Musica

Il potere curativo di “Mississippi” John Hurt

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Non ricordo esattamente la data ma intorno all’anno 2000 (avevo appena compiuto quindici anni), acquistai ‘1928 Sessions’, il primo disco di ‘Mississippi’ John Hurt.

Un CD, non un vinile, ma tant’è. All’epoca non avrei mai preso in considerazione l’acquisto di un vinile e, anche cercando, probabilmente di ‘Mississippi’ John Hurt, non lo avrei mai trovato.

Tuttavia non è stato un acquisto casuale, anzi

In quegli anni mi stavo immergendo nello studio delle tecniche per chitarra blues e avevo notato che più di qualche manuale, insegnava la tecnica fingerpicking iniziando proprio con i suoi brani, forse perché ritenuti tra i più semplici da eseguire. Partendo da questo presupposto, l’ho acquistato, ascoltato. Ascoltato e riascoltato. Ancora oggi potrei ripercorrere mentalmente ogni singola nota di questo disco (mentalmente, non con la chitarra). Tra l’altro è stato uno tra i miei primissimi dischi blues acquistati e, dunque, credo di averlo letteralmente consumato. Ho scoperto oltretutto in questo disco un vero potere terapeutico: spegnevo la luce, mi rilassavo e la morbida sonorità sulle sei corde mescolata alla sua voce gentile, faceva il suo effetto.

LA SUA VITA E LA SUA CARRIERA

John Smith Hurt nasce a Teoc (Mississippi) l’8 marzo del 1892, ma trascorre gran parte della propria esistenza poco lontano, ad Avalon. Come narra la buona tradizione, impara a suonare la chitarra come autodidatta, iniziando prestissimo ad animare le feste campestri e i banchetti che si tenevano nei dintorni. Di giorno lavorava come bracciante agricolo e, nei momenti del dopolavoro, si esibiva nelle canoniche occasioni di incontro sociale nella sua comunità rurale, spesso in compagnia del violinista bianco Willie Narmour. Poco prima della Grande Depressione ebbe anche l’occasione di diventare una vera e propria stella del Blues: ingaggiato da un talent scout della OKeh nel 1928, ‘Mississippi’ John Hurt venne invitato a spostarsi prima a Memphis e poi a New York per incidere tredici brani con la supervisione di Lonnie Johnson, di cui ne vennero utilizzati sette soltanto. Complice anche la crisi, questo lavoro discografico non trovò inizialmente alcun riscontro commerciale e, senza ripensamenti, Hurt tornò in Mississippi dalla sua famiglia (composta dalla moglie e quattordici figli), dove riprese a lavorare come agricoltore e a suonare sulle aie, rimanendo nell’oblio per ben quattro decenni.

Nel corso degli anni Sessanta, il favorevole periodo del Folk Blues Revival, in particolare grazie al lavoro di riscoperta di Tom Hoskins, la carriera di ‘Mississippi’ John Hurt ebbe una svolta profonda

Nel 1963 Hoskins invitò ‘Mississippi’ John Hurt (che nel frattempo aveva compiuto 71 anni) a presentarsi in uno studio d’incisione a Washington per incidere l’album ‘Folk Songs and Blues’, per tornare di lì a poco, a più riprese, per incidere le voluminose sessions di registrazione per la Library of Congress e per diverse altre esibizioni nei campus universitari.

Hurt diventò così molto richiesto e cominciò ad esibirsi nelle coffee house e nei circuiti dei festival folk (fu una presenza fissa dal ’63 al ’65 al Festival di Newport).  I numerosi ingaggi lo tennero così occupato da decidere di trasferire nella capitale la sua intera famiglia. La morte lo coglie però nel suo Mississippi, a Grenada, il 2 novembre 1966, proprio in piena fase di preparazione di un tour europeo.

Alcuni suoi testi di inclinazione sacra, lo allontanano forse dall’essere considerato un vero bluesman, tuttavia la sua paziente raccolta di brani dell’antica tradizione, lo colloca tra i più affidabili testimoni della cultura popolare tramandata oralmente.

