Il protagonista di questa puntata di “chitarre rock” è un altro di quei nomi che suscita interesse da molteplici punti di vista, in grado di convincere addetti ai lavori e non.
Autore, cantante, compositore e virtuoso mai scontato, proprio in questi giorni ha dato inizio a un nuovo interessante tour di una lunga e fortunata carriera che lo vede impegnato a promuovere l’ultimo ottimo lavoro in studio – Down The Road Wherever–: naturalmente si sta parlando del leggendario Mark Knopfler.
Al contrario degli altri artisti posti in esame negli scorsi episodi di questa rubrica, Knopfler ha alle sue spalle una vicenda singolare per ciò che concerne la sua evoluzione artistica. Infatti, sebbene per molti sia identificabile, prevalentemente, come il frontman, leader e chitarrista principale dei Dire Straits, lo spessore dei lavori successivi alla band e la capacità di mescolare atmosfere sonore abbastanza eterogenee, ha reso necessario un distinguo abbastanza netto tra le due epoche artistiche del cantautore (si, possiamo chiamarlo anche in questo modo) di Glasgow.
Non a caso, questo aspetto peculiare del suo percorso evolutivo ha fatto si che venisse apprezzato anche da chi si fosse mostrato meno attratto dalle sonorità patinate del rock leggero degli ultimi anni Settanta/ inizio Ottanta. Complice una capacità scrittoria raffinata, un bagaglio tecnico di tutto rispetto ma soprattutto un tocco riconoscibile e con aspetti tanto singolari da rendere impossibile un confronto pari con altri guitar heroes, Knopfler è noto al pubblico tanto per i suoi riff memorabili, quanto per la capacità di comporre una musica più intima ed elaborata; tanto per il fraseggio funambolico, quanto per il lirismo del suono.
Le peculiarità del playing di Mark, e di quella che sarebbe stata la sua band fino al 1995, le si possono ritrovare scavando a ritrovo nella sua formazione musicale. Ad avvicinarlo alla musica sarebbe stato suo zio materno, pianista di discreta preparazione, che avrebbe influenzato non poco i suoi primi ascolti e quelli del fratello David (leggi la nostra intervista) con cui avrebbe condiviso la carriera proprio nei Dire Straits. Il faro della sua crescita come musicista, per moltissimi anni, sarebbe stato Hank Marvin, e la lunga inseparabile convivenza con una Fender Stratocaster rossa è da legare, senza dubbi, proprio alla profonda ammirazione verso quest’ultimo.
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Infatti, dopo qualche anno di studio come violinista, Mark iniziò a tirare giù a orecchio tutti i riff, le ritmiche e i suoni degli Shadows di Marvin, senza però rinunciare subire anche altre influenze. Dai padri del blues a Jimi Hendrix, dai Beatles fino a Chet Atkins passando per Bob Dylan. E proprio alla tradizione folk rock Knopfler avrebbe attinto a man basse sviluppando quella sua particolare attitudine di paroliere-cantautore in grado di sciorinare frasi lunghissime colorandole con le dinamiche delle ritmiche chitarristiche.
Il virtuosismo e la tendenza al fraseggio bluesy sarebbero stati sviluppati con una certa velocità negli inizi degli anni Settanta. Il giovane chitarrista infatti, si recò a Londra dove iniziò a suonare come musicista a gettone per diverse band che cercavano, per uno o due sere, un chitarrista solista in grado di proporre un repertorio abbastanza variegato e pieno di grandi riferimenti chitarristici contemporanei. Knopfler era una spugna e con pochi ascolti riusciva ad appropriarsi del linguaggio della maggior parte dei suoi ascolti. In quei stessi giorni Knopfler aveva fondato un primo progetto autonomo, una cover band di standard della tradizione rockabilly, forte di un’ottima padronanza della pennata ibrida – plettro e dita – che contraddistingue il fraseggio tipico di quel genere.
