Alle volte basta una canzone per entrare nella leggenda, e i Mott The Hoople hanno registrato quella giusta. Vi voglio raccontare la loro storia.
Gli albori di un sogno
I Mott The Hoople nascono nell’Herefordshire, in Inghilterra, dove Overend Watts e Dale Griffin andavano a scuola insieme, finendo in un gruppo chiamato Silence insieme ai musicisti locali Verden Allen (alle tastiere) e Mick Ralphs (alla chitarra). Proprio Ralphs prende in mano le redini della band portando tutti a Londra, dove aggiunsero alla formazione il cantante Ian Hunter. Non solo.
Arrivò anche il primo contratto e su suggerimento del produttore Guy Stevens cambiarono nome in Mott The Hoople, prendendolo da un romanzo di Willard Manus.
Con Stevens come produttore, il gruppo incise il loro omonimo album di debutto nell’agosto del 1969. Sulla copertina niente meno che un’opera di Escher. La musica è fortemente influenzata da Dylan o, più specificamente, dal suo Blonde On Blonde.
Il repertorio variava molto tra i due stili di scrittura di Ralphs e Hunter.
Mad Shadows (1970), per esempio, è una raccolta di canzoni oscure e demoniache, ancora sotto l’influenza di Dylan, e rappresentava lo stile più energico di Hunter; Wildlife (1971), un album un po’ caotico, rifletteva lo stile più morbido di Ralph.
Brain Capers (1971), dedicato a James Dean, chiuse la prima fase della band alla fine del 1971, e pose fine alla loro associazione con Guy Stevens e la Island records. Si erano rivelati un’ottima band da palcoscenico, ma non riuscivano a vendere gli album in quantità sufficienti per mantenere lo slancio.
Il gruppo infatti si sciolse nel marzo 1972 ma fu incoraggiato a riformarsi da David Bowie, che li aveva visti ad un concerto pochi mesi prima a Guildford.
Bowie experience
David Bowie li presentò al suo allora manager Tony DeFries e, cosa più importante, scrisse e produsse il loro primo successo in assoluto, All The Young Dudes.
Il Duca produsse anche il quinto album, chiamato come la canzone, fornendo ai Mott non solo il successo di cui avevano disperatamente bisogno, ma anche una nuova immagine e una maggiore fiducia nelle proprie capacità. A questo punto, incoraggiato da Bowie, Hunter assunse la guida della band, scelta imposta anche da quel mattacchione di DeFries che non voleva trattare con tutti e cinque i membri contemporaneamente.
In ogni caso, questa mossa costò a Mott i servizi di Verden Allen e successivamente di Mick Ralph, il leader originale, che poi si unì ai Bad Company. Ralphs, tuttavia, era ancora dentro quando la band realizzò l’eccellente Mott (1973), che uscì con due singoli di successo: All The Way From Memphis e Honaloochie Boogie.
Inoltre, per questo disco, ha scritto Can’t Get Enough, ma né lui né Hunter riuscivano a cantarla deventemente. Un altro motivo per cui Raphs se ne andò. Questa canzone è ora, ovviamente, tra i più grandi successi dei Bad Company.
Non tutto il male viene per nuocere
Per il loro primo tour da negli Stati Uniti, nell’agosto del 1973, Ralphs fu sostituito da Luther Grosvenor, già chitarrista degli Spooky Tooth, che per qualche oscura ragione decise di nascondersi dietro lo pseudonimo di Ariel Bender per il suo periodo con i Mott.
Verden Allen, invece, fu sostituito da Morgan Fisher, ormai ex tastierista dei Love Affair. Così ricostituiti, nel 1974 pubblicarono un nuovo album di inediti, The Hoople, quasi altrettanto soddisfacente del precedente, e il live Mott The Hoople Live, in uscita verso la fine dello stesso anno. Tuttavia, la collaborazione con Ariel Bender non funzionò (guarda un po’).
La storia vede Hunter protagonista di una nuova idea di scioglimento entro Natale, dopo l’uscita dell’album live e del singolo Saturday Gigs, che, non a caso, è una canzone dal sapore nostalgico. Ma Bender non era disposto ad aspettare così a lungo e se ne andò prima, lasciando il posto all’ex sideman di Bowie, Mick Ronson.
Ronson experience
Questa era la seconda volta che Ronson veniva coinvolto nel salvataggio dei Mott The Hoople ma, in effetti, il suo arrivo fece presagire un nuovo scioglimento del gruppo. Solo un mese dopo aver reclutato Ronson, Ian Hunter fu ricoverato all’ospedale del New Jersey per un esaurimento nervoso.
Non solo. Tornati in Inghilterra, Griffin e gli altri caddero dal pero quando scoprirono che il tour in UK previsto per l’inverno fu cancellato pochi giorni prima della serata di apertura. Non lo sapevano neanche i fan. Ci furono voci di rottura, con Hunter e Ronson che lavoravano insieme fuori dai Mott. La stampa non vedeva l’ora che accadesse qualcosa del genere.
Si disse che Hunter avesse firmato un lucroso contratto da solista con la Columbia/CBS, ma lui ha sempre negato che fosse una questione economica. Mentre pare che il motivo principale fosse artistico, soprattutto legato alla delusione degli ultimi album prodotti.
La fine
Ad ogni modo, in mezzo a una raffica di aspre recriminazioni, accuse e controaccuse, Hunter e Ronson andarono per la loro strada mentre il resto della band si riorganizzò dopo sei mesi con l’aggiunta del cantante Nigel Benjamin e del chitarrista Ray Maggiore, continuando con il semplice nome di Mott.
Come Mott, registrarono due album ben accolti, così il tour nel Regno Unito dell’ottobre 1976 andò a meraviglia. Tuttavia, pochi mesi dopo Nigel Benjamin se ne andò e il gruppo sembrò perdersi d’animo. Il tutto si conclude con l’ennesimo cambio di nome (British Lions) e il definitivo stop ai lavori.
Alla fine ci si ricorda dei Mott The Hoople per All The Young Dudes che divenne un inno talmente immenso da potersi sedere accanto al finale di Hey Jude.