Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta molti gruppi italiani dediti al beat diventano qualcosa d’altro. All’epoca non c’è ancora un nome preciso, ma sta nascendo il rock progressivo. I Quelli sono un caso molto particolare di questa dinamica.
Per quasi tutte le band che grazie al beat hanno sfondato con decine di singoli, il passaggio prelude al tramonto della propria stella. Per i Quelli accade il contrario: i Quelli, infatti, altro non sono che il prototipo della Premiata Forneria Marconi.
La storia del complesso inizia nel 1964, quando il progressive non esiste come idea nemmeno oltremanica, nelle teste dei King Crimson o dei Genesis. All’epoca l’uragano Beatles è ancora al pieno della sua potenza e nascono gruppi beat a ogni angolo di strada. Il blues inizia a farsi strada e derivazioni del rock come il prog o l’hard sono ben lungi dall’esistere.
In questo clima nascono i Black Devils, formati da Franz Di Cioccio, Franco Mussida, Pino Favaloro e Tony Gesualdi. I più competenti avranno già notato in questa formazione seminale nomi che scriveranno le pagine d’oro del prog italiano. Il complesso diventa in breve la backing band di Gian Pieretti, all’epoca cantautore di buon successo. Proprio lui li introduce alla Ricordi.
La band, che adesso si chiama I Grifoni, ha bisogno per volare da sola di un cantante. La scelta cade su un ragazzo di vent’anni che canta ne I Demoniaci, Antonio Teocoli. Antonio è un meltin pot vivente: è nato a Taranto, cresciuto fino a cinque anni a Reggio Calabria e poi emigrato con la famiglia a Milano. Nella città lombarda, Antonio si fa un nome come cantante di rock and roll.
Antonio, lo avrete capito, troverà il successo anni dopo col nome di Teo Teocoli e in ben altro ambito, quello del cabaret. Con Teocoli in formazione, i Quelli esordiscono con Via con il vento. Il grande successo arriva però con una cover, come usa all’epoca. Il brano è La poupée qui fait non del cantautore francese Michel Polnareff, che diventa La bambolina che fa no no no.
Al culmine di questo primo successo, Franco Mussida viene chiamato a svolgere il servizio militare – a quei tempi ogni cittadino deve buttare oltre un anno di vita in questo modo – e viene sostituito temporaneamente. La storia dei Quelli è sempre all’insegna del talento: al posto di Mussida arriva Alberto Radius, di lì a poco chitarrista della Formula 3.
Intanto Teocoli lascia per tentare la carta solista e viene scritturato nell’allora potente Clan Celentano. In realtà, come detto, l’appuntamento col successo per Teo è ancora lontano, ma varrà la pena di aspettare.
Arriva anche un tastierista, acquisto inevitabile per la strada che sta prendendo il rock, Flavio Premoli. Con la nuova formazione i Quelli centrano un altro bel colpo con la cover di Happy Together, bella ballata un po’ ruffiana dei Turtles. In Italia il pezzo diventa Per vivere insieme. La storia dei Quelli si ingarbuglia un po’, tra ritorni – quello di Mussida – prestiti – Di Cioccio all’Equipe 84 – e cambi di nome.
Per un po’ i Quelli diventano i Krel, ma la svolta è nell’attività di session men per la Ricordi. Grazie a ciò i Quelli entrano in contatto con Mina, Celentano, Fabrizio De André e soprattutto Lucio Battisti, che li porta con sé alla Numero Uno. Nello stesso periodo si unisce a loro Mauro Pagani, polistrumentista dotatissimo, mentre Favaloro abbandona. Ormai ci siamo, nasce la PFM.
Nel 1969, un paio d’anni prima di questi ultimi avvenimenti, è però uscito l’unico album a nome Quelli, intitolato proprio col moniker. Parliamo un po’ di questo disco, un progetto che non brilla certo per organicità, essendo composto in pratica dai singoli usciti fino ad allora.
Quelli è composto da dodici canzoni e ben otto sono cover.
Il disco si apre infatti con Dici, versione italiana di Dizzy di Tommy Roe, all’epoca grande successo negli Stati Uniti. Spesso accade, coi complessi beat, di ascoltare cover un po’ raffazzonate a livello strumentale, dove la produzione e la qualità dei musicisti fa rimpiangere gli originali. Coi Quelli accade il contrario, la futura PFM non è seconda a nessuno in questo senso.
