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David Gilmour: “David Gilmour” (1978): il viaggio solista del chitarrista dei Pink Floyd

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David Gilmour

David Gilmour, il leggendario chitarrista dei Pink Floyd, è universalmente riconosciuto come uno dei musicisti più influenti nella storia del rock.

Il suo stile chitarristico, caratterizzato da assoli melodici, toni caldi e un uso magistrale del bend e del vibrato, ha definito il sound dei Pink Floyd e influenzato generazioni di chitarristi. Nel 1978, mentre i Pink Floyd erano all’apice del successo dopo “The Wall“, David Gilmour decise di esplorare territori musicali personali pubblicando il suo primo album solista, semplicemente intitolato “David Gilmour“.

L’album rappresenta un interessante allontanamento dal sound psichedelico e progressivo dei Pink Floyd, abbracciando elementi più diretti del rock e del blues, pur mantenendo quella cifra stilistica inconfondibile che ha reso Gilmour uno dei chitarristi più riconoscibili al mondo.

1. Mihalis (5:46)

L’album si apre con un brano strumentale che stabilisce immediatamente l’atmosfera dell’intero disco. “Mihalis” presenta una progressione di accordi ipnotica sopra la quale Gilmour costruisce linee melodiche sinuose con la sua caratteristica Stratocaster. Il brano si sviluppa attraverso varie sezioni, alternando momenti più meditativi a passaggi di intensa energia. La struttura ciclica del pezzo permette a Gilmour di esplorare diverse sfumature del suo stile solistico, con particolare enfasi sui suoi celebri bend espressivi e sul controllo dinamico.

2. There’s No Way Out of Here (5:08)

Originariamente scritta dal gruppo Unicorn, questa cover diventa nelle mani di Gilmour un perfetto veicolo per il suo stile. La voce calda e pacata del chitarrista si sposa perfettamente con l’arrangiamento rock-blues del brano. L’assolo centrale è un esempio perfetto del suo approccio melodico alla chitarra solista, con frasi ben costruite che si sviluppano organicamente, supportate da un accompagnamento ritmico solido. Il brano rappresenta forse il momento più commerciale dell’album, pur mantenendo una profonda integrità artistica.

3. Cry from the Street (5:13)

Un brano che mostra il lato più blues-rock di David Gilmour. La traccia si apre con un riff energico che stabilisce immediatamente un groove potente, supportato da una sezione ritmica solida e da un lavoro di tastiere che aggiunge profondità all’arrangiamento. La voce di Gilmour è particolarmente espressiva qui, con un testo che esplora temi di alienazione urbana. L’assolo centrale è un perfetto esempio del suo approccio al blues, con bend espressivi e frasi che costruiscono tensione gradualmente. La struttura del brano, più diretta rispetto ad altre tracce dell’album, mostra la capacità di Gilmour di eccellere anche in un contesto rock più tradizionale.

4. So Far Away (5:50)

Un pezzo che combina elementi rock progressivi con strutture più tradizionali. L’arrangiamento complesso include sintetizzatori e orchestrazioni che ricordano il lavoro con i Pink Floyd, ma con un’impronta più personale. Il lungo assolo centrale è un tour de force che mostra tutte le sfaccettature dello stile di Gilmour, dalla delicatezza dei passaggi melodici alla potenza dei bend sostenuti.

5. Short and Sweet (5:30)

Scritta insieme a Roy Harper, questa traccia presenta una struttura più complessa delle precedenti. L’alternanza tra sezioni acustiche e elettriche crea un interessante contrasto dinamico. Il testo, più diretto rispetto ai lavori con i Pink Floyd, è supportato da un arrangiamento che cresce gradualmente in intensità, culminando in un assolo emotivamente carico.

6. Raise My Rent (5:33)

Un altro brano strumentale che mostra l’abilità di Gilmour di costruire atmosfere attraverso la chitarra. Il brano si sviluppa lentamente, con layers di chitarre che si sovrappongono creando texture sonore complesse. L’uso del delay e del riverbero contribuisce a creare un’atmosfera sognante, mentre il fraseggio rimane sempre elegante e controllato.

7. No Way (5:32)

L’album prosegue con un brano che sembra riassumere tutti gli elementi presentati nelle tracce precedenti. La struttura è progressiva, con cambi di tempo e dinamica che mantengono alto l’interesse dell’ascoltatore. L’assolo finale è particolarmente memorabile, con David che sembra voler dare un’ultima dimostrazione della sua maestria prima di chiudere l’album.

8. Deafinitely (4:27)

Un altro pezzo strumentale che mostra il lato più funky di Gilmour. Il groove sincopato della sezione ritmica fornisce una base perfetta per le sue esplorazioni chitarristiche. L’uso degli effetti, in particolare del talk box, aggiunge una dimensione sonora interessante al pezzo. La progressione del brano è costruita in modo da creare tensione e rilascio, con Gilmour che alterna passaggi ritmici incisivi a momenti solistici più distesi.

9. I Can’t Breathe Anymore (3:04)

Una ballata blues introspettiva che mostra il lato più emotivo di Gilmour. La voce è in primo piano, supportata da un arrangiamento minimale che si espande gradualmente. Il solo di chitarra è particolarmente toccante, con un fraseggio che sembra quasi “cantare” le parole che non possono essere espresse. L’uso sapiente degli spazi e delle dinamiche rende questo brano uno dei momenti più intensi dell’album.

Il disco rappresenta un interessante capitolo nella carriera solista di David Gilmour

Pur mantenendo elementi riconoscibili del suo stile, l’album mostra un artista desideroso di esplorare nuove direzioni musicali al di fuori dei confini dei Pink Floyd. La produzione è eccellente, con un suono caldo e dettagliato che valorizza ogni sfumatura delle performance. Sebbene alcuni momenti possano risultare meno memorabili rispetto ai lavori con i Floyd, l’album rimane un documento importante che mostra le capacità di Gilmour come artista solista e la sua volontà di sperimentare pur rimanendo fedele alle proprie radici musicali.

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd/The Wall
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