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Intervista con Mary Lee and Caesar’s Cowboys

La band Mary Lee And Caesar’s Cowboys nasce nel 2022 per la volontà di Marjolein e Luciano di orientare il loro precedente progetto country verso il western swing.

Il western style dei Mary Lee and Caesar’s Cowboys è lo stile che il duo di musicisti riteneva più versatile e affine alla loro passione per il jazz. Inizia così una ricerca storica e filologica che verrà poi consolidata con l’ingresso nella formazione di Flavio Pasquetto (reduce da importanti esperienze con vere e proprie leggende americane).

Nel 2023 pubblicano il loro primo video autoprodotto –  “Everybody’s Truckin’”  – e tramite esso vengono immediatamente notati nella scena internazionale. Si esibiscono al Taranto Swing Festival (2023), al Summer Jamboree (2024) e Borgo Sonoro (2024) per poi salire sul palco dello storico Rhythm Riot in ottobre. Mary Lee and Caesar’s Cowboys sono tra i pochissimi interpreti in Italia ad aver riportato alla luce un repertorio apparentemente di nicchia. Ma riescono allo stesso tempo a coinvolgere un pubblico assai eterogeneo, come dimostra il successo dei loro concerti nelle location più disparate sia in Italia che all’estero.

L’intervista

Lo scorso 27 settembre è uscito su tutte le piattaforme digitali per Bloos Records il loro primo album intitolato “See ya later, gladiator!”. Abbiamo colto l’occasione per chiedere ai membri della band di farci sapere qualcosa di più sulla genesi del loro progetto e questo è ciò che ci hanno raccontato:

La vostra band nasce nel momento in cui Marjolein e Luciano decidono di orientare il loro precedente progetto dal country verso il western swing. In che modo quest’ultimo genere vi è più affine e come è avvenuto questo passaggio?

L’affinità è dovuta alla passione per il jazz. Marjolein è particolarmente legata al jazz tradizionale e al manouche, io all’epoca che va dalla swing era al jazz moderno. Il passaggio è avvenuto in maniera graduale, inserendo pian piano sempre più brani western swing nella nostra scaletta. Tra le altre cose in quel periodo suonavamo spesso in trio con il contrabbasso e notavamo che questi brani, in formazione ridotta, funzionavano di più di quelli honky tonk. Inoltre, avevamo più libertà nell’arrangiamento e nell’improvvisazione, il che rendeva i concerti sempre più stimolanti.

Il progetto nasce a Roma, ma il genere dei Mary Lee and Caesar’s Cowboys che proponete è tipicamente americano. Come viene percepito il western swing nel nostro paese, secondo la vostra esperienza?

La risposta del pubblico è ottima in quanto questa musica ha molte somiglianze con lo swing italiano che qualche decennio fa era decisamente mainstream, attraverso grandi artisti come Quartetto Cetra, Trio Lescano, Renato Carosone e molti altri. La caratterizzazione western rende il progetto più esotico e folkloristico, suscitando ancor più interesse nelle persone.

Marjolein, ci hai raccontato che la grafica dell’album “See ya later, gladiator!” è opera tua. Ci racconti meglio come è stata ideata?

Ci teniamo a precisare che l’illustrazione della copertina è opera di Max Forestieri mentre io ho curato la restante grafica dell’album. L’idea era di unire l’elemento western con quello romano dato che tranne me, che vivo qui da poco, il resto della band è di Roma o provincia. Ci sembra divertente e ironico immaginare Giulio Cesare con al seguito un esercito di cowboys al posto dei legionari anche perché non solo è bello valorizzare la nostra cultura ma è anche un atto di onestà verso una cultura,
quella del vecchio west, che amiamo ma non ci appartiene.

Due dei brani contenuti in questo disco sono originali. Parliamone un po’. Che cosa avete deciso di raccontare in questi brani?

Westlake Bay nasce da una splendida melodia di Flavio, il nostro steel player e il testo di Marjolein parla di una storia d’amore mai nata che può anche essere interpretata come la nostalgia del ricordo della stessa. Lo scopo era quello di valorizzare il forte impatto evocativo della musica attraverso una descrizione che trae spunto da paesaggi e elementi naturalistici. My Boogie Man è invece una rivisitazione di Simone del più classico stile boogie woogie e parla di un cuore spezzato attraverso la
metafora del ballo.

Qual è stata la vostra esperienza live più significativa?

Sono molti i concerti che portiamo nel cuore, ma senz’altro ricordiamo con emozione il festival di Borgo Sonoro – con il suo meraviglioso pubblico -, l’esperienza sul main stage del Summer Jamboree di Senigallia davanti a migliaia di persone e il recente concerto al Rhythm Riot in Inghilterra.

— Onda Musicale

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