Philip John Palmer nasce a Londra il 9 settembre 1952. E’ un chitarrista rock e jazz fra i più apprezzati nonchè turnista di fama internazionale.
Phil Palmer è nipote di Ray e Dave Davies dei Kinks, formazione rock britannica degli anni 60 che ha realizzato alcune hit molto famose come “You Really Got Me“, ripresa in seguito da molte band fra le quali i Van Halen.
Palmer inizia ad armeggiare con gli strumenti musicali già in tenera età e nel 1975 prende parte al suo primo tour mondiale nel gruppo che accompagna David Essex. Successivamente, dal 1980 inizia a collaborare con alcuni tra i più grandi artisti internazionali, tra cui Bob Dylan, Frank Zappa, Dire Straits, Pete Townshend, Joan Armatrading, Eric Clapton, Roger Daltrey, Elton John, Tina Turner, Wishbone Ash, Pet Shop Boys, Tears for Fears, George Michael, Bryan Adams, Robbie Williams.
A conferma della sua straordinara versalità e bravuraa, si trasferisce a Nizza dove inizia alcune importatni collaborazioni con interpreti italiani, fra i quali Lucio Battisti (suo è il noto assolo in Con il nastro rosa), Marcella Bella, Ivano Fossati, Renato Zero, Loredana Berté, Riccardo Cocciante, Francesco De Gregori, Claudio Baglioni, e, negli anni novanta e duemila, anche con Fabio Concato, Gianni Morandi, Patty Pravo, Massimo Di Cataldo, Ivana Spagna, Luca Carboni, Anna Oxa, Roberto Vecchioni, Ron, Edoardo Bennato, Eros Ramazzotti, Paola & Chiara, Max Pezzali, Paolo Meneguzzi, Gerardina Trovato, Audio2.
Nel 1987 collabora alla colonna sonora del film di Stanley Kubrick, Full Metal Jacket e nel 1991 partecipa alla registrazione dell’album “On Every Street” dei Dire Straits, con i quali va nel tour mondiale dal 23 agosto 1991 al 9 ottobre 1992. Collabora inoltre ad altre produzioni con l’ex frontman dei Dire Straits, Mark Knopfler. Nel 1993, forma il gruppo Spin 1ne 2wo, con Paul Carrack (ex del gruppo Mike + The Mechanics; voce e tastiere), Steve Ferrone (batteria), Rupert Hine (tastiere) e Tony Levin (basso), con cui pubblica un album di cover di brani di Jimi Hendrix, The Who, Led Zeppelin, Blind Faith, Steely Dan e Bob Dylan.
Nel 1997 compone la colonna sonora del film Tre uomini e una gamba, di Aldo, Giovanni e Giacomo. (realizzata insieme a Marco Forni) e successivamente, nel 2004, è direttore musicale dell’evento Strat Pack organizzato a Londra per il 50º anniversario della Fender Stratocaster. Nella circostanza suona anche con David Gilmour, Joe Walsh, Jamie Cullum, Mike Rutherford, Gary Moore, Phil Manzanera, Paul Rodgers e Brian May.
Dal 2012 è sposato con la cantante italiana Numa. Lo abbiamo contattato e lui ha deciso di rispondere ad alcune domande per il nostro giornale.
Chitarrista, turnista, compositore per il cinema e scrittore. Come ti definiresti?
“Sono sempre stato soddisfatto di essere stato il miglior chitarrista che potevo essere per la maggior parte della mia carriera. Comporre era una cosa che facevo quando non registravo – racconta Phil – o non mi esibivo dal vivo, per fortuna non è stato così per i primi 30 anni o comunque non così spesso. Quando il business si è evoluto negli ultimi 20 anni però l’attività di session man ha cominciato a sparire e le circostanze hanno deciso che, per sopravvivere, era necessario diversificarsi. Mi sto ancora evolvendo e cercando di raggiungere un accordo con le nuove opportunità che mi si presentano. Definire me stesso? Un sopravvissuto!”
Quando, e come, sei entrato in contatto con la musica per la prima volta?
“Sono praticamente nato dentro la musica. La famiglia di mia madre erano i Davies e due dei suoi fratelli erano Ray e Dave che diventarono i Kinks quando avevo circa 10 anni. La loro fama è cresciuta negli anni ’60 ed ha esercitato un’enorme influenza sulla scintilla iniziale del suonare e dell’esibirsi.”
Quali sono i generi musicali e gli artisti che ti hanno influenzato di più durante la tua carriera?
“Beh i Kinks, ma prima sono stato ispirato da artisti come Eddie Cochran, Buddy Holly, Jerry lee Lewis eccetera. Poi naturalmente dai Beatles, Joni Mitchell e Donald Fagen.”
Durante la tua carriera hai lavorato molto con grandi artisti come Eric Clapton, Tina Turner, Elton John, George Michael, Frank Zappa, Bob Dylan e molti altri. Qual è il segreto di questo tuo grande successo?
“Fare il session man è stata una buona infarinatura. Inizialmente infatti mi è stato chiesto di suonare “nello stile di” e questo era sempre diverso ed impegnativo. Questo mi ha dato le basi e la tecnica per sentirmi a mio agio in ogni situazione e trovare una parte adatta e sensibile nei desideri degli artisti. Credo però che la chiave, o il segreto, del successo, se ce n’è uno, è sapere quando non suonare. Claude Debussy diceva “la musica è lo spazio tra le note” e questo vuol dire tutto per me.”
