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Un disco per il week end: Images and Words dei Dream Theater

Berklee College of Music di Boston, prima metà degli anni ’80, tre giovani studenti dell’istituto si incontrano e decidono di formare un trio in cui possono dare sfoggio alla loro creatività ed alla loro indiscutibile tecnica.

I tre giovani ragazzi in questione altri non sono che il chitarrista John Petrucci, il bassista John Myung ed il batterista Mike Portnoy che, insieme, decidono di battezzarsi Majesty.

Le prime influenze, ovviamente progressive, sono innegabili ed è questa la direzione che prendono con il cantante Chris Collins ed il tastierista Kevin Moore.

Purtroppo il gruppo ha un problema di omonimia con un’altra band e decidono di cambiare nome in Dream Theater, nome preso da un cinema, ma questa volta dietro al microfono c’è Charlie Dominici con il quale incidono il loro primo album, When Dream and Day Unite, nel 1988.

Il sound c’è tutto, ma la voce non è proprio quella giusta e Dominici viene licenziato, oggi ha una carriera nel jazz, e viene sostituito dal canadese James LaBrie.

Con l’aggiunta di Labrie il gruppo trova finalmente la sua giusta sonorità e, nel 1992, pubblica un vero e proprio manifesto del progressive metal, Images and Words.

Album riproposto interamente dal vivo in occasione del suo 15° anniversario al Gods of Metal del 2007. Ma bando alle chiacchiere e passiamo alla tracklist:

 

1) Pull Me Under: è la traccia di apertura dell’album e comincia subito con un attacco decisamente metal dove la chitarra di Petrucci viene sorretta dalla batteria di Portnoy, ma la vera chicca è la voce di LaBrie, potente e diversa da quella dei suoi predecessori.

Il testo è stato composto da Moore prendendo ispirazione dall’Amleto di William Shakespeare, ma viene troncato alla fine proprio per dare l’idea della morte che coglie l’uomo all’improvviso.

Ovviamente, con questo brano, la chitarra di Petrucci si intreccia perfettamente con le tastiere, il basso e viceversa rendendo unico il sound della band.

C’è anche un video, accorciato perché dura 8 minuti, ma vorrei soffermarmi brevemente su una parte del testo per riallacciarmi al discorso sulla morte. I’ll take seven lives for one/And then my only father’s son/As sure as I did ever love him/I am not afraid”.

2) Another Day: seconda traccia, e video, che si differenzia completamente dalla precedente. L’intro è acustico, interessante il giro di Moore e gli arpeggi di Petrucci, ma poi si ritorna a sonorità più elettriche e soprattutto tecniche.

La voce di LaBrie volta letteralmente sul delicato testo di Petrucci dedicato al padre malato di cancro. Il brano vede inoltre la partecipazione del sassofonista Jay Beckenstein degli Spyro Gyra.

“Better to save the mystery/Than surrender to the secret” sono le parole prima dello straordinario assolo di Petrucci e, naturalmente, di Beckenstein.

3) Take the Time: altro video per il quartetto, accorciato perché dura 8 minuti, che si lancia subito in una potente cavalcata strumentale iniziale dove è possibile sentire anche il lavoro, al limite del funky, di Myung e la tellurica batteria di uno scatenatissimo Portnoy.

Non mancano i consueti intermezzi pianistici di Moore ad impreziosire il tutto. Questo brano, scritto da tutti i membri della band, è una sorta di ricordo collettivo perché si sono ispirati agli anni precedenti, le iniziali difficoltà, il cambio del cantante e via dicendo.

Inoltre è presente anche un campionamento da“Nuovo Cinema Paradiso” (film di Giuseppe Tornatore del 1988) con la frase “ora che ho perso la vista, ci vedo di più”.

4) Surrounded: le tastiere di Moore scandiscono il delicato intro del brano per poi lasciare spazio agli interventi di Petrucci e Portnoy a cui si riallacciano le tastiere, stavolta più intense, di Moore.

Ammirevole anche il gioco di parole di LaBrie, che spazia senza problemi nella struttura del brano, “Light to Dark/Dark to Light/Light to Dark/Dark to Light”.

Con la stessa delicatezza della partenza il brano si conclude sulle note del piano di Moore. Da ricordare inoltre che il brano è stato dedicato, durante il tour promozionale, al tennista e filantropo Arthur Ashe morto di AIDS nel 1993.

5) Metropolis – Part I: ‘The Miracle and the Sleeper’: la struttura, simile alla prima traccia, si snoda lungo 9 minuti e mezzo di puro progressive metal made in USA dove la voce di LaBrie vola, si sovrappone, si sdoppia e si unisce ai cori ed alle tastiere di Moore fino a giungere ad inarrivabili picchi psichedelici.

Più che notevoli i giri di basso funky di Myung per alleggerire alcuni passaggi. La seconda parte di questa suite progressiva si vedrà nel quinto album della band, Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory, del 1999, ma questa non è l’unica citazione del futuro della band.

Anche la frase finale, “Love is the Dance of Eternity”, proviene dall’album appena citato con il brano, quasi omonimo, The Dance of Eternity.

6) Under a Glass Moon: intro spettacolare e maestosa a cui segue la batteria del buon Portnoy ed un altro assalto metal, ma le tastiere mantengono le cacofonie progressive prima del deciso palm muting di Petrucci.

Da notare i giri di tastiera, vagamente alla Jon Lord, verso il quarto minuto e gli assoli finali sempre ad opera di un ispiratissimo Moore.

Il testo poi, poesia pura firmata dal chitarrista, è un perfetto bilanciamento tra metafisica e psicologia. Iconiche le strofe come Beneath a summer sky/Under glass moonlight/Night awaits the lamb’s arrival/Liquid shadows crawl/Silver teardrops fall/The bride subsides to her survival”.

7) Wait for Sleep: delicata intro sempre ad opera di Moore, autore anche del testo, che dipinge letteralmente la copertina.

Straordinariamente breve per gli standard della band e dell’album, due minuti e mezzo scarsi, il brano colpisce immediatamente per la sua dolcezza sonora. With wings up in heaven/Or here, lying in bed/Palm of her hand to my head/Now and forever curled in my heart/And the heart of the world”.

8) Learning to Live: suite finale con una intro ad opera di Moore e Portnoy, per non parlare degli interventi di Myung, per ben undici minuti e mezzo in pieno stile prog.

Il testo poi descrive perfettamente la situazione mondiale dell’epoca. Listening to the city/Whispering its violence/I set out watching from above/The 90s bring new questions/New solutions to be found/I fell in love to be let down”. La degna conclusione di un capolavoro firmato Dream Theater.

 

Giudizio sintetico: Semplicemente un capolavoro nonché una pietra miliare della band e del progressive metal in generale. Inoltre, la figura di John Petrucci, si impone come uno dei principali punti di riferimento per tutti i chitarristi amanti del genere e per lo studio della chitarra, acustica ed elettrica, moderna.

Copertina: Una bambina in piedi vicino alla finestra. Accanto a lei un cuore infuocato avvolto dal filo spinato, la luna fa capolino dai vetri e sul letto a baldacchino è inciso il simbolo della band.

Etichetta: ATCO

Line up: James LaBrie (voce), John Petrucci (chitarra), John Myung (basso), Kevin Moore (tastiere), Mike Portnoy (batteria e percussioni) e Jay Beckenstein (sassofono soprano in Another Day)

 

Vanni Versini Onda Musicale

— Onda Musicale

Tags: Dream Theater, John Petrucci, William Shakespeare, John Myung, Mike Portnoy, Majesty, James LaBrie, Prog Metal, Charlie Dominici, Images and Words
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