Nei miei precedenti articoli, ho analizzato due album fondamentali nella storia del grunge, Ten e Nevermind. Ho illustrato il contesto storico in cui è nato questo genere musicale e l’etica a cui erano devoti i musicisti.
Oggi sposterò il focus su un’altra band che ha fatto la storia del grunge: i Soundgarden, i primi a Seattle a firmare con una major e la band che convinse Kurt Cobain a registrare Bleach con la Sub Pop.
Le origini
Come la maggior parte delle band più conosciute, anche i Soundgarden hanno militato in altri gruppi prima di confluire in quello che avrebbe portato loro la notorietà. I The Shemps erano formati da Matt Dentino, coinquilino di Kim Thayil, e Hiro Yamamoto. Chris Cornell, allora diciottenne, voleva provare a cantare e rispose all’annuncio di Dentino per un cantante. Andò a vivere con Hiro, e nei primi anni Ottanta iniziarono a esibirsi nei locali di Seattle suonando cover dei Doors, di Hendrix e degli Stones.
Tra casa di Hiro e quella di Kim Thayil nacquero i Soundgarden
Quando Matt Dentino lasciò la band, i due cercarono subito un altro chitarrista, fino ad approdare a Thayil. Fu Hiro a volerlo, così lo chiamò per jammare e in un giorno buttarono giù due canzoni. Dopo due giorni, avevano cinque canzoni (con Chris alla composizione dei testi) ma la storia finì lì. Kim doveva finire l’ultimo quadrimestre alla University of Washington e lavorava a tempo pieno alla Native America Cultural Association, oltre che a una stazione radio dell’università. Hiro e Chris lo tartassarono per settimane e alla fine lui accettò di provare tre sere alla settimana. Perse il lavoro ma era contento di quello che stava ottenendo con la band.
In due mesi registrarono una cassetta con quindici canzoni e suonarono dal vivo infiammando i locali di Seattle. Secondo Hiro Yamamoto, il loro sound all’inizio si accostava più al genere new wave che al grunge o al metal, come sarebbe stato più avanti. Ma ricorda con meraviglia quel periodo, soprattutto il talento di Chris, che riusciva a cantare pestando duro sulla batteria.
Dopo un anno e mezzo/due, però, si resero conto che Chris aveva bisogno di togliersi un po’ di pressione di dosso. Cercarono un altro cantante ma arrivò un batterista: Scott Sundquist, collega di Chris al ristorante dove lavorava come cuoco. Andarono avanti così per un altro anno e mezzo, poi Scott lasciò la band per sistemarsi (era più grande di una decina d’anni).
Matt Cameron all’epoca suonava nei Feedback, che divennero gli Skin Yard. Lui e Kim abitavano vicini, Matt impazziva per i Soundgarden, li preferiva a tutte le band di Seattle. Chiese di fare un provino per loro, a Chris piacque molto e fecero subito un concerto assieme. Dopo quel battesimo di fuoco, nell’87, Matt Cameron era parte integrante del gruppo.
Il sound
Cominciò la ricerca di un sound più minimalista, un ritmo costante e ripetitivo. Sperimentando con parecchia improvvisazione, grazie anche al grande talento di Matt Cameron, si specializzarono in un sound più rock. Anzi, «punk con influenze Black Sabbath» o «roba alla Black Sabbath con influenze punk» come lo definisce Kim Thayil. Mi sento di concordare sulla seconda. Erano infatti ispirati da band come Meat Puppets, Joy Division, Black Flag, Killing Joke, senza contare i gruppi che iniziavano a militare nella scena di Seattle: Green River, Melvins, U-Men e Malfunkshun. Si influenzavano a vicenda.
Jeff Gilbert, della Sub Pop, racconta come la musica dei Soundgarden lo abbia cambiato. Li accosta ai Led Zeppelin in termini di originalità (anche perché a Kim, Chris e Hiro non piacevano i Led Zeppelin). Sostiene che con il loro sound composto da poliritmie e accordi dissonanti, i Soundgarden riuscirono a creare qualcosa di «follemente potente, ma anche di diverso e cupo». Qualsiasi somiglianza avessero, o si sosteneva che avessero, con i Led Zeppelin, non derivava da un’influenza diretta ma dalla loro coesione e dall’atmosfera esplosiva che riuscivano a creare suonando.