La svolta nella carriera però sarebbe arrivata alla soglia del 1977 quando, dopo anni in giro per i locali, insieme a suo fratello alla chitarra ritmica, il batterista Rick Withers e il bassista John Illsley (leggi la nostra intervista), avrebbe fondato i Dire Straits.
L’idea alla base del progetto era quella di proporre un repertorio autonomo, selezionando le sonorità e le tendenze della tradizione passata più congeniali ai musicisti e ponendosi, senza troppe pretese, in controtendenza rispetto al panorama musicale coevo. Distanti dal pop rock come dalla maestosità dei grandi supergruppi di matrice inglese, ma anche dalle derive più estreme del movimento Punk, i Dire Straits riuscirono a catturare i favori del pubblico grazie a suoni certamente familiari, ma proposti in contesti più moderni, freschi e meno consueti.
Quello che però avrebbe reso davvero unico il sound di questa band sarebbe stato, senza ombra di dubbio, il particolare stile chitarristico – oltre che il cantar parlando – dello stesso Knopfler.
Con una tecnica cristallina, vibrati passionali ma mai estremamente violenti e un modo particolarissimo di pizzicare le corde con un personale fingerstyle – più tipicamente usuale per i suonatori di banjo che per chitarristi – le composizioni dei Dire Straits si presentavano con un’orchestra di suoni, mai eccessivamente sporchi, dal ritmo trascinante e la struttura aperta di fraseggio alternato alla ritmica. Il primo disco omonimo della band del 1978 – che aveva raccolto anche alcune registrazioni dell’anno precedente – divenne immediatamente un successo in tutto il vecchio continente. Del resto, già in questo, si sarebbe potuta ascoltare la canzone che avrebbe aperto le porte del successo alla band: “Sultans of Swing”.
In questa traccia sono rintracciabili alcuni dei tratti distintivi del fraseggio di Knopfler, il ritmo “galoppante”, frutto della commistione della chitarra flamenco e gli accompagnamenti leggeri del folk acustico americano, mentre nel fraseggio – come accade più solitamente nel Jazz che nel rock – venivano aperti e sviluppati gli accordi su cui si costruiva il pezzo, per poi lanciarsi un due soli di chitarra estremamente melodici, cantabili, memorizzabili e liberatori. Dopo qualche iniziale titubanza in terra inglese, anche lì i Dire Straits raggiungono un successo enorme nel giro di pochissimo tempo, così sarà anche in America dove sarebbe stato proprio uno dei grandi ispiratori di Knopfler a consacrarne il valore artistico.
Bob Dylan infatti, colpito dalla musica e dalla freschezza dei testi dei Dire Straits, avrebbe chiamato a registrare Mark in occasione del suo disco del 1979: Slow Train Coming. In quello stesso anno un altro grande successo avrebbe confermato la bontà del sound della band dopo la pubblicazione dell’album Communiqué. “Lady Writer” – singolo promozionale del disco – è un’altra perla di composizione ed esecuzione chitarristica di Knopfler, un’esaltazione assoluta del suono gracchiante, nasale e limpido della sua amata stratocaster. Allo stesso tempo influenze nuove – che avrebbero anticipato la direzione dei lavori futuri – le si erano potute rintracciare nella lunga e bellissima: “Once Upon a Time in the West”. Questo pezzo, dalla forte impronta cinematografica, avrebbe aperto la strada a sonorità fino ad allora poco esplorate dal gruppo: c’erano elementi disco, ma anche la bizzarra unione del country-rock con delle lunghe esecuzioni strumentali che anticipano la tendenza di Knopfler al commento sonoro di immagini.
