In primo piano

Steve Rothery: intervista al chitarrista fondatore dei Marillion

Nato a West Melton, South Yorkshire, il 25 novembre 1959, da una famiglia della classe media, Steven Thomas Rothery a cinque anni si trasferisce, a seguito della separazione dai genitori, a Newholme e, qualche anno dopo a Whitby, assieme alla madre e alla sorellina di due anni e mezzo più giovane.

Probabilmente, questo trauma infantile ha influito sulla sensibilità di Steve, contribuendo a dotarlo di una personalità gentile ma molto schiva, seria e non incline a concedere facilmente confidenza; ma quando il ghiaccio è sciolto e sei stato inquadrato a fondo, allora questo musicista t’investe di una grande disponibilità e affabilità.

Steve Rothery è attaccatissimo al suo lavoro, che svolge con grande professionalità ed è molto modesto anche di fronte alle iperbole dei fans, ai quali non nega mai un autografo, una foto e manciate di plettri e sorrisi dal palco. Quando parla della sua musica s’illumina come quando parla dei suoi figli, perché, come loro, essa è una parte imprescindibile della sua vita. 

Steve, però, non ha scoperto questo suo grande amore da subito: a scuola era portato, piuttosto, per la matematica e l’arte, ed è solo all’età di quattordici anni che è completamente assorbito dalla musica. All’inizio si tratta di colonne sonore. Poi, dei grandi gruppi degli anni ’70: Yes, Camel, Pink Floyd e, naturalmente, Genesis.

Nel frattempo, compra la sua prima chitarra acustica, pagata cinque sterline. Steve ricorda oggi divertito che, per cavarne suoni decenti, la si doveva usare praticamente come una ‘grattugia‘… La prima ‘vera chitarra’ è invece una Stratocaster Copy, acquistata a sedici anni con i soldi che uno zio gli aveva regalato per una vacanza in Italia.

Da quel momento, Steve si mette a studiare seriamente, con metodo autodidatta, selezionando il meglio dai libri e, in parte, improvvisando da sé. Dopo sei mesi, passa a una Yamaha S.G.2000. Poi inizia a suonare in piccole band ma ben presto capisce che, se davvero desidera ‘farcela‘, in una piccola cittadina come Whitby non c’è futuro…

A meno di voler suonare country & western a vita!” – commenta ora rievocando quel periodo. Comincia così a tenere d’occhio le inserzioni delle riviste musicali specializzate, finché, un giorno, s’imbatte in un annuncio del Melody Maker che recita: “I Silmarillion cercano un chitarrista… “. 

Steve risponde subito, e la band gli fissa un’audizione. “Mi diedero un indirizzo di Long Marston… Ma era pur sempre duecento miglia più vicino a Londra rispetto alla dannata Whitby!” – ricorda Steve – “Così ci andai“.

Era il 1979. I Silmarillion, a quell’epoca, erano, formalmente, un gruppo di tre membri, ma in realtà si trattava di una ‘diarchia’ rappresentata da Doug Irving e Mick Pointer.

Del primo si sono perse le tracce. Il secondo è oggi il batterista degli Arena. I due rimasero abbastanza schifati dal nastro portato da Steve: uno strano ibrido tra i Beatles e Santana, frutto delle esperienze con le band precedenti. Fortunatamente, però, il chitarrista si era portato dietro il proprio equipment, e li convinse a improvvisare dal vivo con lui, per dare loro un’idea delle sperimentazioni su cui era al lavoro in quel momento.

Silmarillion (il nome che tutti conosciamo venne adottato in seguito) ne rimasero stregati. Steve si era guadagnato l’ingaggio! “Si trattava già, praticamente, del tipo di musica che avrei scritto per i Marillion ” – dice il chitarrista. A risentire il primo demo sfornato del gruppo, in effetti, si avverte subito la magia che impose la formazione all’attenzione generale in un’epoca in cui il rock progressivo era completamente passato di moda, spazzato via dai rigurgiti punk.

Il resto della vicenda appartiene ormai alla storia del rock. Steve è rimasto, oggi, l’unico componente della formazione di quegli indimenticabili giorni, depositario di un sound che è divenuto inconfondibile e che è amato ovunque da milioni. E adesso, dopo un’esperienza quasi ventennale, migliaia di date in giro per il mondo e otto album da studio, egli gioca la sua carta solista, accompagnato sia da giovani musicisti che da un vecchio amico di avventura, la metà della sezione ritmica dei Marillion, il bassista Pete Trewavas.

Non è, come ci si potrebbe aspettare, un album di rock progressivo. Proprio per questo può essere apprezzato anche da chi non è un cultore di tale genere musicale. A volte ha le stesse delicate trame dei minimalisti alla Suzanne Vega, altre volte, l’energia composta ed accattivante degli All About Eve. E molto altro ancora. Ma il comune denominatore è il lavoro di cesello sottostante, effettuato da una chitarra che si fa riconoscere sin dalle prime note. 