Parlaci della tua collaborazione con i Dire Straits e Mark Knopfler
“Durante gli anni ’80 ero molto attivo come turnista ed i contatti si ottenevano giornalmente. Se eri bravo, affidabile e socialmente flessibile la tua reputazione cresceva. Ho incontrato per la prima volta Mark Knopfler quando ero in tour con Eric Clapton, ci siamo poi incontrati altre volte ed abbiamo suonato assieme in molti concerti come a Knebworth nel 1990. Per via delle tragedie nella vita di Eric non era sicuro se avrebbe continuato – prosegue Palmer – per cui mi dissero di parlare con Ed Bicknell (manager dei Dire Straits e Mark Knopfler – NDR) e fu così che suonai nel disco “On Every Street”. Mark Knopfler mi ha fatto fare una specie di iniziazione nello studio, credo per capire se io fossi in grado di suonare abbastanza accuratamente le sue parti in modo che lui potesse concentrarsi sulla voce e sugli assoli. Credo che abbia funzionato perché i due anni successivi di tour sono stati, probabilmente, quelli della più grande band di tutto il mondo all’epoca.”
Tra i vari artisti hai lavorato anche con molti italiani come Renato Zero, Lucio Battisti, Claudio Baglioni, Fabio Concato, Max Pezzali, Ron, Gianni Morandi e tanti altri. Come ti senti mentre lavori qui in Italia e quali sono i tuoi rapporti con il nostro Paese?
“La mia connessione con l’Italia è nata nel 1980, il circuito dei turnisti di Londra era in pieno boom ed io ero parte di esso. Artisti provenienti da tutta l’Europa erano attratti da Londra e dai suoi vari musicisti. Il primo, per me, fu Lucio Battisti con il suo album “Una donna per amico” registrato a Londra con Geoff Westley seguito da “Una giornata uggiosa” ed il singolo “Con il nastro rosa”, un vero e proprio successo. Onestamente non sapevo quanto fossero importanti, ma presto altri artisti italiani hanno cominciato a richiedere i miei servizi. Claudio Baglioni è arrivato poco dopo e poi la lista è cresciuta, ma non è stato prima degli anni ’90 che sono venuto a lavorare in Italia. Fui colpito dalla cultura musicale e dalla profondità delle radici storiche della musica che andavano ancora più a fondo rispetto a quello che conoscevo in Inghilterra. La gente cominciò a chiamarmi maestro e questo mi imbarazzava enormemente, ero solo un chitarrista che sapeva interpretare i desideri dell’artista e del produttore. Mi innamorai dell’Italia grazie all’ospitalità, al calore della gente, oltre che per l’incredibile musica, il clima ed il cibo!”
Recentemente, sul nostro magazine, abbiamo scritto a proposito della figura del session man, un elemento chiave per il successo di un buon progetto musicale, ma spesso sottovalutato. Sei uno dei più apprezzati turnisti (leggi l’articolo) quindi cosa ne pensi di tutto questo?
“Essere invisibile o insignificante su un album non mi ha mai dato fastidio, nessuno può aspettarsi di brillare in ogni progetto anche perché il “grande quadro” non sempre fa emergere le eccellenze individuali. Il trucco sta tutto nel trovare i momenti giusti e far sì che contino, provare ad imporre te stesso sull’album di qualcun altro è come ridurre la visione dell’artista del proprio lavoro e, possibilmente, offende il suo ego. Questo ridurrà le tue probabilità di lavorare con lui ancora.”
Raccontaci qualcosa dei tuoi progetti futuri
“Al momento sto lavorando su un album con Steve Ferrone, Alan Clark, Mel Collins, Pino Palladino ed altri amici con cui ho già collaborato in precedenza. Si chiama “Legacy” e l’indizio sta proprio nel nome dato che abbiamo passato un anno a metterlo insieme per poi registrarlo a Los Angeles ed ai Forward Studios di Roma che sponsorizzano anche il progetto. Stiamo progettando di pubblicarlo in novembre – ci spiega il chitarrista britannico – e con un tour che comincerà il prossimo anno, questo è il nostro impegno. Continuerò a sviluppare la mia attività di scrittore con libro, recentemente completato, che parla della mia vita.”
Stai sviluppando un interessantissimo progetto chiamato Dire Straits Legacy assieme ad altri grandi musicisti come Alan Clark, Steve Ferrone e Marco Caviglia. Che cosa ci puoi dire a proposito di questo?
“I Dire Straits Legacy nascono dall’evidente necessità del pubblico di ascoltare ancora la grande musica di una fantastica band. L’ultimo concerto ufficiale dei Dire Straits è stato nel 1993 ed abbiamo notato una certa “fame” che noi abbiamo poi cercato di saziare. È fantastico suonare ancora quelle canzoni e tutto questo si è evoluto in “Legacy” (letteralmente “eredità”) che è un album di canzoni nuove. Inizialmente l’idea era quella di continuare a suonare il repertorio dei Dire Straits e, gradualmente, includere le canzoni originali del nostro album.”