Diciamolo subito. Siamo nettamente contrari ad ogni tipo di droga e sconsigliamo chiunque abbia intenzione di usarla. Giusto per sgomberare il campo da qualsiasi tipo di equivoco.
Ciò premesso, alzi la mano chi, almeno una volta, non ha pensato “ma per fare della musica così, questo musicista chissà che tipo di droga ha assunto….“. Oppure “se non fossero stati sotto l’effetto di sostanze stupefacenti probabilmente non avrebbero fatto un disco così….“
Certamente ognuno di noi è libero di fare le proprie scelte ma, da un punto di vista giornalistico, abbiamo voluto provare ad analizzare alcuni dischi “storici” che, secondo noi e secondo la cronaca, potrebbero essere stati influenzati da qualche tipo di droga.
Inutile negare che, specie negli anni 70, erano molto usate droghe sintetiche come LSD o altro ed è, purtroppo assodato, come molti musicisti abbiano pagato con la propria vita la loro scelta di farne uso. Ci riferiamo, ad esempio, a tutti coloro che sono morti di overdose o di patologie connesse all’uso di sostanze stupefacenti. (leggi l’articolo)
In questo primo articolo che analizza il fenomeno droga e musica, vogliamo parlare di “Exile On Main Steet” dei Rolling Stones. Il disco viene realizzato nel sud della Francia, esattamente a Villefranche Sur Mer nella cantina della villa di Keith Richards.
Esilio in Costa Azzurra
In quel periodo in molti lasciavano l’Inghilterra per motivi fiscali e la Francia risultava quindi, fiscalmente più vantaggiosa.
“Exile On Main Street” è il risultato di perfetto connubio fra boogie e blues e vede come protagonista un Keith Richards che fa un uso massiccio di droghe di ogni tipo, al punto da rallentare le registrazioni. Le registrazioni avvenivano prevalentemente di notte anche se Jagger e Wyman erano spesso assenti, per ragioni facilmente intuibili e riconducibili a qualche ragazza del posto.
Uno dei casi più celebri riguarda la registrazione del brano “Happy”, cantato proprio da Keith Richards. Anch’esso viene registrato in cantina, ma viene inciso dai soli Richards (chitarra e voce), Bobby Keys al sassofono e Jimmy Miller alle percussioni, gli unici presenti in quel pomeriggio in cui il buon Richards, ripresosi momentaneamente dalla botta, decide di scendere giù in cantina per registrare qualcosa.
La band delle sessioni di Nellcôte (questo era il nome della villa di Richards) è composta principalmente da Keith Richards, Bobby Keys, Mick Taylor, Charlie Watts, Jimmy Miller (batterista e produttore che sostituì momentaneamente Watts per l’incisione di Happy e Shine a Light), e Mick Jagger quando era disponibile.
Estro e decadenza
A quanto pare, Bill Wyman non gradiva particolarmente l’atmosfera decadente della villa di Richards ed è assente a gran parte delle sessioni in studio cioè in cantina). Le parti di basso non suonate da Bill Wyman, sono state accreditate a Mick Taylor, Keith Richards e al sessionman Bill Plummer.
Bill Wyman, nella sua biografia “Stone Alone“, sostiene che all’epoca della registrazione di “Exile On Main Street” esisteva una netta divisione all’interno della band tra chi faceva uso di droghe senza alcun ritegno (Richards, Miller, Keys, Taylor, il tecnico del suono Andy Johns) ed altri, invece, che conducevano uno stile di vita maggiormente sobrio (Wyman, Watts e Jagger).
Dopo la pubblicazione del disco, avvenuta il 12 maggio 1972, queste sono le parole del critico musicale americano Lester Bangs (14 dicembre 1948 – 30 aprile 1982):
“Exile on Main Street è uscito solo 3 mesi fa e praticamente mi sono fatto venire l’ulcera e anche le emorroidi cercando di farmelo piacere in qualche modo. Alla fine ho lasciato perdere, ho scritto una recensione che era una stroncatura quasi totale e ho cercato di levarmelo dalla testa. Un paio di settimane dopo sono tornato in California, me ne sono procurato una copia per vedere se per caso era migliorato col tempo, e mi ha fatto cadere dalla sedia. Ora penso che forse sia il disco più bello degli Stones in assoluto.”
“Exile On Main Street” è certamente il risultato di quell’alchimia creatasi nel gruppo, capace comunque di assemblare nel caos (dis)organizzato della villa in Provenza un doppio album a base di blues, country, rock and roll e soul.
Tutto il lavoro discografico realizzato dagli Stones fino a quel momento viene riproposto dalla band nella sua essenza più estrema, tramite canzoni nate da infinite jam tossiche e massacranti sessioni notturne, dove il pallino del gioco era sempre in mano a Richards e ai suoi ritmi di vita assurdi.
Dal nostro punto di vista, se c’é un disco che deve la sua genesi all’influenza degli stupefacenti questo è certamente “Exile On Main Street“, un enorme buco nero dove affacciarsi e guardare il ghigno più che soddisfatto del pirata. Autentico fuoriclasse del rock. (leggi l’articolo).