grazie Ian, continua così e buoni concerti per il resto del tour estivo italiano.

 

Vanni Versini – Onda Musicale

— Onda Musicale

Tags: John O'Hara/Ian Anderson/Bach/Van Halen/Gentle Giant/Jethro Tull/Vanni Versini/Aqualung/Eruption
Segui la pagina Facebook di Onda Musicale
Leggi anche

Altri articoli