Il nostro giornale lo ha contattato e lui ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande. 

 

Quando sei entrato in contatto con la musica per la prima volta?

“Mio zio ha una registrazione su cassetta di me, quando avevo circa tre anni – ci racconta Rothery – dove cantavo un pezzo dei Beatles, ma ho cominciato ad ascoltare le colonne sonore dei film a dodici anni e mi sono avvicinato al prog a quindici.”

 

Quali sono gli artisti ed i generi musicali che ti hanno influenzato di più durante la tua carriera?

“Ceratamente le band che mi hanno influnezato sono Pink Floyd, Genesis e Camel, – ci dice Steve – ma tutto è partito dai Beatles e da Jimi Hendrix che hanno influenzato, a loro volta, il mio modo di suonare la chitarra. Anche il playing di Joni Mitchell nei suoi primi album è stata una grande influenza – spiega Steve.”

 

Il tuo stile è spesso definito “gilmouriano” con molto delay e sonorità più “soft” piuttosto che tecnico o virtuoso. Come definiresti il tuo stile?

“Se devo definirlo direi che è emozionale e d’atmosfera probabilmente. Preferisco ascoltare qualcuno che suona con grande feeling e sensibilità – prosegue il chitarrista inglese – piuttosto che uno shred senza senso.”

 

Che cosa ci puoi dire a proposito della tua strumentazione? Quali chitarre, ed amplificatori, usi?

“Blade, Jack Dent, Italia, Steinberger e Squire per quanto riguarda le chitarre anche se recentemente ho cominciato ad usare una Music Man Game Changer, uno strumento davvero interessante. Gli amplificatori sono dei Groove Tubes Dual 75 power amp, Pitcher Shadow SE (simile ad un Dumble) ed un Roland JC 120. A volte uso anche un AC-30 reissue oppure un Victory V30. Uso molti pedali controllati da un GigRig G2.”

 

Sei uno dei membri fondatori dei Marillion, uno dei gruppi neo–progressive più amati e famosi di tutti i tempi. Che cosa ci puoi raccontare a proposito della nascita della band?

“Avevo 19 anni e vivevo a Whitby, una piccola città di pescatori situata nel Nord Est dell’Inghilterra quando vidi un annuncio di una band chiamata Silmarillion (Mick Pointer alla batteria e Doug Irvine al basso) che cercava un chitarrista. Ho viaggiato per 400 chilometri – ci spiega Rothery – fino ad un piccolo paese vicino Aylesbury dove ho superato l’audizione per il lavoro. Poi abbiamo ingaggiato un tastierista locale, Brian Jellyman, e così nacque il primo nucleo dei Marillion.”

 

Oltre ai Marillion hai anche registrato due album con i Wishing Tree e tre come solista (inclusi 2 live). Che cosa ci puoi raccontare a proposito di queste esperienze?

“Sono molto orgoglioso di tutti e tre gli album. Sentivo che i Wishing Tree avevano un enorme potenziale tale da poter raggiungere un pubblico più grandeù – continua Steve – ma sfortunatamente non è successo. Realizzare i miei album solisti è stato un lavoro duro, ma anche molto divertente. Comincerò a lavorare al mio prossimo album verso la fine di quest’anno.”

 

Nel 2011 hai fondato la British Guitar Academy. Ci puoi dire qualcosa a proposito di questo grande progetto?

“Ho pensato che sarebbe stato molto proficuo mettere assieme dei musicisti eccezionali per organizzare dei workshop su tutto quello che bisogna sapere per essere un chitarrista di successo – racconta l’uomo – concentrandosi sull’individualità ed il playing richiesti dalla canzone stessa.”

 

Nel 2014 hai pubblicato il disco “The Ghosts of Pripyat“, dal nome della cittadina ucraina sitata nei pressi della centrale nucleare di Chernobyl e diventata una città fantasma. Puoi raccontarci come è nata l’idea di questa produzione musicale?

“Stavo buttando giù qualche idea per il Plovdiv International Guitar Festival del 2012 quando è venuto fuori qualcosa che assomigliava ad una giostra per bambini infestata. Ho dunque cercato i luna park abbandonati in Europa e mi sono imbattuto nelle iconiche immagini del luna park abbandonato di Pripyat. Ho anche letto un libro a proposito delle persone che vivono ancora lì intitolato “Would you stay?” di Michael Forster Rothbart.”

 

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

“Sto lavorando ad un album sullo spazio al momento. Inoltre  – conclude il chitarrista – sto componendo qualche traccia con Steve Hackett per un progetto che stiamo facendo assieme.”

 

Stefano Leto – Onda Musicale

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd, Genesis, Yes, Steve Hackett, Prog Rock, Steve Rothery
Sponsorizzato
Leggi anche
Un disco per il week end: l’esordio degli Emerson, Lake & Palmer
Scorpions: com’è avere Mikkey Dee dei Motörhead nella band