In quel marasma creativo che sono gli anni Settanta del rock italiano, si fa strada una band di Lecco destinata a lasciare il segno in pochi anni di attività. Il loro nome è uno dei più efficaci dell’era prog, sono i Biglietto per l’Inferno.
I Biglietto per l’Inferno si formano nel 1972, l’anno in cui esplode il fenomeno prog, dalla fusione di due gruppi Beat. Dai Mako Sharks arrivano Marco Mainetti, Giuseppe Cossa e Fausto Branchini, mentre dai Gee abbiamo Claudio Canali, Baffo Banfi e Mauro Gnecchi. Il sestetto si fa notare subito per l’approccio aggressivo alla materia e per i live, che resteranno tra i più infuocati del movimento.
Una prima occasione arriva nell’estate del 1973, quando la band si esibisce nel prestigioso festival Be-In a Napoli. Alla rassegna sono presenti grandi nomi del prog italico e osservatori delle case discografiche. All’epoca, il prog – che viene chiamato semplicemente Pop – è un fenomeno in piena esplosione che garantisce grandi numeri di vendite.
I Biglietto per l’Inferno vengono messi sotto contratto dalla Trident di Maurizio Salvadori. L’etichetta di Milano è emergente e ha sotto contratto già un gran numero di complessi. Troppi, secondo qualcuno, ma ci arriveremo. I ragazzi entrano in studio con l’entusiasmo – quasi il fuoco sacro – dei giovanissimi che vogliono farcela, e già pochi mesi dopo ne escono con un disco che entra nel mito del rock progressivo italiano.
Il lavoro, intitolato col nome della band, è uno dei più duri del periodo. La musica è improntata a un hard-prog fatto di riff robusti, cambi di ritmo e divagazioni e qualche passaggio più mediterraneo. I riferimenti sono in gruppi italiani, come i Teoremi e Il Rovescio della Medaglia, e internazionali come gli Atomic Rooster e i Black Sabbath.
I testi sono durissimi – e a tratti un po’ ingenui – j’accuse verso una società bigotta e schiava dei sensi di colpa cattolici. L’incomunicabilità tra le vecchie generazioni e i giovani sono forse il fulcro della loro poetica. Stile che è, essenzialmente, quello di Claudio Canali, autore di gran parte dei testi.
Il cantante e flautista è talmente anticlericale da meritarsi l’appellativo di Voce del Diavolo. Il suo destino sarà però curioso: al culmine di uan ricerca interiore decennale, Canali finirà per prendere i voti come monaco. Da allora è Fra’ Claudio in Toscana, presso l’Eremo della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano, dove muore nel 2018.
Il disco, va detto, non ottiene grandi riscontri di vendita, anche perché i Biglietto per l’Inferno sono molto popolari nella nicchia underground, ma praticamente ignorati dai grandi media. La loro fama dal vivo e tra gli appassionati è però solida e, per certi versi, mitica. L’album ottiene un plauso quasi unanime tra critici e addetti ai lavori, tanto che i ragazzi entrano subito in studio per registrare il seguito.
La produzione di Eugenio Finardi, il sostegno dell’ambiente e della Trident, tutto fa pensare all’inizio di una grande avventura. Peccato che, quest’avventura, sia nata forse con un paio di anni di troppo sul groppone e sia destinata a finire male. Nel 1975, anno in cui il seguito dovrebbe uscire, il prog ha già perso gran parte del suo appeal commerciale, e lo perderà del tutto in altri due anni.
La Trident, poi, ha forse ecceduto in entusiasmo mettendo sotto contratto troppi gruppi, la maggior parte in perdita. Quando il materiale è già registrato e il mix quasi definitivo, la Trident fallisce. Dell’album non c’è più traccia, tanto che uscirà solo nel 1992 a opera della Mellow Records, col titolo Il Tempo della Semina.
Il complesso non si perde d’animo, almeno non subito. Per un po’ i sei continuano a infuocare le platee dei live, aggiungendo al curriculum un prestigioso concerto con Kevin Ayers. Poi, com’è inevitabile, le energie iniziano a disperdersi e il sestetto si sfalda.
Banfi, il talentuoso tastierista, si invaghisce di Klaus Schulze e del suo Cosmic Rock e diventa solista di buona fama nel genere. Gnecchi continua come turnista e jazzista, Cossa si dà all’insegnamento e Mainetti riprende gli studi di fisica. Branchini sparisce per un po’, poi torna nell’ambiente come cantautore e paroliere, oltre che come scrittore. Canali prosegue per un po’ la carriera, poi l’inquietudine ha la meglio fino a quando il suo percorso si conclude coi voti religiosi.
Ma perché Biglietto per l’Inferno, il disco di debutto, è ancora oggi un vero cult in tutto il mondo. Andiamo a sentirlo insieme, mettendo il ricercatissimo vinile sul piatto.
La copertina del 33 giri, diventata iconica quanto il disco stesso, ritrae la grande energia di Claudio Canali in uno scatto virato al bianco e nero di Cesar Monti. L’album si apre con Ansia, pezzo che mette subito le carte in tavola con una lunga intro piena di cambi di ritmo e degli strumenti tipici del prog, dalla chitarra al flauto, fino ai sintetizzatori.