Dove i ragazzi non convincono del tutto è forse nella voce, senza un vero cantante di ruolo, e nelal composizione, come vedremo. Il secondo brano è Marilù, uno degli originali di Mussida e Favaloro. L’impostazione è classica, un po’ alla Procol Harum, la melodia molto azzeccata. Il disastro è a livello di testo, una melensa storia che dovrebbe nelle intenzioni strappare qualche lacrima.
Le parole sono invecchiate malissimo, con un uomo che invoca il ritorno della sua bella dandole però tutta la colpa di quanto successo. Una tirata maschilista, tipica dell’epoca, con un approfondimento psicologico da commedia trash. Inascoltabile, specie se si pensa a quel che farà la PFM di lì a poco.
Molto meglio fa Nuvole Gialle, con Mogol tra gli autori e un ritmo sostenuto quasi da psych rock. La melodia è tipicamente beat, ma alcuni inserimenti della chitarra elettrica e qualche cambio di ritmo fanno già presagire i futuri fasti. Davvero un bel brano, ingiustamente dimenticato.
Si va avanti con Lacrime e Pioggia, cover pedissequa di Rain and Tears degli Aphrodite’s Child. Anche qui però i Quelli se la cavano alla grande e riescono a non far rimpiangere l’immortale capolavoro della band greca.
Mi sentivo strano è un altro pezzo originale, con Ricky Gianco tra gli autori. Si tratta ancora di una ballata melodica tipica del beat di quegli anni, dalle parti di certe cose di Battisti. Davvero piacevole, anche se testimonianza molto datata di una musica che non esiste più. Un tuffo dove l’acqua è più blu, parafrasando il grande Lucio.
Tornare bambino è la cover di Hole in my Shoe dei Traffic. Il brano è una mistura di folk progressivo e psichedelia. I Quelli se la cavano benissimo, ma qui il confronto con una band eccezionale è già affermata come quella di Winwood e Mason si fa sentir eun po’ di più.
La seconda facciata si apre con Pensieri, cover di The Thoughts Of Emerlist Davjack dei Nice di Keith Emerson. Il brano, tipico del proto-prog barocco della band britannica, è una meraviglia e i Quelli rendono la magia a dovere; è il passaggio in cui meglio si immagina il futuro progressivo della PFM. Certo, anche qui per ora l’originale dei Nice è di un altro livello, ma è solo questione di tempo.
Sigillato con un bacio è invece la resa italiana di Sealed With A Kiss di Bill Hyland. Il brano del 1962, oggi domenticato, è una ballata melodica dal sapore quasi western, piacevole ma invecchiata non proprio benissimo. Tutto sommato, una pagina non memorabile, anche se il brano vanta una bella e delicata parte di chitarra nel finale.
L’atmosfera cambia completamente con Hush, cover del celebre primo successo dei Deep Purple, che avevano a loro volta vampirizzato il brano composto da Joe South per Billy Joe Royal. I Quelli possono finalmente scatenarsi e dar fondo alle loro capacità con una versione che – voce a parte – non ha nulla da invisiare ai Deep Purple. Chapeau.
C’è ancora spazio per tre brani: il primo è 15 anni, scritta da Gian Pieretti e Ricky Gianco. Tutto sommato una ballata melodica che si può tranquillamente dimenticare. Abbiamo poi la cover di 1, 2, 3, Red Light dei 1910 Fruitgum Co, ribattezzata Hip, hip, hip Urrah!, brano un po’ alla Beach Boys. La chiusura è per l’ennesima cover, Even The Bad Times Are Good dei Tremeloes.
La band londinese è nota per essere stata preferita a suo tempo ai Beatles dalla Decca. Una delle decisioni più scellerate della storia, a posteriori, eppure questo brano ha davvero un bel tiro e la versione dei Quelli, Questa città senza te, lo dimostra. Certo, il testo – ancora di Gian Pieretti e Ricky Gianco – non è proprio un capolavoro, ma il disco si chiude bene.
Quelli è un album pastiche, più una raccolta di singoli, ma si ascolta con grande piacere. L’effetto nostalgia per quei tempi, non certo migliori di oggi ma sicuramente più ingenui e colorati, è inevitabile. Certo, pensare a cosa farà la PFM dopo appena un paio d’anni fa venire voglia di gridare al miracolo.