John Mayall, il re del British Blues, se n’è andato il 22 luglio del 2024 a 90 anni. Oggi lo vogliamo ricordare con Crusade, l’album del 1967 che introduce la chitarra di Mick Taylor.
Alla metà degli anni Sessanta, al tempo di Crusade, Londra è il centro del mondo. Non solo a livello musicale, la capitale inglese è il posto da dove partono le maggiori tendenze in ogni campo. È però proprio la musica leggera il ring dove la Gran Bretagna conquista la sua leadership più netta. Non ci sono solo Beatles e Rolling Stones: nella Swingin’ London c’è posto per tutti.
Dal pop di gruppi come Troggs e Zombies al rock grezzo di Kinks e Who, per arrivare all’incredibile fucina di talenti blues. Tre sono i nomi seminali: Cyril Davies, Alexis Korner e John Mayall. Di questi, solo Mayall raccoglierà quanto merita. Non solo, nel giro di pochi anni i Bluesbreakers – la sua band – acquisterà la fama di università del blues.
John è tanto bravo nello scovare giovanissimi talenti, specie alla chitarra, quanto generoso nel lasciarli andare per la loro strada. Succede col suo caso scuola, Eric Clapton, che abbandona la nave dopo il grande successo dell’album che i fan ricordano come Beano. Quando Eric se ne va, lascia il posto a Peter Green, un talento forse allo stesso livello ma ingestibile sotto il profilo umano.
Green rende grande A Hard Road, poi fonda i Fleetwood Mac. A quel punto, nessuno scommetterebbe su un altro grande colpo di John Mayall e l’attesa è tangibile. E invece, il vecchio John – si fa per dire – tira fuori l’ennesimo coniglio dal cilindro: Mick Taylor.
Mick ha appena sedici anni quando Mayall lo invita a suonare con sé sul palco durante una session all’Hatfield Polytechnic. Ne ha appena diciotto quando Crusade viene registrato, nel luglio del 1967. Mick ha la faccia d’angelo, idee confuse sulla sua carriera da musicista e una tecnica blues cristallina. Il sodalizio con Mayall arriva così all’improvviso che Mick dichiarerà:
“Un minuto prima stavo suonando con gli amici musicisti di Hatfield e un minuto dopo ero in tour negli States come solista di John Mayall e dei Bluesbreakers”.
Taylor non ha la fantasia distorta di Peter Green ed è sicuramente meno carismatico di Clapton, di cui in questo disco ricorda la tecnica in modo inquietante, ma il suo suono è caldo e pulito. L’ideale per Crusade, disco tradizionale, ma anche per i cambiamenti che Mayall ha in mente.
La fama di Nave Scuola di John viene confermata dopo un paio d’anni. Mick, infatti, viene reclutato dai Rolling Stones al post di Brian Jones. La sua avventura dura fino al 1974, poi – un po’ per smanie soliste, un po’ per lo stile di vita troppo sopra le righe nella band – Mick Taylor saluta e se ne va. La carriera solista non gli darà praticamente nessuna soddisfazione commerciale, complice il fatto di non cantare. Qualche cosa di buono, però, nei suoi dischi c’è. Pazienza, è andata così.
Ma parliamo di Crusade, disco che segue alla perfezione il solco dei due illustri precedenti. La formazione dei Bluesbreakers è lo stato dell’arte del British Blues. Mayall è il leader con la sua voce perfetta per il genere, calda e dotata di un falsetto inimitabile e suona una pletora di strumenti; Mick Taylor suona la chitarra come se fosse la reincarnazione di Clapton, con fraseggi forse ancora più raffinati.
La sezione ritmica è fenomenale. Al basso John McVie, che sta per lasciare il boss per seguire Peter Green nei Fleetwood Mac, coi quali – ironia della sorte – farà molta più fortuna. Keef Hartley siede alla batteria, e si tratta di una delle tante meteore del blues britannico, che fonderà una validissima band di blues quasi progressivo. Che, purtroppo per lui e per noi, non avrà grande fortuna.
Il disco si pare col classico di Albert King Oh, Pretty Woman – nulla a che fare con Roy Orbison – tipico blues dall’andatura sostenuta. Il pezzo è lo sfondo ideale per la chitarra di Mick Taylor, perfetta soprattutto nella misura, sia nella ritmica che nei fill. L’assolo mette subito le carte in tavola: chi teme di dover rimpiangere Clapton e Green può stare tranquillo.
Stand Back Baby è il tipico brano originale di John Mayall. Uno shuffle sostenuto fatto apposta per mostrare le doti del bandleader, con tanto di assolo di armonica. La sezione ritmica batte come un maglio e Taylor si dà da fare con la solita misura. Da segnalare anche un solo di slide, sempre di Mayall, al limite del bizzarro.
