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Jon Davison (Yes):”Abbiamo deciso di non suonare più dal vivo «Owner of a Lonely Heart»”

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Jon Davison

La band è andata in scena con Steve Howe a Padova l’8 maggio al Gran Teatro Geox. Il cantante Jon Davidson: «Omaggio a Squire e White».

Ci sono band e ci sono leggende. Gli Yes fanno parte, senza alcun dubbio, della seconda categoria. Cinquantacinque anni di carriera, 22 album in studio (tra i quali i capolavori The Yes Album e Fragile), il gruppo inglese icona del progressive rock (ancora guidato da Steve Howe), si è esibito mercoledì 8 maggio, al Gran Teatro Geox di Padova per una tappa di «The Classic Tales of Yes Tour». A raccontarlo è Jon Davison, voce della band dal 2012.

Jon Davison, che scelte avete fatto in questo tour per raccontare la vostra storia (e quella degli Yes) così lunga e gloriosa?

«Steve (Howe, fondatore e componente storico, ndr) ha ideato la maggior parte della scaletta e poi tutti noi abbiamo contribuito con i nostri suggerimenti, cosa che lui apprezza molto. Adora quando rispondiamo con entusiasmo alle sue idee. Poi, guardando la scaletta nel complesso, mi è venuto in mente il titolo del tour, “The Classic Tales of Yes”»

Come mai dopo i «The Album Series Tour» avete puntato a un tour «generalista»?

«Vogliamo sempre incorporare una maggiore varietà nel materiale dal vivo. Penso che alla fine torneremo alla serie degli album, ma non vogliamo nemmeno essere vincolati da questo concetto. È un’arma a doppio taglio perché facendo interi album possiamo portare sul palco molti brani rari, il che è eccitante, ma poi tagliamo spazio per eseguire gli standard che la gente viene a cercare e si aspetta di sentire»

Negli ultimi anni, sono scomparsi due componenti importanti della band come Chris Squire e Alan White. Ci sarà un momento per ricordarli?

«A ogni canzone che suoniamo sul palco, il gruppo pensa costantemente ad Alan e Chris, e sono sicuro che il pubblico reagisce alla musica pensando a loro con affetto. Ogni sera sentiamo davvero che il loro spirito circonda l’evento e benedice la nostra performance musicale»

Ormai fa parte degli Yes da 12 anni e oltre i tour, ha registrato tre album, il più recente dei quali è «Mirror to the Sky». Come è essere parte di un gruppo leggendario?

«In questi ultimi 12 anni di permanenza negli Yes, ho lavorato così a stretto contatto con Steve Howe e gli altri che credo che la loro maestria di compositori si sia trasmessa a me in modi che hanno aumentato le mie capacità creative di scrivere canzoni. È naturale che la mia creatività venga esaltata in modi nuovi, il che rende gratificante fare parte di una band così leggendaria»

Come si spiega, in tempi in cui rap e pop la fanno da padroni, l’affezione del pubblico ad un genere complesso e articolato come il progressive rock?

«Credo che la cultura italiana lo capisca meglio. Per esempio, perché avere fretta di cenare quando si può stare seduti tra parenti e amici davanti a una tavola ricca di portate e di vino pregiato? Perché non godersi al massimo l’esperienza? Ecco, questa è una buona metafora della qualità del rock progressivo e di come chi ha gusti musicali più raffinati voglia assaporarlo»

Perché il successo più importante degli Yes, «Owner of a Lonely Heart», manca dalle scalette dei concerti dal 2017?

«In tutta onestà, Steve non vuole suonarla, e perché dovrebbe? Il suo stile chitarristico unico e il suo contributo alla grande era degli Yes sono sufficienti per deliziare i fan e riempire le sale»

(articolo di Francesco Verni – link)

— Onda Musicale

Tags: Yes/Chris Squire/Steve Howe
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