1966: degli anni Sessanta è – quasi senza timore di sbagliarsi – l’anno più rivoluzionario, dato che entrano nella scena musicale nuovi attori in grado di trascinare il Rock verso le vette di una maturità inaudita.
La sperimentazione compositiva e tecnica, in cui si creano nuovi stili ibridando quelli già esistenti, motivo per cui è necessario valicare i limiti della tecnologia (di per sé assai valida e versatile, ma non in grado di stare al passo con l’eruzione di nuove idee), è portata avanti in particolar modo da gruppi che proprio in quel periodo fanno il loro esordio: Cream e Jimi Hendrix Experience sono due nomi che parlano da soli, dato che la loro feconda produzione raggiunge un’inventività che si spinge oltre i limiti del sistema solare, giungendo a toccare le estremità della galassia musicale esistente.
L’inventività compositiva e tecnica non è il solo aspetto che balza all’occhio quando si guarda al 1966. Il Rock, solo dall’anno precedente, è appena entrato nell’età adulta, e questa maturità la si coglie anche nei temi, e quindi nei testi delle canzoni. A titolo di esempio possiamo riferirci a dischi come l’acclamatissimo Pet Sounds, in cui la leggerezza e l’ottimismo dei giovani impegnati a cavalcare le onde dell’oceano e a flirtare con le ragazze in spiaggia lasciavano il posto a riflessioni più ponderate e serie sulla vita e il suo senso, sulla sua direzione, sulle sue autentiche necessità (riflessioni che avrebbero contrastato con l’ormai prossima vacuità della moda hippie, fiorita nel 1967), oppure l’inconfondibile Face To Face dei Kinks, in cui le canzoni diventavano piccoli gioielli in cui mettere in scena soprattutto una sferzante satira sulle mode nonché le manie dei personaggi più o meno grotteschi della società.
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Rispetto ai nomi fin qui citati, i Beatles non sono da meno: il 6 Aprile iniziano le sedute di registrazione di quel pezzo da novanta che è Revolver (il disco rimase “anonimo” fino all’inizio di Luglio, quando il gruppo – impegnato con dei concerti in Giappone – scrisse un telegramma alla EMI in cui le annunciava l’agognato titolo). Le sedute di Revolver, anch’esse caratterizzate da un elevato grado di sperimentazione tecnica (nastri al contrario, artificial double tracking, archi, ottoni e sitar) e da una notevole maturità dei testi, si protraggono sino al 22 Giugno.
Dopo aver concluso un lavoro assai impegnativo – inframmezzato da apparizioni live (concerto NME Poll Winners), da apparizioni televisive (Top of The Pops) e dalla registrazione di video musicali (“Paperback Writer”), sarebbe stato d’obbligo un meritato periodo di riposo, ma l’agenda degli impegni concepita da Brian Epstein era inflessibile. Il loro scopritore e manager aveva concepito una tournée in due tranches, sulla falsariga degli anni precedenti. Il 23 Giugno, il giorno dopo aver concluso Revolver, erano già a Monaco di Baviera. Quello che si sarebbe rivelato il loro ultimo tour iniziò proprio dal Paese che pochi anni prima li aveva visti farsi le ossa come artisti con la A maiuscola, in grado di stare sul palco e di promanare un proprio fascino.
Suonarono il 24 presso il Circus Krone Bau, struttura stabile per spettacoli circensi (lo dice il nome), realizzata nel 1919 e danneggiata dai bombardamenti del 1944. Il cartellone degli anni Sessanta generalmente si articolava in due spettacoli – uno tardo pomeridiano e uno serale – con scalette di circa 30 minuti ciascuna, più o meno la durata di un LP.
I Beatles, vestiti con un completo color verde scuro, si esibirono davanti alle telecamere dell’emittente nazionale ZDF (riprese in bianco e nero). Da notare come tra le canzoni del concerto non vi fosse nessun pezzo tratto dal loro ultimo disco. La questione si spiegava con il fatto che era filosofia del gruppo non suonare nulla che fosse ancora da pubblicare, ma ancor di più trovava una giustificazione nel fatto che – come detto già innumerevoli volte – la creazione nello studio di registrazione fosse giunta ad un livello di sofisticazione tale che la performance live non riusciva manco lontanamente a replicare in modo fedele.
La performance monacense, come del resto le altre di quel tour (a suo modo memorabile) non brillò per qualità, ma d’altronde era prevedibile, dal momento che i quattro avevano concluso la realizzazione del nuovo disco e il giorno dopo erano dovuti volare in fretta e furia nella Repubblica Federale Tedesca, senza quindi poter ricaricare degnamente le batterie e men che meno provare e ripassare la scaletta degli spettacoli.
Il 25, senza perdere tempo, si recarono in treno ad Essen (Renania Settentrionale-Westfalia), svariati chilometri a nord ovest di Monaco. Teatro dell’esibizione la Grugahalle, una sorta di palazzetto dello sport. Anche in quest’occasione l’esecuzione fu tutt’altro che impeccabile, dato che capitò qualche svista nel cantare i testi, e il suono degli strumenti stentò ad aprirsi un varco, nell’assordante rumoreggiare di una folla delirante faticosamente tenuta a bada dai metodi abbastanza severi della polizia.
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L’impatto di situazioni così stressanti come quella sopra descritta, oltre ad una nutrita serie di imprevisti e trattamenti ben poco dignitosi nel prosieguo del viaggio, avranno un ruolo decisivo nello spingere i Beatles a smettere con la catena di montaggio delle logoranti tournée. La gente, a detta di John Lennon, era così presa dall’urlare istericamente alla vista dei Beatles, che questi ultimi avrebbero potuto tranquillamente mandare in giro per il mondo quattro manichini al posto loro, tanto sarebbe passata inosservata la cosa.
Il 26 Giugno invece furono catapultati ad Amburgo (città anseatica di Amburgo), nell’estremo nord del Paese. L’ultima tappa del BRAVO Tour (BRAVO era – ed è il nome di una rivista tedesca per ragazzi) stimolò sentimenti contrastanti nei quattro, perché se l’esibizione alla Ernst Meck Halle (struttura non più esistente) ancora una volta era stata sulla falsariga delle due precedenti, a fare da contrasto a tale spiacevole situazione fu il tuffo nei ricordi del biennio 1960-1962, quando – ingenui ed inesperti – erano alle prese con il farsi le ossa attraverso una massacrante sequenza di spettacoli nei locali a luci rosse della Reeperbahn, la zona portuale della città (ovvio dirlo, notoriamente frequentata da personaggi poco raccomandabili).
I quattro giorni trascorsi nella RFT si erano finalmente conclusi, ma non era ancora giunto il momento di rilassarsi, dato che già il 27 Giugno erano nuovamente in volo, questa volta per il Giappone, un Paese che avrebbe cambiato la vita di John Lennon (e che gli altri tre – come lui – avrebbero nuovamente visitato negli anni Settanta e oltre). Dopo uno scalo ad Anchorage, in Alaska, il 28 o il 29 Giugno sarebbero atterrati nel Sol Levante, per ottemperare ad un’altra serie di concerti.
A perenne memoria dei concerti del Giugno 1966 vi sono le fotografie di Robert Whitaker, che nel 2008 le pubblicò in un preziosissimo volume edito da Gremese.
Non trovando spazio in questo articolo, le peripezie nipponiche verranno trattate adeguatamente nella prossima puntata del racconto dell’ultimo tour.
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