Quando la musica diventa arte a 360° e il cinema non può fare a meno di idolatrarla. Ogni album ha una storia da raccontare, ogni cantante può essere di ispirazione per registi malinconici di un rock oramai passato, ogni canzone può essere un frame cinematografico.
Tommy – The Who (1975)
Pete Townshend aveva in mente già da tempo il concept album di “Tommy”, un disco che ha visto la luce nel periodo di massima ispirazione dei The Who. Per questo non sorprende la genialità che si nasconde dietro il doppio vinile, le cui 24 canzoni erano considerate dal chitarrista come un unico e lungo brano.
Così Townshend ha raccontato quali fossero le intenzioni della band nei riguardi dell’album: una storia struggente dove un bambino di nome Tommy, perde la vista, l’udito e la capacità di parlare in seguito a un trauma.
Diretto da Ken Russell, il film si basa sulle tracce che compongono l’album. La famosa “Pinball Wizard”, oggetto di molte cover, costruisce l’abilità del protagonista col flipper: l’unico sollievo nella triste vita di Tommy, un gioco in cui diventerà campione – a tal punto da ottenere successo e soldi.
Malgrado ciò, l’esistenza del ragazzo continuerà ad essere costellata da violenze ed abusi, ma è alla fine che il bambino – una volta dopo aver scalato a mani e piedi nudi una montagna – lancia al cielo una invocazione: “See Me, Feel Me, Touch Me, Heal Me”. Soltanto quando il sole sorgerà, Tommy capisce di aver raggiunto l’agognata libertà e, con “Listening to You”, anche la definitiva elevazione spirituale.
The Wall – Pink Floyd (1982)
Diretto da Alan Parker, il film è la trasposizione cinematografica del concept album “The Wall”. Presentata per la prima volta al 35° Festival di Cannes il 23 maggio 1982, la pellicola non ha una trama lineare, bensì è un susseguirsi di immagini e visioni ispirate proprio ai brani che compongono “The Wall” – fatta eccezione per alcune scene.
Non tutte le canzoni, però, sono state inserite: “Hey You” e “The Show Must Go On” furono escluse poiché ripetitive al fine della storia. Al contrario, il brano “What Shall We Do Now?” venne aggiunto al lungometraggio, nonostante non fosse contenuto nell’album.
All’apice del loro successo, Roger Waters cominciava a sentirsi sempre più distante psicologicamente dai fans, un estraniamento da cui nacque sia il disco sia il film. Non a caso, il nome del protagonista è Pink, il quale personificava il disagio che la band provava nei confronti del successo e di chi li idolatrava.
Seppur l’album fosse concepito su quel muro di incomunicabilità, le tematiche trattate erano diverse e andavano dalle discriminazioni all’istruzione, dal fascismo al coinvolgimento autobiografico dello stesso Waters.
Una visione cupa e pessimistica della vita che trova la speranza nel crollo del muro, con un messaggio di auspicio verso il futuro presente in “Outside the Wall”.
Velvet Goldmine – il Glam rock (1998)
Diretto da Todd Haynes, “Velvet Goldmine” è un viaggio spazio-temporale che incarna la filosofia estetico-musicale del glam rock. Tutto comincia con un neonato abbandonato in un vicolo buio di Dublino nel lontano 1854. Oscar Wilde, questo era il nome del bambino, un personaggio che agli occhi del regista era un alieno per il suo modo di pensare e di essere. Non soltanto, Hayens considerava lo scrittore il primo idolo pop ad aver messo piede sulla terra.
Le persone muoiono, ma lo stile dandy no: cento anni dopo, sarà il cantante Brian Slade l’erede di Oscar Wilde, diventando così l’icona della musica glam-rock. All’apice della sua popolarità, l’artista, esausto e depresso a causa della fama, simulerà il proprio omicidio artistico durante un concerto.
Ispirato all’ascesa e al tramonto di Ziggy Stardust, l’alterego più famoso di David Bowie, nell’idea originale del film dovevano essere utilizzate anche alcune canzoni del Duca Bianco, il quale non concesse i diritti di nessun brano.
Per Bowie, infatti, la pellicola ritraeva una figura distorta del suo essere: l’originalità di Slade sembrava esser stata costruita da altri, al contrario di Ziggy Stardust che era unico ed inimitabile. Inoltre, non approvava la sceneggiatura in cui vi erano eccessivi riferimenti omosessuali che, indirettamente, gli erano attribuiti. D’altro canto, Haynes aveva soltanto preso in prestito – e romanzato – quelle dicerie che nella prima metà degli anni Settanta narravano di un Bowie amante sia di Iggy Pop sia di Lou Reed.
Pregno di riferimenti culturali delle rockstar di allora, i dialoghi rappresentano l’estetica del glam e del pop: molte sono le citazioni a Oscar Wilde e Jean Genet, altre battute nascono dalla filosofia del Duca Bianco e di Brian Eno.
Tra rivisitazioni del passato e brani originali, che vanno dagli Stooges a Lou Reed, dai New York Dolls ai Roxy Music, fino ad arrivare ai Pulp, “Velvet Goldmine” è il glam rock per eccellenza.