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Red Hot Chili Peppers: la svolta di ‘By The Way’

I Red Hot Chili Peppers in concerto

Il 9 luglio del 2002 usciva l’ottavo album in studio della band californiana. Un successo in termine di vendite, una svolta . Un breve viaggio alla riscoperta del disco.

“Scrivere By the Way, il nostro album seguente, fu un’esperienza totalmente diversa da Californication. John era tornato se stesso e traboccava fiducia.”

Anthony Kiedis (Scar Tissue, Mondadori, 2005)
La genesi del disco

Due anni dopo Californication i Red Hot Chili Peppers pubblicano sul mercato un disco destinato a dividere i fan. Con By the Way il sound sembra prendere direzioni più marcatamente pop e mainstream. Il chitarrista John Frusciante è la mente dell’album. Inizialmente aveva in mente un sound diverso da quello che ascoltiamo oggi, con uno stile più orientato verso il punk rock. Il produttore Rick Rubin era invece più propenso alla melodia.

Flea, di parere contrario, avrebbe voluto mantenere sonorità più ‘selvagge’ e funk, più familiari alla natura del gruppo. Aveva in mente un disco più vicino a Blood Sugar Sex Magik. Avrebbe addirittura preso in considerazione l’idea di lasciare il gruppo per questo cambio di rotta. Alla fine sarà comunque il gusto per l’innovazione di Frusciante a dare il sound all’album, con alcune concessioni allo stile originario.

 “In quel periodo ascoltavo tantissima musica doo-wop, i Beach Boys e i Beatles. Volevo fare musica che non fosse basata sul blues o sul punk, volevo dipingere fuori dalla cornice che avevamo creato

John Frusciante

La band registra il disco in un luogo davvero particolare, lo Chateau Marmont. Si tratta di un hotel a Hollywood sul Sunset Boulevard in cui hanno vissuto alcune tra le star più importanti del cinema e del mondo della musica. Ed è anche il luogo dove John Belushi è morto nel 1982. Qui John Frusciante arriva dopo il tour mondiale di Californication e sarà raggiunto poco dopo dal resto del gruppo, incluso il produttore Rick Rubin.

Anche io avevo vissuto allo Chateau Marmont in passato. John viveva lì, è l’edificio più bello e pieno di sentimento di tutta Hollywood quindi abbiamo portato i microfoni e abbiamo registrato lì, e io per creare l’atmosfera ho appeso un sacco di poster di film degli anni 30 e 40 alle pareti.”

Anthony Kiedis

La svolta melodica

In alcuni brani le sonorità sono più melodiche e vicine al pop-rock. I testi sono incentrati sull’amore, pensiamo ad esempio a By the Way, I Could Die for you e Dosed. Dominante è anche il tema della droga, con tracce come This is the Place e Don’t Forget Me. Kiedis affronta il suo rapporto con gli stupefacenti e con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista fisico ed emotivo. Il cantante, ripulito dalla droga solo pochi mesi prima, ha infatti vissuto sulla propria pelle il pericolo della ricaduta.

Non manca il riferimento all’ex compagno di band Hillel Slovak, morto a causa di un’overdose di eroina nel 1988. Il brano This is the Place racconta di come fosse ubriaco il giorno del suo funerale (On the day my best friend died/I could not get my copper clean). In Venice Queen il cantante fa riferimento ad una storia altrettanto triste, con un’ode alla terapista scomparsa Gloria Scott, che lo aveva aiutato nel percorso di riabilitazione, Ci sono brani anche più movimentati e in stile funk. Can’t Stop, così come la title track, sono brani nello stile ‘classico’ della band, resi celebri anche grazie a due videoclip divenuti in pochi mesi popolarissimi su Mtv.

Un disco in cui ci sono tutti gli ingredienti dei ‘nuovi’ Red Hot Chili Peppers: funk morbido, pop-rock e testi rappati che si amalgano tra loro. Rispetto a Californication un velo di tristezza e malinconia pervade l’album. Il serbatoio della creatività è forse un po’ a secco e il sentimentalismo di Kiedis prevala sull’adrenalina.

Il giudizio della critica

Buona l’accoglienza della critica, anche se non unanime. Rolling Stone lo ha definito un “equilibrio quasi perfetto tra sporcizia e alta aspirazione artistica”. Zac Johnson di AllMusic ha detto che l’album era “sofisticato” e che “i Peppers non hanno sacrificato nessuna delle loro energie o passioni tipiche per la vita, l’amore universale e (ovviamente) la lussuria”.

Meno generoso il giudizio di Blender che lo ha semplicemente ribattezzato “Californication 2”. Il magazine non perdona alla band il fatto di non aver cambiato lo stile e di essere rimasti estremamente simili nel suono. Jaime Lowe di The Village Voice ha stroncato i testi di Kiedis definendoli “assolutamente sconcertanti” e ha commentato che “è come se avesse preso in mano un dizionario di rime e messo insieme arbitrariamente alcune frasi”.

Difficile riassumere in poche righe il giudizio dei fan. Le vendite parlano chiaro, e le classifiche pure. Il disco è stato un successo, e i fan hanno risposto in modo ottimale. Una parte ha sempre rimpianto le sonorità più esplosive di dischi come Blood Sugar Sex Magik. Non tutti hanno digerito il nuovo cambio di passo. E nel bene o nel male, questo disco ha aperto la strada al periodo recente dei Red Hot Chili Peppers.

Saluti dalla dimensione dei colori e delle forme invisibili. La musica di questo album ha allargato i nostri confini e ci ha reso più grandi. Grazie per ascoltarci e per essere esattamente chi siete”. 

Frase contenuta nel libretto dell’album

— Onda Musicale

Tags: Red Hot Chili Peppers
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