L’alchimia tra i Soundgarden ricordava quella degli Zeppelin, in breve «il tutto è migliore della somma delle parti»
Il primo EP Screaming Life (1987) conteneva brani piuttosto cupi, scuri e tristi. Si accompagnavano alla perfezione al modo di cantare di Chris, voce sporca e strascicata, sul palco un caos totale che faceva impazzire il pubblico. Era una musica diversa, quasi totalmente priva di scale maggiori, il punto forte delle band di quell’epoca. Cominciarono a fare tour, pubblicare dischi ed EP con etichette indie e poi fu il momento del salto di qualità. A quel punto, i Soundgarden erano già i Soundgarden, alcuni dei padri del grunge – del sound di Seattle. Kurt Cobain aveva confessato a Kim Thayil che li riteneva la sua principale influenza. Due major se li contendevano, ma alla fine registrarono Louder Than Love con la A&M, dirottando il loro sound così personale verso il metal e l’heavy metal (in quel periodo stava uscendo And Justice For All dei Metallica). Nel frattempo Hiro Yamamoto lasciò il gruppo e venne rimpiazzato prima da Jason Everman e poi da Ben Shepherd.
Con Badmotorfinger inizia la vera scalata dei Soundgarden
Disco ancora più cupo dei precedenti, più estremo, più pesante. Vanno in tour con i Guns N’ Roses e gli Skid Row, perdendo un po’ il favore dei fan più devoti alla scena indipendente. Per la band, però, non era una questione di superbia, quanto di praticità. Andare in tour con quei gruppi avrebbe significato suonare davanti a un pubblico più vasto e ottenere ingaggi fuori dai soliti posti. Era un’occasione che non potevano perdere, se l’obiettivo era fare della propria passione una professione.
Superunknown
Superunknown (1994) debutta al numero 1 della classifica di Billboard Top 200 e decreta il maggior successo della band, dopo i numeri pazzeschi di Nirvana e Pearl Jam.
La band aveva addosso un po’ più di pressione, con Badmotorfinger diventato disco d’oro le aspettative da parte dell’etichetta si erano alzate. Impiegarono sei mesi per la registrazione, stando anche tre giorni su una parte di chitarra. Tutti erano convinti che sarebbe stato l’album della scalata al successo, tutti tranne loro, che volevano solo fare un buon disco ed esserne fieri.
Riuscirono sicuramente nel loro intento. Nel 1995 l’album fu candidato ai Grammy come Miglior album rock, mentre Spoonman e Black Hole Sun vennero premiate come Miglior interpretazione metal e Miglior interpretazione hard rock.
Le canzoni e i temi
C’è sicuramente più sperimentazione rispetto ai precedenti album. Gli arrangiamenti sono più elaborati e contengono elementi hard rock, metal, psichedelici, punk, il tutto sorprendentemente coeso grazie ai contenuti e a un tratto melodico sperimentato poco fino ad allora.
Let Me Drown parte con un riff travolgente e una voce cupa, per poi esplodere in un ritornello pieno, tra la voce principale e i controcanti notevolmente alti. La batteria di Matt Cameron è l’elemento chiave del brano, sostiene egregiamente la struttura della canzone e ne è anche un po’ protagonista. Come raccontato da Cornell, il brano parla dello «strisciare indietro nel grembo materno per morire».
Give up to greed, you don’t have to feed me / Give up to fate, you don’t have to need me / So let it go, let it go, let it go, won’t you let it / Drown me in you”
(Basta con l’avidità, non devi nutrirmi / Basta con il destino, non devi avere bisogno di me / Allora lascia perdere, lascia perdere, lascia perdere, non lascerai? / Annegami in te)
Anche My Wave, dal sound a metà tra hard rock e metal, ha la forza di un riff ripetuto e una voce rauca e potente. Cornell e Thayil trasportano il brano dall’inizio alla fine, insieme, con un botta e risposta che nel ritornello sembra un vero e proprio duetto. Scritta per ultima, o penultima, durante la composizione dell’album, è di facile interpretazione: «Cry, if you want to cry», «Hate, if you want to hate», «Pray, if you want to pray», «Don’t come over here», «Keep it off my wave», il tutto riassumibile con «Fa’ quello che ti pare, ma fallo lontano da me e lasciami in pace».