LO STILE UNICO E DI GRANDE ISPIRAZIONE PER GLI ARTISTI FOLK BLUES

Con la sua inconfondibile immagine, il piccolo ‘Mississippi’ John Hurt, rimane tra gli artisti più amati dai cultori bianchi del folk revival degli anni Sessanta, i quali rimangono fin da subito stupiti dal suo stile colloquiale, tranquillo, morbido e gentile, tipico dell’artista songster, splendidamente lontano dalle contaminazioni moderne e totalmente immerso nei disegni melodici della sua chitarra e nella sua immensa dignità di uomo schivo e modesto ma dalla grande saggezza, sempre pronto all’ironia.

Il suo approccio introspettivo lo rende quasi inclassificabile e piuttosto estraneo agli stili che si sono sviluppati nella zona dove ha vissuto gran parte della sua esistenza

Del resto, le sue interpretazioni di vecchi brani come Ain’t Nobody Business, Stack O’Lee, Frankie, Spike Driver Blues e Candy Man, hanno esercitato un’influenza importante nello stile folk degli anni Sessanta, da Bob Dylan a Dave Van Ronk ma anche di futuri luminari della chitarra acustica come John Fahey e Doc Watson.

Dietro la sua grezza, ma sempre rassicurante voce nasale, la sua chitarra fonde un personalissimo virtuosismo spontaneo, con un pulito ed articolato fingerpicking dai deliziosi risvolti ragtime, con un accompagnamento ritmico che sa diventare anche robusto quando necessario, malgrado la delicatezza del suo approccio, considerato che Hurt suonava a dita nude. La sua tecnica chitarristica non è finalizzata a nessuna costruzione melodica complessa o a tutti i costi danzereccia, bensì la completezza armonica dei suoi brani denotano piuttosto un’attenzione particolare per la musica in sé. Il suo stile sembra quasi messo a punto per una platea che assiste ad un vero e proprio concerto.

‘Mississippi’ John Hurt, forse inconsapevolmente, ha elevato a massimo compimento, la formula di derivazione tradizionale del ‘double thumbing’

Cioè la tecnica chitarristica con l’uso dei bassi costantemente alternati e sincopati, con un incastro ritmico e melodico di note ritmiche e di accompagnamento sulle corde basse, e note melodiche su quelle acute. Questa sua tecnica, negli anni, ha trovato riscontro in tantissimi altri bluesman, affascinati dalla sua autenticità e dalla sua innata capacità di armonizzare un brano, di concepirlo e di trasporlo successivamente sulla chitarra.

Come osservavo all’inizio di questo articolo, molti manuali di tecnica chitarristica fingerpicking iniziano proprio con alcuni brani tratti dal suo repertorio; in realtà, tali brani dovrebbero semmai rappresentare un punto di arrivo per ogni chitarrista, proprio perché concettualmente più complessi, frutto esaustivo di una raffinatezza e di una elaborazione straordinarie: delle vere e proprie opere artistiche.

L’ALBUM CHE NON PUO’ MANCARE NELLA COLLEZIONE DI OGNI APPASSIONATO: 1928 SESSIONS

Non a caso dunque, proprio nel 1928, Narmour & Smith (duo bianco del Mississisppi), quando videro in azione ‘Mississippi’ John Hurt, si sentirono in dovere di segnalarlo alla OKeh Records come un talentuoso guitar picker nero; e si rivelò presto una grande opportunità per il nostro eroe, poiché anche grazie a questa fortuita occasione venne registrato ‘1928 Sessions’, un album capolavoro, grazie al quale sono entrato in contatto in modo definitivo ed irreversibile con il Blues, quello vero, mutuato dalla tradizione più autentica  e preziosa delle sue antichissime origini.

(Articolo scritto da Lorenz Zadro)

— Onda Musicale

Tags: Bob Dylan/Blues
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