Arriva il momento del lentone con My Time After Awhile, classico slow di Buddy Guy, palestra per le avventure della sei corde di Mick. La voce di John Mayall è sofferta come si conviene a un blues di questo tipo. Il protagonista assoluto è però Mick Taylor. Il chitarrista macina un assolo dopo l’altro, sempre col suo timbro cristallino e i fraseggi sempre perfettamente nelle righe. E lo intendiamo come complimento.
Da segnalare anche una bella parte di sassofono, talmente rigorosa che pare davvero di essere sulle rive del Mississippi e su quelle del Tamigi. Chapeau.
Snowy Wood è uno strumentale che porta la firma di Mayall e Taylor. Si tratta di un pezzo quasi ballabile, ma dobbiamo considerare che all’epoca anche grandi band come quella di Mayall si esibivano in locali dove i ragazzi andavano anche per ballare. A guidare le danze, è il caso di dirlo, la chitarra di Mick, forse meno brillante del solito.
Man Of Stone è un classico del sottovalutato bluesman Eddie Kirkland, un po’ alla maniera di John Lee Hooker. Un boogie dove si mettono in mostra soprattutto l’armonica di Mayall – che duella col sax – e la sezione ritmica.
Il primo lato si chiude con un altro originale di Mayall, Tears In My Eyes. Si tratta ancora di uno slow di grande atmosfera, con l’inimitabile voce di John che dà ancora i brividi. Ancora da manuale l’assolo di Mick Taylor. Non dimentichiamo che il ragazzo ha solo diciotto anni ed è all’esordio, davvero niente male.
Come già accaduto nei precedenti album, Taylor ha l’occasione di misurarsi con uno strumentale di Freddie King, all’epoca riferimento essenziale per ogni giovane chitarrista. Il pezzo è Driving Sideways e Taylor se la cava alla grande, quasi clonando il Clapton di Hideaway.
The Death Of J. B. Lenoir è un originale di John Mayall che paga il debito con uno dei suoi grandi ispiratori, proprio J. B. Lenoir. Il musicista era una curiosa figura di bluesman poco tecnico ma impegnato socialmente e molto istrionico, scomparso prematuramente. Il brano, curiosamente, è lento e piuttosto lontano dallo stile di Lenoir, ma molto riuscito.
I Can’t Quit You Baby è proprio lui, il pezzo che di lì a poco sarà strapazzato e reso immortale dalla voce di Robert Plant e dal trattamento dei Led Zeppelin. Quando Mayall lo propone è un lento di Otis Rush, introdotto dall’urlo selvaggio del bluesman e qui da quello più raffinato di John. Il lavoro di Mick Taylor alla chitarra è encomiabile, anche se molto più ligio all’originale rispetto a quanto farà Jimmy Page. Decidete voi quale sia meglio.
Streamline è ancora un originale, con l’organo in bella evidenza e un andamento da rumba blues, all’epoca molto in voga. Un episodio gradevole ma non proprio memorabile. La qualità torna alle stelle con Me And My Woman, reinterpretazione di un classico del sassofonista Gene Barge. Il pezzo è una sorta di slow dall’andamento funk e rilassato, con la chitarra di Mick Taylor davvero in gran spolvero.
Siamo in chiusura con uno standard di Sonny Boy Williamson II, uno degli ispiratori di Mayall all’armonica. Checkin’ Up On My Baby è un tipico shuffle movimentato, registrato come se fosse live e la cui ritmica ha sicuramente molto influenzato i primi Led Zeppelin. La scena è dominata dall’armonica di Mayall per una degna chiusura con il leader sugli scudi.
Crusade, come si capisce dalla copertina e dal titolo, pare annunciare una sorta di crociata blues contro l’invasione di un pop più leggero. E invece, si tratta dell’ultimo disco ortodosso di Mayall, almeno del suo periodo d’oro. Dopo il successivo The Blues Alone, mezzo passo falso in cui John suona tutti gli strumenti, anche Mayall si fa tentare dalle sirene dell’avanguardia.
E menomale! Pur con una formazione simile, con Taylor alla chitarra, registra il quasi prog di Bare Wires e il concept blues hippie di Blues From Laurel Canyon. Ci sarà tempo ancora per un paio di capolavori, The Turning Point e Jazz Blues Fusion, ma il momento del British Blues è agli sgoccioli.
Eppure, John Mayall, tra infiniti cambi di formazione e alti e bassi, accompagnerà gli appassionati della musica del Diavolo per quasi altri cinquant’anni. Fino all’ultimo lavoro, l’ottimo e profetico The Sun Is Shining Down del 2022.
Addio, John.