Fell on Black Days sa un po’ delle migliori canzoni dei Nirvana
La ricetta è quella vincente: accordi minori, riff ripetuto, batteria costante su un ritmo, voce statica in principio – fintamente annoiata – e dinamica sul ritornello, per poi ritornare all’inizio. Un breve movimento, un minuscolo segnale di cambiamento che si arresta alla fine del ritornello. Torna tutto come prima e si ripete all’infinito, coerente con il significato della canzone, che parla infatti di realizzare quanto si è infelici.
Whatsoever I’ve feared has come to life / And whatsoever I’ve fought off became my life / Just when everyday seemed to greet me with a smile / Sunspots have faded, now I’m doing time / ‘Cause I’ve fell on black days”
(Qualunque cosa di cui abbia avuto paura è tornato in vita / Qualunque cosa abbia respinto è diventata la mia vita / Proprio quando ogni giorno sembrava accogliermi con un sorriso / Le macchie di sole sono svanite, ora mi sento intrappolato / Perché sono caduto in giorni oscuri)
Di Mailman, dal sound prettamente metal, Cornell disse: «Questa prossima canzone parla dell’uccidere il proprio capo. Tratta di venire a lavorare una mattina presto perché si dispone di un ordine del giorno speciale e si sta andando a sparargli in testa, c*zzo!». Anche qui, Cornell trascina vocali e consonanti trasmettendo inquietudine e tensione per tutta la durata del brano. Sulle urla finali si arresta la musica, il brano viene troncato lasciando in sospeso – oppure perfettamente chiaro, in base alle interpretazioni – anche il finale della storia.
My place was beneath you but now I am above / And now I send you a message of love / A simple reminder of what you won’t see / A future so holy without me”
(Il mio posto era sotto di te ma ora mi ergo sopra / E ora ti spedisco un messaggio d’amore / Un semplice avviso di ciò che non vedrai / Un futuro così santo senza me)
La stessa struttura ha Fresh Tendrils, canzone che invece esplora il senso di colpa e cosa significa convivere con la vergogna. I versi «Shame, Shame / Throw Yourself Away» sembrano però suggerire un risvolto positivo, la possibilità di ricominciare da capo, imparare dai propri errori e provare a perdonarsi, lasciandosi il passato alle spalle.
Superunkown è così rock’n’roll che ricorda davvero un pezzo degli Zeppelin, aggressivo e incisivo dalla strofa al ritornello al finale, con Thayil e Cameron più in forma che mai
È un brano sulla consapevolezza di vivere in un mondo sconosciuto di cui sappiamo poco e niente, che prima rapisce la tua ragione, poi la tua anima e ti lascia solo, impaurito, illudendoti di avere il controllo.
Alive in the superunknown / First it steals your mind / And then it steals your soul / Get yourself afraid / Get yourself alone / Get yourself contained / Get yourself control”
Con Head Down torniamo ai poliritmi, Cameron su un tempo e Thayil su un altro per un bel pezzo del brano, confondendoci le idee e trasportandoci in un’atmosfera cupa. Un intro perfetto per accogliere la voce di Cornell, non più impulsiva e vivida, ma lontana, aleatoria. È una canzone psichedelica, affascinante, una delle migliori. I ritmi diversi e la melodia dinamica sono perfetti per restituire il significato del testo: la società ci opprime, reprime la nostra individualità e la libertà d’espressione. Vede la diversità e ce la porta via, ma nonostante questo – dice Cornell – dobbiamo tenere la testa alta e combattere per rimanere noi stessi.
I see you try, I see you fail / Some things will never change / We hear you cry, we hear you wail / We steal that smile on your face / Bow down, bow down / Bow down, live your life / Head down, head down / Head down, hide that smile / Head high, head high / Head high, you’ve got to smile”
(Ti vedo provare, ti vedo fallire / Certe cose non cambieranno mai / Ti sentiamo piangere, ti sentiamo lamentarti / Ti rubiamo quel sorriso dalla faccia / Inginocchiati, inginocchiati / Inginocchiati per vivere la tua vita / Giù la testa, giù la testa / Giù la testa nascondi quel sorriso / Su la testa, su la testa / Su la testa, devi sorridere)
Black Hole Sun ha vinto l’MTV Video Music Award come Miglior video metal/hard rock del 1994 ed è uno dei brani più rappresentativi dell’epoca. Canzone famosissima, dall’anima cupa e psichedelica, parla di un sogno surreale, qualcosa che Chris ha immaginato sentendo quelle parole in tv. Dice:
Un buco nero è un miliardo di volte più grande di un sole, è un vuoto, un gigantesco cerchio di nulla, e poi c’è il sole, il donatore di tutta la vita. Era questa combinazione di luce e oscurità, questo senso di speranza e malumore di fondo.”
