8. Diaframma, Siberia (1984)
Il postpunk come punto e a capo, un reset artistico che trasforma Firenze nel cuore dark dell’Italia, l’epicentro di una musica segaligna, disperata e intransigente. Proprio come i Litfiba, i Diaframma sono una lama di ghiaccio che spacca in due l’acerbo ma arrembante rock alternativo nazionale degli anni Ottanta. I suoni richiamano tanto i Cure quanto i Joy Division, ovvero le stelle polari del male di vivere giovanile di quel periodo, ma il risultato è qualcosa di differente, come un’inquietudine che si rinnova. Siberia è una pietra miliare.
7. Iosonouncane, Die (2015)
In sardo la parola “die” significa giorno, ma in qualche modo la musica di Iosonouncane costringe a leggere la parola all’inglese, cioè morire, perché il tema della vita e quello della morte sono l’alfae l’omega di un disco per il quale non sembrano esistere categorie tradizionali per raccontarlo. Psichedelia, cantautorato, elettronica, sperimentazione: la somma di questi elementi è superiore alle singole parti e la voce di Jacopo Incani diventa ancora più espressiva, partecipe, drammatica.
6. Verdena, Wow (2011)
Ci sarebbe spazio per il rock dritto di Il suicidio del samurai, ma anche per la brutalità stoner di Requiem. Eppure è il doppio album Wow a prendersi la scena, perché è il lavoro in cui il trio inizia una nuova fase artistica. È un disco quasi beatlesiano per le armonie ampie e per le aspirazioni psichedeliche, ma nel menu ci sono anche gli Interpol, le divagazioni folk e una generale sensazione di libertà creativa. Ec’è il basso potente di Roberta Sammarelli, che è il combustibile che fa partire tutto. È con questi brani che i Verdena sono diventati, definitivamente, la band da battere. Altro che semplici Nirvana de noartri.