Intervista al rocker Marco Bartoccioni in uscita con il nuovo album “Play the Joker”. Un album duro, spigoloso e molto rock.
Il rock non è morto anzi. Sempre più nuova musica punta dritto verso un suono suonato, anche tinto di soluzioni elettroniche ma pur sempre di fattura artigianale. E un disco come “Play the Joker” mostra quanto c’è di viscoso e di arrugginito dentro le ferite di questa vita… che poi significa anche rabbia, rivalsa e personale rinascita. Marco Bartoccioni, che abbiamo ampiamente conosciuto anche nel video “I Was Born Here”, non fa sconti ad una energia dai contorni distorti ad arte. Un disco che solletica il gusto e l’appetito di anime nostalgiche… gli anni ’80 e ’90 non sono mai spariti dal mirino di musicisti elettrici come lui. Finalmente si torna a parlare di suono…
La chitarra e le sue distorsioni. Dal Fuzz alle timbriche analogiche. Quanto c’è di America dentro questo disco?
«L’America è stata messa nel mirino come “Top Gun” da me e da Paolo De Stefani, produttore del disco. È stata una ricerca assolutamente voluta lunga ed importante, quella di realizzare un Disco con un suono competitivo con le produzioni Made in U.S.A. Non volevamo creare un ibrido Europeo/Americano, ma volevamo proiettare l’ascoltatore lì, nel sud degli Stati Uniti utilizzando quelle tecniche di produzione, in maniera tale da ottenere esattamente quel suono. La Particolarità di suonare Lap Steel in tutto il disco, senz’altro aiuta e vira drasticamente le sonorità oltreoceano, e l’abbinamento con il Fuzz è stata una delle chiavi fondamentali del lavoro. Abbiamo lavorato 1 giorno intero solo ed esclusivamente per trovare il suono della chitarra di “Dumb Man”, suono che ci dava l’opportunità di entrare definitivamente in quella dimensione. Volevamo deviare l’ascoltatore in modo tale che si ponesse la domanda: ma sto ascoltando un disco americano?
E quanto c’è di passato? Sembra che il messaggio sia anche quello di osteggiare un certo sviluppo di liquida digitalizzazione… o sbaglio?
Più o meno. Il vero messaggio di questo album, è che la forza nella musica è l’unione tra il passato ed il presente. Il Rock’n Roll anni 70” ha segnato un’era musicale fondamentale ma rimanere inchiodati li, a mio avviso, sarebbe un errore. Prenderne spunto invece, portarsi dietro il bagaglio culturale e musicale e cercare di fondere tutto questo con la modernità, può davvero creare la magia. Dal passato si impara sempre, ma le esperienze vanno riportate, condivise ed applicate al presente, altrimenti si rischia di vivere eternamente nell’era sbagliata.
Qual è il tuo personalissimo Jolly? Che sia anche questo un messaggio sociale?
Nel disco ho cercato di trattare vari messaggi sociali in cui credo e che mi stanno a cuore, questo perché oggi viviamo in una società complicata, distante dalle nostre radici culturali del passato, spesso superficiale e presuntuosa. “Play The Joker” è questo, il vero Jolly è realizzare ai tempi di oggi, un disco a Nastro, è suonare Lap Steel in Italia, è andare controcorrente, è dire cose controcorrente, ma cercando allo stesso tempo di far breccia, con la qualità musicale, nell’anima anche dei più giovani.
Interessante il video del primo singolo estratto “I Was born here”. E mi piace leggerci dentro un ritorno alle origini. Anche qui si contrasta il futuro?
Sì, esattamente, in parte contrasto il Futuro e allo stesso tempo cerco di valorizzare il passato. “I Was Born Here”, è uno sfogo, un tentativo di strillare al mondo che è il caso di rallentare, viviamo oggi dentro un frullatore, facciamo cose dalla mattina alla sera senza rendercene conto. I Was Born Here, è il mio urlo per dire “Sono nato qui” non voglio sentirmi estraneo in casa mia perchè decido volontariamente di non adeguarmi al caos e alla frenesia che oggi ormai ci invade. Ed il video di questo brano è appunto il mix tra passato e presente di cui parlavamo. Girato in questa meravigliosa location, ovvero un edificio storico bombardato nella Seconda guerra mondiale, mescolato alla modernità del suono, alle telecamere sempre in movimento e frenetiche che riproducono i tanto amati Selfie di oggi.
Parliamo di produzione: tecniche a nastro per un suono “antico”. L’impatto chitarristico anche nel mix è la chiave di tutto. Una scelta di ripresa che cercavi sin dall’inizio o hai assecondato il caso e le sue occasioni?
Nessun caso, con Paolo De Stefani abbiamo deciso di realizzare questo lavoro a Nastro sin dall’inizio, perché la nostra passione per il bel suono, per le chitarre che escono dal mix arrivando quasi a percepirle davanti a te, è per noi impagabile. È come ripercorre il tema del disco con passato e presente. Perché non utilizzare le tecniche di produzione del passato che tanto osanniamo, mischiandole con il Rock/Blues moderno? Ecco questo è stato il tentativo, ora a voi dire se è riuscito oppure no.
E la copertina del disco: minimalismo che fa da contrappeso alla produzione massiccia e ricca di acidità ai bordi. Anche questa scritta che richiama l’acquerello… qualcosa che si sbiadisce, colori tenui… c’è un contrasto d’autore che mi incuriosisce se penso ai colori accesi e scuri del rock di questo disco…
La produzione musicale dell’album è senz’altro “massiccia” nella ricerca e nell’accuratezza dei Suoni, ma per quanto riguarda gli arrangiamenti è davvero minimalista. Quasi nessuna sovra-incisione, gli strumenti che suonano sono solamente, batteria, basso, Lap steel, chitarra e voce, queste ultime tre, a volte doppiate come si faceva negli anni 70”, nulla di più. Quindi un lavoro di arrangiamento volutamente essenziale ma con grande carattere. Ecco la copertina cerca di seguire questo concetto, disegnata rigorosamente a mano da Chiara Fiorelli, voleva essere di impatto nella sua semplicità, ma soprattutto voleva essere “vera”. L’acquerello è il carattere, è quello che dà vita al concetto di questo album.