Non è facile invecchiare per una rockstar e ognuno decide di farlo a modo proprio. Neil Young ha scelto la via del lavoro, continuando a suonare e pubblicare come se gli anni Sessanta non fossero mai finiti, e Before and After ne è l’ultima prova.
Pensateci, c’è chi come Paul McCartney continua a spendersi disperdendo gli ultimi sprazzi di talento in tanti rivoli fatti di collaborazioni e sperimentazione; chi, come i Rolling Stones, non si è mai sciolto ma privilegia l’attività live e centellina le uscite discografiche. E chi, come il Neil Young di Before and After, pratica con successo la bulimia artistica.
Prendiamo a confronto la dinamica degli Stones e del vecchio lupo solitario Neil. Jagger e soci hanno pubblicato dal 2005 a oggi due dischi di inediti e uno di cover. Young, nello stesso lasso, ha fatto uscire diciannove lavori nuovi di zecca, a cui andrebbe aggiunta una colonna sonora. Venti dischi in diciotto anni.
Neil Young, del resto, è sempre stato così: generoso col pubblico e innamorato di un mestiere, quello di chi suona, sempre meno diffuso. Il mondo del pop di oggi si prende anni per registrare un album e poi lo sfrutta per lungo tempo con tour e concerti vari. Non è una critica al mondo di oggi, non è nostalgia del bel tempo che fu, anche perché le cose hanno iniziato ad andare così fin dagli anni Ottanta.
Si tratta semplicemente di prendere atto che le cose funzionano così e che ci sono buoni motivi, dalla liquidità del mercato ai cambiamenti del pubblico. Altrettanto semplice è la conclusione: Neil Young se ne frega. E se ne frega perché può farlo: la sua statura di musicista mito del rock è così alta che solo lui – e qualcun altro – può permettersi di entrare in studio con la sua chitarra, un piano, un organo a pompa e una manciata di canzoni.
E tirarne fuori un lavoro come Before and After, che non sarà il suo capolavoro, certo, ma che è miele per le orecchie degli amanti del buon vecchio Loner.
L’album nasce in seguito al Coastal Tour, giro di concerti che ha visto il vecchio Neil salire sul palco in solitudine, proponendo pezzi e ritagli di repertorio poco conosciuti, abbinati a qualcuno dei classici. Del resto, con quarantacinque dischi di studio, volete che non ci siano piccole gemme, o anche solo canzoni a cui Young è affezionato, che sfuggono alla memoria dei più?
![](https://www.ondamusicale.it/wp-content/uploads/2024/01/neil-young-before-and-after.jpg)
Si parte con I’m the Ocean, pezzo tratto da Mirror Ball del 1995, quando Young si era fatto accompagnare dai Pearl Jam, a testimonianza di una contemporaneità mai venuta meno. Il brano diventa una classica ballata younghiana per canto e chitarra. La voce di Neil, sempre più rotta e sottile ma inconfondibile, riesce sempre a meravigliare.
Inutile fare un confronto tra versioni, vale per tutto il disco, ma questo è un caso in cui il pezzo funziona sia col roboante backing dei Pearl Jam, sia in solitaria. Il soffio di Neil nell’armonica, poi, riporta ai gloriosi Seventies anche chi non era nemmeno nato, come è il caso di chi sta scrivendo queste note.
Si passa poi a Homefires, uno dei tanti ripescaggi di repertorio. Incisa nel 1974 ma pubblicata solo nel mastodontico Neil Young Archives Volume II: 1972–1976, box di dieci CD del 2020. Il pezzo, molto breve e denso di sentimento, è acustico anche nell’originale, dando maggior risalto ai cambiamenti della voce di Neil, che rendono il pezzo ancora più commovente.
Burned ci riporta addirittura al 1966, l’anno del disco d’esordio – eponimo – dei Buffalo Springfield. Un pezzo ai confini del beat che viene rimasticato e trasformato in versione acustica. L’armonica e la voce tracciano la bella melodia, mentre la chitarra fa dell’originale pezzo beat una scheletrica ballata younghiana fino al midollo. E forse, credeteci, Burned ci guadagna.
