In primo pianoMusicaRecensioni e Interviste

Pearl Jam – Dark Matter: la recensione del nuovo album

Pearl Jam - Dark Matter, la recensione del nuovo album

Dark Matter“, il dodicesimo album dei Pearl Jam, è uscito venerdì 19 aprile, 4 anni dopo “Gigaton“.

Il progetto è prodotto da Andrew Watt, giovanissimo produttore e polistrumentista, conosciuto per aver lavorato con grandi nomi: Elton John, Ozzy Osbourne, Iggy Pop, Rolling Stones e lo stesso Vedder al suo album solista Earthling.

In un’intervista per Rolling Stone, Watt racconta com’è nato l’album. La scrittura dei brani, musica e testi, è accreditata a tutta la band, compresi il produttore e Josh Klinghoffer (polistrumentista subentrato a John Frusciante nei Red Hot Chili Peppers, turnista dei Pearl Jam e collaboratore di numerosi artisti). Si sedevano tutti insieme per improvvisare, dai primi accordi nasceva una struttura più completa e nel frattempo scrivevano testi e melodie.

Copertina del nuovo album dei Pearl Jam, Dark Matter

È indubbio che sia un album moderno, forse troppo. I suoni compressi, così diversi da quelli aperti e reali a cui eravamo abituati, lo rendono piuttosto chiaro. Questa evidenza, comunque, non compromette del tutto la resa dei brani, carichi di un’adrenalina che personalmente mi era mancata.

Scared Of Fear

È il primo brano composto in studio e il riff che lo introduce lo rende perfetto per aprire il nuovo progetto. Il ritmo veloce, incisivo, accompagna la riflessione sulle conseguenze che ha la paura su di noi. Oppure ripercorre semplicemente gli ultimi anni della band, che ora si appresta a varcare la soglia di una nuova era e ne è un po’ spaventata.

Oh, did I say something wrong? / Oh, did I walk out of step? / To you, do I still belong? / Do I have to be scared? / Oh, I’m not saying I know, it’s all feeling unclear / We used to laugh / we used to sing / we used to dance / we were our own scene”

React, Respond

Nata da un riff di Jeff Ament, è composta sulla stessa idea di Running, 3 minuti di suoni distorti e voce piena di effetti che ha qualcosa da dire. Sembra infatti riflettere sull’importanza di accettare le diversità invece di combatterle e combattere tra noi. Il risultato è un grido che vuole svegliarci e spingerci a fare la cosa giusta.

Are we at war with each other? / Are you at war with yourself? / We could be fighting together / Instead of fighting ourselves / Start thе rebuttal, all part of the game / Yеs, what makes us different and what makes us the same / Ah, the incandescence that is your essence / The unexpected embrace, embrace the unexpected / There’s no book on this life, there’s no use as directed / The best part I know was when we were connected”

Wreckage

Terzo singolo dopo Dark Matter e Running, è una ballata che ricorda i loro pezzi degli anni duemila e qualcosa a metà tra R.E.M. e le canzoni più romantiche dei Cure. “The Wreckage” potrebbero essere le macerie di stampo zerocalcariano, tutti i pesi che ci portiamo dietro, quello che potevamo e non potevamo avere, che potevamo essere e non siamo stati. Il segreto sta nell’accettare quello che abbiamo perso e andare avanti: Combing through the wreckage / Holding out, holding on, «Frugando tra le macerie, resistere, resistere».

Combing through the wreckage, pouring through the sane / Surrounded by the remnants, what we could and couldn’t have / Raking through the ashes falling through my hands”

Dark Matter

È stato scelto come primo singolo per ovvie ragioni, è un pezzo che acchiappa e si distingue subito per la potenza dei suoni e della voce. Matt Cameron picchia duro come i vecchi tempi, il brano infatti è nato da una sua idea e si è ampliato con l’integrazione di Mike e Jeff. L’idea che c’è dietro ci riporta un po’ ai vecchi tempi, ma è un peccato che il suono risulti così piatto. Andrew Scott ha osato paragonarla ad Alive, spiegando che lo scopo del pezzo è quello di spaccare al momento del live. Di questo almeno siamo certi, i Pearl Jam sanno benissimo come scatenare la folla sotto il palco.

Won’t Tell

Un altro pezzo lento, che mantiene comunque una coerenza dignitosa con il resto dell’album. I suoni sarebbero potuti essere più avanti e potenti, dal momento che appartengono ai Pearl Jam, invece ricordano un po’ troppo Earthling, album solista di Vedder del 2022.

Upper Hand

Anche questo brano ha qualcosa di Earthling, ma pure di Elton John, un mix che non risulta poi così strano, considerata la collaborazione recente di Vedder con l’artista britannico. Il solo di chitarra che si intreccia con quello di piano crea un’atmosfera travolgente che infatti abbiamo già conosciuto in Earthling. Upper Hand e Picture possono considerarsi sorelle, anche se a questo punto viene da chiedersi se non sarebbe stato un pezzo migliore coinvolgendo di nuovo Elton John.

