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Mark Knopfler: “I Maneskin? Non li conosco ma approfondirò”. L’intervista

Il frontman dei Dire Straits Mark Knopfler

Il chitarrista britannico, nato a Glasgow nel 1949, presenta il suo nono disco da solista: “One Deep River“.

Quando lo incontri, ti imbatti in un uomo pacioso, uno di quei pensionati della  Royal Mail che potresti incontrare in qualche sobborgo delle Midlands, tra le case a mattoni rossi e i fish’n’chips. Eppure questo tranquillo e distinto signore 74enne ha incendiato palchi di tutto il pianeta ed è entrato in molte delle colonne sonore delle nostre vite. Già, se dici anni 80 dici Mark Knopfler e i Dire Straits. E anche se Mark ha mollato i suoi sodali da quasi trent’anni (correva il 1995) e, come vedremo, non ha intenzione di riprenderli, il suo mito rimane inscalfibile. Pure se nulla fa per alimentarlo.

L’occasione dell’incontro è «One Deep River», nono album da solista che va ad aggiungersi ai leggendari sei della band. Non nelle Midlands, ma a Newcastle dove Knopfler è cresciuto, sembra ambientato il disco, a partire dalla copertina che reca il ponte sul Tyne, il fiume della città portuale del Nord.

Un disco autobiografico, si direbbe.
«Non necessariamente. Il fiume di cui parlo potrebbe essere anche una persona, una situazione, quello che vi pare. Mi piace che le canzoni possano essere flessibili».

Di sicuro è un tuffo nella memoria: «Ahead of the game» parla dei suoi faticosi esordi, mezzo secolo fa.
«Facevo il giornalista, cosa che mi ha aiutato a focalizzare chi ero nella vita. E facevo l’insegnante, un mestiere che mi ha letteralmente salvato la vita. Al mattino coi ragazzi, alla sera in giro con una band rockabilly, con la macchina, gli amplificatori e le chitarre comprati grazie a quel lavoro. Non so se , senza, sarei qui oggi… ».

Le chitarre, il suo marchio di fabbrica: non sembrano così popolari ora tra le giovani band.
«Se i ragazzi vogliono usare lavatrici e bottiglie, per me va bene, non ci dovrebbe essere una legge, secondo cui una band debba avere un bassista, un batterista o un chitarrista: non sottoscriverei mai un’ortodossia simile. Tutto può essere attrattivo. Non mi piacciono i formalismi per cui il tango va fatto così, il flamenco cosà…».

Forse una band c’è, però: i nostri Måneskin, dove la chitarra è ancora centrale nella loro poetica.
«No, non li conosco. Com’è che si chiamano? Maneskin? Comunque approfondirò. Ad ogni modo, per me le chitarre sono uno strumento per scrivere canzoni. Non ho mai voluto essere un virtuoso alla Jimmy Page o alla Ritchie Blackmore per intenderci e, detto col massimo rispetto, preferisco rimanere con le mie filastrocche».

Mark Knopfler

Non dirà mica che suona «come un idraulico», come ha dichiarato in passato.
Ride. «Guardate le mie mani, sono proprio quelle di un idraulico: il mio modo di suonare si è deteriorato, un maestro di chitarra non approverebbe».

In Smart money parla di soldi facili…
«Sì, è il gergo delle scommesse. Ma è anche la metafora dello showbiz: le carriere sono sempre più corte. Io sono ancora in giro a vendere dischi, mi sembra da cento anni e c’è gente che sparisce dopo due. Hai la sensazione che i giovani vengano divorati dai dinosauri con i talent show».

Ecco, i dischi: sono 40 anni dal capolavoro dei Dire Straits «Brothers in Arms».
«Ci andò bene con i singoli, fin dal primo divennero hit in America, ci fu una massa critica intorno a quelle canzoni. E proprio in quel momento il cd divenne popolarissimo. La combinazione di questi due elementi fece la fortuna del disco».

Ma la canzone che dà il titolo al disco, un inno antimilitarista, non viene molto ascoltata, vedi la guerra in Ucraina o in Palestina.
«Se “Brothers in Arms” è però utile alle persone, le fa sentire come se tutto avesse un senso e serve di conforto in tempi duri come questi, sono contento».

Molte band del passato si sono riunite. Tra i pochi che mancano, da 29 anni, ci sono i Dire Straits.
«E non cambierò idea. È stato bello finché è durato, mi sono divertito. Ma io non voglio essere più “grande” di quello che sono oggi, non mi interessa».

Ma almeno la rivedremo in tour per questo disco?
« Per ora penso di rimanere a casa, insieme a mia moglie, dedicarmi alla famiglia questa volta: perché a scrivere altre canzoni e andare in studio non sto mai male».

E in futuro?
«Non so se riprenderò…».

Infine, lei è tifoso del Newcastle, prima abbiamo parlato di scommesse: che idea si è fatto del caso Tonali?
«Nessuno è perfetto»

(fonte: di Matteo Cruccu – link)

— Onda Musicale

Tags: Dire Straits, Jimmy Page, Maneskin, Richie Blackmore
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