E se quest’ultima si rifà, nei suoni come nel titolo, a un bagaglio musicale e visivo prettamente cinematografico, il titolo del disco successivo della band non avrebbe lasciato spazio a molte interpretazioni: Making Movies. Sarà uno dei lavori di maggior successo dei Dire Straits e la consacrazione definitiva per Knopfler come chitarrista, ormai maturo e completo. Questo LP contiene quella “Romeo and Juliet”in cui Mark, dopo il riff raffinato e romantico di chitarra resofonica – da lì in poi l’avrebbe utilizzata quasi in tutti i dischi – si abbandona lentamente in quell’assolo finale che, soprattutto nei live, avrebbe rappresentato uno dei momenti più richiesti dal pubblico della band e non solo. E restando in tema cinematografico, proprio negli stessi anni Knopfler si sarebbe cimentato nella scrittura di alcune bellissime colonne sore, risultando, anche questa volta, perfettamente in linea con le necessità del contesto.
Nel 1983 registra delle tracce per il film “Local Hero” – ricavandone poi uno dei suoi singoli più apprezzati:“Going Home: Theme of the Local Hero” – mentre un anno più tardi, avrebbe lavorato per i film “Cal” prima e “Comfort and Joy” dopo. Mark avrebbe ammesso più volte che, se non fosse stato per il successo ottenuto con i Dire Strais, la sua carriera sarebbe proseguita nel commento sonoro per film (del reto a inizio Duemila avrebbe rilasciato altri lavori simili). In quelle registrazioni infatti si avvertono tutte le numerose influenze della tradizione popolare Irish e scozzese, la poesia del suono e l’abbandono dei fasti dei palcoscenici rock, che si sarebbero ritrovati più avanti nei suoi dischi solisti.
Il 1985 sarebbe stato l’anno del disco più famoso di sempre della band, e forse quello da cui avrebbe avuto inizio la fase discendente: Brother in Arms. Complici le pressioni dell’industria discografica la band aveva cominciato a strizzare l’occhio alla musica di consumo di quegli anni, cercando di cavalcare quell’onda del successo massificato che, proprio in una canzone come “Money For Nothing” – forse la prova più famosa del nuovo sodalizio con la Gibson Les Paul – veniva ironicamente denunciata. Di lì in poi i lavori migliori di Mark sarebbero stati quelli ottenuti da collaborazioni con altri artisti. Sarebbe stato in tour con Dylan, poi con Clapton – chitarrista con cui condivideva la passione comune per le sonorità minimali di JJ Cale – ma vantò collaborazioni anche con Sting, Van Morrison, Frank Zappa e David Bowie.
Tali progetti alternativi alla band possono essere letti come un’avvisaglia – o un modo per procrastinare – il prossimo ma inevitabile addio. Nel 1995, di comune accorso, Knopfler avrebbe lasciato i Dire Straits, sciolti nella formazione originale ma successivamente riformati con nuovi e vecchi interpreti. A quel punto la carriera di Knopfler avrebbe rischiato, come spesso accade per artisti abituati a vivere in relazione a una sola band e ai successi di questa, di annegare nel revival e la celebrazione di fasti passati da soli pochi anni.
Fortunatamente, l’immenso bagaglio musicale ancora inespresso portò Knopfler verso altre direzioni. Stanco dei fraseggi funambolici, dei ritmi tiratissimi della band come dei concerti nei megastadi, la dimensione artistica del chitarrista avrebbe preso una strada più intimista, lirica e aperta alle contaminazioni sonore di più generi. Cifra distintiva di questa tendenza la si può riscontrare nel repertorio, sempre più ampio, di chitarre utilizzate negli anni a seguire. Senza più affezionarsi a un singolo modello e un singolo suono infatti, Mark avrebbe alternato le classiche stratocaster a modelli personalizzati come la Pensa Suhr, le sue diverse Les Paul, chitarre semiacustiche da rockabilly o le resofoniche National, fino ai raffinatissimi modelli di liuteria italiana firmati Monteleone (cui avrebbe dedicato una canzone).