Il video surreale, che ha contribuito al successo della canzone anche più del brano stesso, è perfettamente in linea con l’idea di Cornell di rappresentare luce e oscurità come speranza e malumore, perciò la band semplicemente suona in un quartiere popolato da mostri che pian piano vengono inghiottiti da un buco nero. Forse mostri che rappresentano la vita di plastica della classe media americana, o forse i nostri mostri interni.
Spoonman èaltro brano dal sound tipicamente hard rock, sostenuto da riff e assoli fatti apposta per pericolosi headbangin’. È un omaggio all’artista di strada Artis the Spoonman, di Santa Cruz e successivamente di Seattle, che si esibiva con un set di cucchiai come strumenti. Con un po’ di attenzione, nella traccia si sente chiaramente il suono dei cucchiai, mentre nel video si può ammirare Artis the Spoonman esibirsi nella sua arte.
Limo Wreck è un’altra canzone criptica, dark, misteriosa
La band si confronta di nuovo con diversi ritmi, partendo da una batteria semplice e statica, un sound ripetuto di basso e chitarra e una melodia che grida “Soundgarden”. Non si possono fare molti accostamenti: questo è un brano che è formato da così tanti ritmi e melodie intrecciati tra loro che riporta automaticamente al sound di questa band e di nessun’altra. E la ragione sta sempre nella coesione e nell’alchimia dei membri, ognuno colonna portante della band, ognuno in perfetta sintonia con i brani.
Cornell definisce The Day I Tried to Live sorella di Fell On Black Days nel significato, secondo me anche un po’ di Black Hole Sun nella melodia
È un brano che tratta della depressione, soprattutto della sensazione descritta perfettamente da Cornell di svegliarsi la mattina e non sapere con quale umore affronterai la giornata. Non sai se sarà una giornata spensierata oppure una di quelle in cui vorresti restare a letto. Ma ti convinci comunque ad alzarti e vivere, anche se probabilmente sarà l’ultima volta che lo farai.
Il riff di basso ripetuto ricorda un po’ i classici Nirvana, ma la canzone ha comunque la sua originalità, si sente nel tocco di Cameron e Thayil, ma soprattutto nella voce di Cornell, che come sempre si muove egregiamente su un’estensione vastissima.
Kickstand è un minuto e 34 di folle e velocissimo punk
4th of July è introdotta da un riff inquietante, lento, trascinante, per prendere una svolta sempre più dark e apocalittica, quasi surreale alla Black Hole Sun. Parla infatti di una visione che ha avuto Cornell sotto LSD: ha raccontato di aver visto due persone che lo seguivano e di aver sentito delle voci, finché non si è reso conto che era un’allucinazione dovuta all’effetto della droga. Anche qui la voce di Cornell percorre ben due ottave, mentre Thayil si dà da fare con un assolo violento, perfettamente coerente con l’atmosfera paranoica, che prosegue con la canzone successiva. Half è un interessantissimo pezzo orientaleggiante scritto per basso, e cantato dal bassista Ben Shepherd.
Per finire, Like Suicide, sostenuta da un groove di batteria ipnotico, non parla di suicidio ma di un episodio accaduto a Cornell: un uccello volò in casa sua mentre stava scrivendo questo brano, l’animale era gravemente ferito e lui lo uccise colpendolo con un mattone per porre fine alla sua sofferenza. A quel punto si è detto: perché non raccontarlo nella canzone? Decisamente inquietante, ma ormai la cosa non dovrebbe sorprenderci.
Conclusioni
Anche questo è un album molto acclamato e molto discusso, nella solita ottica che abbiamo imparato a conoscere: il grunge doveva rimanere appannaggio della scena indie, e così non è stato. Invece si è diffuso, ha scavalcato i confini di Seattle ed è diventato il fenomeno che Kurt Cobain non è riuscito a sopportare. Ma nel 1994 di grunge nell’aria era rimasto davvero poco. Forse proprio questo album unico e travolgente segna la fine di un movimento che ci ha cambiato molto, pur non avendone l’intenzione.
(Fonte: Greg Prato, Grunge is dead. Storia orale del grunge, Odoya, Bologna, 2021)