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Lucio Matricardi: un disco nuovo, di politica, d’amore e di nuove rinascite. La nostra intervista

È già dal titolo che tutto nasce: “Non torno a casa da tre giorni” è il nuovo disco di Lucio Matricardi. Un cantautore dalla penna ricca di visioni poetiche.

Sono di quei dischi che avrebbero meritato tanto invece si consumano dentro le ombre di riflettori che puntano sempre sui soliti noti. Il nostro mestiere dunque si fa nobile ancora di più perché non si perdano per la via dischi alti come questo, dove la parola ha un peso di consapevolezza, una ragione poetica e una maturità di sapersi dosare. Il suono poi è frutto di mestiere e non di dopolavoristi. Insomma: un disco che dovrebbe stare nei piani alti della nostra canzone d’autore. Rivoluzioneremo anche questo… e che belle le interviste come questa, quando l’artista ha un mondo di dentro e te lo sta regalando!!!

Lucio Matricardi - Cover disco
Un bellissimo dipinto, uno spaccato di vita vissuta. Si conclude in qualche modo il racconto secondo te?

«Il racconto del disco resta sempre aperto per tutti. Può iniziare ovunque ed essere letto anche la contrario. Per me invece l’ordine delle canzoni ha un significato speciale. Si chiude con “La gabbia del canarino” che è la canzone dedicata alla morte di mio padre. O meglio, a quelle sensazioni nei tre giorni successivi mentre eravamo in casa con mia mamma. L’incomunicabilità tra 2 persone che vivono un momento al di là delle parole. E che si esprime nel silenzio, nei litigi, nel guardarsi negli occhi, nel raccontarsi piccoli segreti inconfessabili. Quando non riusciamo a comunicare per me parte un viaggio, “il grande viaggio” che ci porta a voler sentire l’altro in ogni modo possibile. Ci porta ad ascoltare con un magico stetoscopio. È questa per me la fine del racconto. E’ la morte, in qualsiasi forma, figurata o reale, che preannuncia il ritorno della vita».

Andare via di casa che cosa sta a significare per te?

«Per me ha sempre voluto dire dapprima staccarsi dalle abitudini e dai vecchi pensieri. E poi trovare una nuova casa in quella libertà raggiunta. Le case senza pareti sono inclusive. Tutto diventa casa. Anche la casa da dove sei partito».

Ed è “fuori casa” che nasce questo disco? Oppure è al riparo della casa che si scrivono canzoni nuove?

«Quando mi libero dai pregiudizi o dagli schemi sento come affiorare una parte di me magica, insondabile, meravigliosa. Ma gli schemi e i pregiudizi sono destinati a tornare. O in noi, perché sono sempre in attesa di riacciuffarci, o negli altri, perché spesso anche quelli che amiamo vivono una condizione di difficoltà o di pregiudizio. Ed ecco che non si è mai liberi veramente. Così parte l”assurda convivenza”, atti eroici e pieni di felicità e compromessi con tutti i fastidi quotidiani. Se queste due parti riescono a parlare, diventa una magia. Diventa una avventura delicata dove siamo chiamati ad essere felici in parallelo e in complicità con ciò che ci circonda. È difficilissimo. In una nuova canzone ho scritto: “ Volevo essere libero e invece mi hai legato, e ora sciogliere quei nodi è una bellezza…”. Penso che dica tanto sul mio modo di vivere immerso nelle contraddizioni».

La pandemia? Inevitabile non citarla… in qualche modo è stato quel bisogno di non tornare a casa da tre giorni?

«Io la pandemia l’ho vissuta bene al netto del disastro che è stato. Prima ho vissuto la mia vita fuori casa, in giro e dappertutto. Quando all’improvviso sono dovuto rimanere in casa, l’ho sentita come una novità. Ho cercato di dilatare i miei spazi, di avvicinarmi al piccolo, mi prendevo cura dei fiori. Mi sono trovato a sognare parecchie volte di partire all’avventura, ed ho capito quanto fosse essenziale. Non voglio dire che lo rifarei… (risata), ma che lo stato di necessità implica una nuova visione delle cose, possibilmente a vantaggio di qualsiasi cosa possa portare un sorriso anche nel disastro più totale».

Lucio Matricardi - La manna dal cielo
Parliamo di suono e parliamo di produzione: soluzioni classiche dove la melodia impera su tutto. Eppure sembra essere una “novità” per te…

«Io vivo di atmosfere e sensazione. Quanto mi piace quando una musica riesce ad evocarla. E’ pazzesco. E’ come se potessi dire al vento e alle maree quando scomparire o quando prendere vita. E lo fai da sciamano indiano, con un ballo forsennato e pazzo. Non da onnipotente. Non lo sai se funziona. A volte la musica ti ascolta a volte no. Non puoi rinunciare a nessun suono per ottenere un briciolo di questo. E neanche alla melodia».

Il video di “La manna dal cielo” è il vero momento politico del disco. Perché di politica si parla… ma è l’unico?

«Tutto ha una sua politica. Anche le migrazioni degli uccelli sono politica. Anche come ti vesti è politica. Il fatto è che a questa parola uniamo un senso di degrado o un senso di partigianeria/tifoseria. Invece la politica è il modo in cui “l’uomo organizzato” decide di gestire alcune questioni. Questo ha poco a che fare con l’artista. Ma ne ha molto se pensi che queste scelte influenzano la realtà e le parole, quindi i vissuti della gente. La mia politica riguarda il vissuto, come vivono i miei simili. È allucinante che una società che si “autoproclama” evoluta conviva con la morte di tanti lavoratori in condizioni di semi-schiavitù. È inevitabile che io pensi all’ipocrisia del nostro “benessere” quando intorno a me amici o persone fanno fatica a vivere. È inevitabile che la mancanza di pietà verso gente che affronta il mare in condizioni difficilissime evochi molte contraddizioni nella mia vita o nei pensieri di chi mi circonda. Per esempio chi è cristiano, che presupposti chiede ad un altro essere vivente perché sia “il prossimo suo?”. E mascherare questa folle ecatombe dietro venali motivazioni economiche presunte, ti abilita a non soccorrere un uomo in difficoltà? E non conoscere la storia della colonizzazione fa si che tu senti i tuoi confini come sacri? Tutto questo è politica. Ma è la politica dentro agli occhi della gente. La politica può spostare la parte sana facendola diventare malaticcia e predisposta all’ottundimento e viceversa. Ogni mia canzone è politica. Lino è una persona non integrata nella società che a forza di essere respinta, scompare in mezzo al mondo. “Elena” è il sogno di una persona che vuole essere indipendente emozionalmente in un mondo che la vuole spezzettata in ogni aspetto della sua personalità. “Gioia clandestina” racconta luci e ombre di un amore che va vissuto nella sua interezza e non solo quando “funziona bene” ( linguaggio degli ingegneri più che degli amanti). E così via. Io direi che ogni canzone è un pò tutto quello che può. Ma sicuramente, anche senza volerlo, un po’ politica».

— Onda Musicale

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