Waiting For Stevie

È il pezzo che mi è rimasto più impresso. Il riff iniziale cattura anima e corpo ed è semplicemente indimenticabile. È forse il brano che mi ha ricordato di più le vecchie strutture. Si inizia con un riff distintivo di chitarra affiancato dal basso, poi si unisce una batteria decisa e potente. A quel punto parte direttamente il ritornello, una melodia orecchiabile che si fa subito cantare a squarciagola, imitando Vedder. Si procede con un pre-ritornello che sembra una strofa ma poi strofa non è, perché questo brano non ha strofe. È composto da riff ipnotizzanti, ritornelli, bridge che collegano le parti a regola d’arte. Ma il momento più alto di Waiting For Stevie è il solo di chitarra, inarrestabile e trascinante. Insomma, per me è questo il nuovo gioiello, un brano perfetto con cui potrebbe chiudersi il live di un tour che attendiamo con impazienza, per godere appieno del vero suono dei Pearl Jam.

Running

Praticamente un brano punk del 2024, velocissimo nella sezione ritmica e anche nella melodia. Il testo viene sciorinato con una rapidità che cerca di allinearsi al titolo e al senso del brano. Dopo la pausa del bridge, dove prendono tutti un breve respiro, il brano riparte velocissimo come in principio. Un assolo di pochi secondi anticipa un finale esplosivo, per gli strumenti e per la voce, che si mescolano fino a diventare un tutt’uno. A quel punto si fa fatica a scindere musica e voce, e questa è la dimostrazione straordinaria di cosa può fare in 2 minuti una band coesa da 33 anni come i Pearl Jam.

Something Special

Si penserebbe che delle vibes country non dovrebbero trovare spazio in un album di una band nata nei ferventi anni del grunge. Eppure tutto cambia, e Something Special si integra bene in Dark Matter, per quanto sia il brano più debole. È definita «una canzone d’amore» da Andrew Scott, e in effetti potrebbe essere stata scritta da Vedder pensando alle sue figlie.

Got To Give

Un arpeggio delicato introduce la batteria e si trasforma poi in un classico riff del rock melodico. Un inizio semplice ma incisivo, merito anche del carisma di Vedder, interprete perfetto che modula la voce con accuratezza. Anche questo è un brano che riporta un po’ indietro nel tempo: strofa lunghissima, ritornello breve, bridge che cambia totalmente melodia. Il finale è un tipico finale alla Pearl Jam: assolo di chitarra su un ritmo ripetuto che rallenta per la stoccata da chiusura live. Un piccolo concerto in 4 minuti e 37 secondi.

Setting Sun

Il brano che chiude Dark Matter è un pezzo lento, acustico, che si sviluppa come un brano di Into The Wild. L’arpeggio accompagna tutta la strofa e non è mai scontato, la melodia è dolce. Poi cambia un po’ atmosfera: entra la chitarra elettrica con un solo che accompagna il ritorno della voce e la sostiene fino al finale. Le modulazioni di Vedder sono perfette per raccontare l’incertezza della vita, di una relazione, di chi riflette sul senso dell’esistenza e degli anni che passano.

Am I the only one hanging on? / We could become one last setting sun / Or be the sun at the break of dawn / Let us not fade”

Un brano adatto a chiudere la nuova fase della band più longeva del grunge. Una scelta sulla falsa riga di Toys in the Attic degli Aerosmith, in cui la stessa responsabilità è data a You See Me Crying, brano dolce e nostalgico proprio come Setting Sun.

Dark Matter: quant’è rimasto del passato dei Pearl Jam?

Ammetto di essermi spaventata ascoltando i singoli di Dark Matter rilasciati settimane fa. Non riconoscevo i suoni tipici della band, percepivo solo confusione e non riuscivo a ricostruire un’identità storicamente unica e innovativa. Finora mi era sempre capitato di ascoltare anche distrattamente un brano e riconoscere il marchio di fabbrica dei Pearl Jam. Con quei tre brani invece mi sono sentita disorientata.

Solo a un ascolto più attento ho capito qual era il giusto approccio da riservare a Dark Matter. Facile a dirsi ma non a farsi, dovevo solo smettere di aggrapparmi al passato e concentrarmi sul futuro. Quel che è stato è stato e, una volta arrivate la consapevolezza e un pizzico di rassegnazione, è stato più facile accettare che l’era della Musica con la maiuscola per il momento è finita. Perciò – mi rivolgo ai miei compagni sognatori e idealisti – benvenuti nella nuova era dominata da suoni compressi e poche dinamiche. Adesso è così che funziona ed è inutile lamentarsi. In ogni caso non credo che smetterò di sognare una rivoluzione che potrebbe riportare ai vecchi fasti.

Noi amanti della Musica siamo pronti, nel frattempo ascoltiamo questo album con un po’ di nostalgia, perché non è male per niente. I Pearl Jam restano una certezza, anche in un mondo in cui si cammina in equilibrio su un cornicione, non sapendo bene da quale parte si cadrà. Non mi aggrappo al passato, ma di certo mi aggrappo a una band che mi ha dato tanto e continua a farmi sognare.

Se questo articolo vi è piaciuto, ecco tutti i miei pezzi sui Pearl Jam:

— Onda Musicale

Sponsorizzato
Leggi anche
James Hetfield si tatua il dito medio con le ceneri di Lemmy Kilmister
Taylor Swift: falso album generato dall’Intelligenza Artificiale finisce su Spotify