La fortunata carriera solista del chitarrista si aprì con il disco del 1996 con “Golden Heart”, lavoro che pur essendo ancora prossimo alle sonorità dei Dire Straits si mostrava fortemente intriso di influenze nuove provenienti, soprattutto, dalla musica celtica. Tuttavia, il primo vero disco di successo senza la band sarebbe arrivato solo nel 1999 con Sailing to Philadelphia. In questo lavoro – con diverse partecipazioni prestigiose –Knopfer mostra tutti i frutti della lunga evoluzione di chitarrista diventato, a questo punto, un musicista a tutto tondo. Le sei corde non rappresentano più un orpello, un manierismo o retaggio della grande tradizione degli anni Settanta, ma diventano l’anima stessa di tracce complesse, con mix interessanti di strumenti e arrangiamenti più articolati.
È giocando con le dinamiche, proponendo soluzioni mai scontate, che Mark avrebbe saputo creare, in questa fase, dei piccoli idilli chitarristici. Pur con un approccio molto più minimale infatti, avrebbe tratto dal suo personale fingerpicking delle sfumature emozionali nuove, giocando con i polpastrelli delle dita per traferire al suo fraseggio una poetica che faticava a emergere nei contesti più pop, patinati e spinti dei dischi con i Dire Straits. Nessuno dei dischi a seguire appare mai scontato, cambiano le atmosfere, il senso di intimità, ma non la capacità di essere interessante.
Nel 2004, con il disco Shangra-Li Knopfler si riavvicina alle atmosfere folk rock e al country blues con cui era cresciuto da ragazzo, con “Boom Like That” che può essere considerata, a tutti gli effetti, una delle canzoni più emblematiche del suo nuovo chitarrismo. Tuttavia, la massima espressione di questa rinfrescata impostazione musicale la si sarebbe trovata in quel piccolo grande capolavoro che è il suo disco del 2009: Get Lucky, un successo, anche per la critica internazionale. Oltre alla fantastica title track, in canzoni come “Border River” o “Before Gas and Tv”, si possono apprezzare felici e ben studiati intrecci di chitarre all’interno di un mix molto affollato da strumenti della tradizione popolare: flauti, whistle, corni francesi, armoniche ecc.
La chitarra viene suonata alla stregua degli altri strumenti “normalizzando” fraseggi – in realtà mai troppo facili – all’interno dell’economia globale della canzone. E un’altra grande prova discografica del chitarrista, che vide annesso allo stesso un tour mondiale molto lungo e apprezzato, sarebbe stato il disco del 2015: “Tracker”, meno intimista rispetto ai lavori precedenti ma caratterizzato da esecuzioni strumentali più lunghe.
Buona parte del vecchio pubblico avrebbe avuto da recriminare, in merito a simili lavori, la mancanza di mordente, la pigrizia del fraseggio – non più sanguigno e funambolico come un tempo – e la carenza di soluzioni memorabili come era stato il famosissimo e (anche troppo) inflazionato solo finale di “Sultans of Swing”. Tuttavia, a rispondere a queste critiche c’è l’opera magistrale di un fuori classe assoluto delle sei corde che, anche e soprattutto negli ultimi lavori, ha mostrato una sintesi che appare sempre naturale tra tradizioni molto lontane. Il Knopfler di Down the Road Wherever, come quello di “Just a Boy Away from Home”, riesce a far apparire semplice e digeribile, accostamenti e soluzioni tecniche che la maggior parte dei musicisti non sarebbe in grado di conciliare.
La sua singolare carriera, tecnica, capacità compositiva hanno dato frutto a un altrettanto singolare percorso evolutivo che invece di far rimpiangere – come è accaduto per buona parte dei chitarristi di questa rubrica – il suo passato, lo fa riascoltare come una semplice ma fondamentale tappa della crescita di un genio puro e assoluto delle sei corde.
Ascolti consigliati:
– Dire Straits
– Making Movies
– Alchemy: Dire Straits Live
– Sailing to Philadelphia
– Get Lucky
– Tracker
– Down the Road Wherever
Matteo Palombi