Quando entra la voce di Canali sono già passati tre dei quattro minuti di durata. Subito la voce caratteristica ed evocativa del cantante, nel breve testo, enuncia i temi del disco. A parlare è un giovane dannato che rievoca la sua vita perduta, per poi cercare conforto in un sentimento religioso visto più come un ansiolitico che come traguardo spirituale.
Parte subito Confessione, pezzo simbolo dei Biglietto per l’Inferno, forse il più famoso. Un riff durissimo introduce di nuovo Canali che recita le due parti, quella di un viscido confessore e quella del peccatore. Tra i due, come da copione, non si capisce chi sia il peggiore.
Classici i versi che danno anche il nome all’album e alla band:
Non posso salvarti dal fuoco eterno
Hai solo un biglietto per l’inferno
Tra fulminanti assoli di chitarra, coretti in falsetto e il riff granitico che torna di tanto in tanto, Confessione offre anche qualche squarcio melodico. Particolare e molto espressiva la prestazione di Canali, una delle poche voci efficaci del prog italiano. Un piccolo capolavoro del genere.
Il lato A di un album composto da appena cinque pezzi si chiude con Una strana regina. Il piede viene per un attimo tolto dall’acceleratore e il brano si presenta molto più lento e con un’atmosfera delicata e melodica. La voce di Canali esplora il suo registro meno aggressivo, muovendosi su un tappeto d’organo e sintetizzatori.
Nonostante i toni quasi Beat, il testo è ancora impegnato. Si parla sempre di peccato e redenzione, di sensi di colpa tipicamente cattolici. Forse già si intuisce che, dietro l’anticlericalismo di facciata di Canali, si nasconde una ricerca spirituale destinata a consegnare la Voce del Diavolo al “nemico”.
Notevoli i cambi di ritmo, col pezzo quasi Beat che si trasforma in una cavalcata prog, per poi tornare a più riprese alle atmosfere quasi dolci e melodiche dell’inizio. Il finale vede poi una parte di chitarra eterea ed evocativa, melodica ma con tratti psichedelici e quasi jazz.
Il secondo lato si apre con Il Nevare, brano particolare già dal titolo. La voce quasi sussurrata fa spazio a improvvise esplosioni hard rock, con fill di chitarra molto efficaci. I corvi nella neve evocati nella parte centrale fanno de Il Nevare un pezzo dai toni quasi gotici. Il costante pessimismo esistenziale – e un po’ adolescenziale – sono a un certo punto però quasi da caricatura e tendono ad appesantire un po’ l’ascolto.
Meglio la parte musicale, sempre efficace e con tutti gli strumenti che trovano il giusto spazio. Ottima anche la parte vocale con Canali che ci dà dentro coi vocalizzi, evocando quasi Ian Gillan e i suoi Deep Purple.
Siamo in chiusura con quello che forse è il pezzo più significativo, sia per la durata che per il testo, L’amico suicida. L’amara storia è quella, vera, di un amico di canali, toltosi la vita durante il servizio militare. E già, proprio quell’anno buttato al vento che tanti boomer vorrebbero fosse reintrodotto, ansiosi forse di far patire anche alle nuove generazioni quello che loro hanno odiato.
Il pezzo, lungo quasi un quarto d’ora, parte con la solita cavalcata prog piena di cambi di ritmo. Quando entra la voce di Canali, però, l’atmosfera cambia improvvisamente e si fa sepolcrale. L’accusa è chiara ed è ancora verso l’ipocrisia della società verso i giovani e verso chi si sente diverso. Quella società che porta l’amico al suicidio e – non contenta – lo condanna poi per il gesto estremo.
Canali è qui davvero efficace e la sua prestazione è da brivido, come anche il testo appare più centrato nelle sue accuse. A livello strumentale – in un pezzo così lungo – c’è spazio per un po’ di tutto. Accelerazioni, cambi di ritmo, assoli da manuale e una sezione finale che evoca atmosfere tra i Pink Floyd più prog e i primi King Crimson. Una degna chiusura per un disco di culto.
Nelle ristampe più recenti troviamo anche una bonus track, che altro non è che la versione strumentale della classica Confessione.
Biglietto per l’Inferno è insomma un capolavoro del genere. Un disco che si va a inserire in quel filone non certo affollato, in Italia, del prog che si muove al limite dell’hard, facendolo con tecnica e sentimento. Un vero peccato che la storia del gruppo finisca così in fretta, ma forse nemmeno tanto.
Intendiamoci, il sestetto avrebbe meritato, per talento e tecnica, successi molto maggiori. Tuttavia, il periodo d’oro del progressive era già agli sgoccioli e il successivo Il Tempo della Semina suggerisce all’ascolto un preoccupante calo dell’energia sconvolgente del debutto.
Forse meglio lasciare col ricordo di un disco cult e di tante speranze rimaste sulla carta, che non la parabola un po’ sconfortante di tante bend prog finite nei meandri di un pop melodico senza nerbo. E poi, i Biglietto dell’Inferno, in una nuova incarnazione non priva di fascino vintage, sono ancora in giro a mordere le assi dei palcoscenici.