Non è facile trovare le motivazioni giuste per continuare a fare musica quando sei una leggenda come Mark Knopfler. Lui, però, non si pone il problema e tira diritto per la sua strada col nuovo album One Deep River.
Sì, perché da Mark Knopfler, a breve brillante settantacinquenne, gli appassionati della prima ora continuano ad aspettarsi un colpo di coda in stile Dire Straits. Con la band, il chitarrista di origine scozzese, aveva risollevato il rock tutto assoli che alla fine degli anni Settanta pativa l’avvento di Punk e Discomusic. Non solo, negli anni Ottanta la band aveva distrutto molti record di vendita.
Poi, però, i Dire Straits erano tramontati per i soliti dissidi. Forse, quello che davvero cercava Mark era di stare lontano dalle luci della ribalta, quelle che ti danno la notorietà ma che ti mettono addosso una pressione spesso insopportabile. Lo sapeva bene, Knopfler che – come Jesus Christ Superstar davanti Simone lo zelota – era forse stanco di fare il juke-box per i fan.
Mark era stanco di macinare i suoi fenomenali assoli, quello di cui aveva bisogno era tornare a una musica più intimista, più vicina a quella degli eroi della sua infanzia. Chet Atkins e Johnny Cash su tutti. E allora ecco una discografia solista piena di perle all’insegna del folk e del country, dove il demone chitarristico di Knopfler di rado viene lasciato a briglia sciolta.
Una decina di lavori, compreso l’ultimo, sempre di alto valore ma non sempre baviati dalla benedizione della passione. Sailing to Philadelfia, del 2000, rimane forse la pietra miliare, ma il livello è comunque sempre alto.
Arriviamo così a One Deep River, lavoro che giunge a sei anni dal precedente Down the Road Wherever. Un disco composto da dodici brani che – per fortuna – procede senza scossoni. Un album dove trovi esattamente quel che ti aspetti, senza magari picchi da capolavoro, ma senza nessuna scivolata. Il disco di un gigante del rock che a settantaquattro anni non ha nulla da dimostrare, se mai l’ha avuto.
One Deep River si apre con Two Pairs of Hands, tipico folk country lievemente sostenuto alla Mark Knopfler. È incredibile ascoltare quanto la voce sussurrata e inconfondibile sia identica a quella di quarant’anni fa, e così i fraseggi cristallini delle corde pizzicate con le dita. Non c’è la furia giovanile negli assoli, ma la classe è quella inimitabile di sempre. Two Pairs of Hands apre in grande stile e – lo anticipiamo – sarà una delle vette del lavoro.
Segue Ahead of the Game, brano che si muove sulla falsariga del precedente, con un riff felpato che traccia la via. Le atmosfere sono leggermente più country e il lavoro alla chitarra, lontano dai virtuosismi da Sultano dello Swing, è perfetto.
Smart Money prende una direzione da classica ballata folk alla Bob Dylan, dalle parti di una Desolation Row moderna. Scavengers Yard è più profumata di blues, con un’andatura sincopata e la voce di Mark che si fa più espressiva. Siamo in zona Six Blade Knife, con la chitarra che continua a muoversi sulla soglia dell’accelerazione, rimanendo sempre però col freno a mano tirato. In ogni caso, un altro dei pezzi forti di One Deep River.
Si passa a Black Tie Jobs, ballata lenta e melodica sostenuta dagli archi. Ce ne sono di brani così ispirati, nel canzoniere di Knopfler, al limite dello spiritual ma con una costruzione più incline al country. Come Feel Like Going Home coi Notting Hillibillies, anche se Black Tie Jobs ricorda un po’ anche quella River of Tears dell’amico Clapton, forse uan delle canzoni più tristi mai scritte.
Lentissima ma anche molto bella è pure la successiva Tunnel, toccante e perfetta canzone densa di atmosfera. Janine accelera un po’ e riporta le suggestioni tra country e pop, ma forse non si tratta di uno dei pezzi più riusciti, al netto di una bella parte di chitarra. Whatch Me Gone completa una parte centrale non proprio solidissima.
Ancora un lentissimo brano folk con Sweeter Then the Rain, bella senza sfiorare il capolavoro. Before My Train Comes sfoggia ancora un bell’incedere country e armonie vocali. Si torna poi a rallentare con This One’s Not Going To End Well, dove è soprattutto la voce di Mark a impressionare, quasi migliorasse col tempo.
Chiude One Deep River la title track. Siamo ancora di fronte a una ballata lentissima, tra coretti femminili e una chitarra che regala il suo suono pulito e perfetto, distaccato come se venisse da un altro pianeta. Un pianeta lontano da quello dei Dire Straits, dove tutto è classe e misura. Dove, forse, manca solo un po’ di emozione.
One Deep River è un album molto riuscito, forse sopra la media già di per sé alta della discografia solista di Mark Knopfler. Come detto, un disco dove si respira per lunghi tratti una classe inarrivabile, ma dove forse viene fuori un po’ di freddezza formale. Insomma, i tempi del furore rock sono lontani. Un furore che peraltro era solo negli assoli, Mark e soci non sono mai stati dei rocker dannati.
In tempi in cui la musica è sempre più confinata a un ruolo marginale, e in cui sentire strumenti accarezzati come sa fare Mark Knopfler è roba rara, fa quasi impressione ascoltare un disco così fuori dal tempo. E allora, teniamoci stretti un raffinato artista così, temiamo davvero che sarà merce sempre più rara.