On The Way Home è il primo vero classico di Before and After. Il brano è in origine del repertorio Buffalo Springfield, ma è da sempre un cavallo di battaglia dei live targati sia Young che CSN&Y. La resa in questa ennesima versione è sempre da brivido, anche se – ovviamente – non aggiunge nulla se non il piacere di riascoltare un capolavoro.
Neil Young fa da sempre la gioia dei collezionisti, questo grazie allo sterminato corpus di registrazioni inedite, e il momento arriva anche in Before and After. If You Got Love arriva dalla tormentata gestazione di Trans, discusso album del 1982. La canzone viene eseguita con voce, organo a pompa e armonica ed è un piccolo miracolo, di quelli che dici “Ah, questa me la ricordo!”, per poi scoprire che invece è il pezzo inedito della raccolta.
A Dream That Can Last arriva invece dal 1994, da Sleeps with Angels. Il brano, scarno già nell’arrangiamento originale, viene suonato da Neil al pianoforte ed è tra quelli che forse guadagnano di più dal trattamento Before and After.
Birds fa invece parte dei classici rivisitati, provenendo dal capolavoro After The Gold Rush. Il brano è stato perfino oggetto di una delle rare cover italiane tratte dal repertorio di Young, Noi Soli dei Dik Dik. Birds è già in origine una sorta di breve gospel per piano e voce e così viene riproposta. Il risultato è comunque da brividi, anche se la voce qui mostra i segni del tempo. Comunque un piacere riascoltarla.
My Heart arriva ancora da Sleeps with Angels, una breve ballata melodica per piano e voce. Ed è così che Neil Young ce la ripropone in Before and After. When I Hold You in My Arms è invece una ballatona romantica che arriva diritta dal 2002, periodo non proprio felice per gli USA – all’indomani dell’11 settembre – e da Are You Passionate?
Il brano, che in origine vantava un bell’arrangiamento con discreto spazio per la chitarra solista, acquista qui calore in versione nuda per piano e voce. Neil, però, sente ancora il demone del chitarrista premere e non rinuncia a inserire l’unico breve apporto della chitarra elettrica.
Mother Heart è una delle trasformazioni più strabilianti di Before and After. Il pezzo arriva da Ragged Glory, album del 1990 che anticipa il Grunge. L’arrangiamento originale, meravigliosamente elettrico fin dall’introduzione con la sola chitarra a farla da padrona, è qui reso solo da armonica e organo a pompa.
La canzone, cantata in origine in coro, è ancora un inno commovente, ma forse qui qualcosa nella metamorfosi si perde.
Ed è ancora l’organo a dominare la stupefacente versione di Mr. Soul, altro classico del periodo Buffalo Springfield. L’attacco con l’armonica che soffia e il bordone d’organo è suggestivo. Quando entra il sussurro di Neil a delineare l’immortale melodia, poi, i brividi sono assicurati. Mr. Soul è forse la vetta di Before and After, bellissima.
Siamo quasi in chiusura e il nostro Loner piazza un altro classico, il country folk del 1978 di Comes A Time. Il brano lo conosciamo tutti, un piccolo capolavoro, e la resa in Before and After non è da meno. Chitarra, voce e armonica per una canzone semplice ma senza tempo, uno dei piccoli miracoli della musica e dell’arte.
I titoli di coda dell’album scorrono su Don’t Forget Love, delicata e sentimentale ballata pescata dal repertorio più recente, l’ottimo Barn del 2021. Il brano, già molto esile in origine, diventa un sottile filo di speranza a cui la voce tenue di Neil Young si aggrappa con grazia.
Il brano chiude l’ennesimo esperimento riuscito del cantautore canadese, ma siamo sicuri: il suo è un arrivederci, un a presto. E sappiamo anche che nel caso di Neil Young è una promessa che sarà mantenuta.