Musica

Paul McCartney incanta Parigi con tre ore di concerto

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Paul McCartney

Quasi tre ore di concerto per Paul McCartney, tra rimandi a Lennon e dediche alla moglie.

Cos’è la Beatlesmania? È uno «state of mind, uno stato d’animo, che solo chi vive può descrivere», come recita una voce fuori campo prima che parta il concerto con cui l’82enne Paul McCartney è tornato a esibirsi l’altra sera sul continente europeo dopo sei anni: due show da 40 mila persone alla Défense Arena di Parigi, poi Madrid, Londra e Manchester e, le voci si rincorrono, in Italia nel 2025 dove ancora non si sa.
Forse bisognerebbe chiedere la risposta a quel signore in costume da Sgt Peppers che ha speso 500 euro per portare il figlio per la prima volta a un concerto di Paul. 

La platea non è solo di nostalgici

A parte i bambini in visita taumaturgica coi nonni, ci sono anche i millennial venuti in gruppo per scoprire chi e che cosa all’inizio degli anni 60 ha cambiato la musica, lo star system, la cultura giovanile e la società. McCartney lo racconta in 2 ore e 40 minuti di musica e canzoni. Sul palco non si scatenerà come quell’altro over 80 di Mick Jagger, ma se gli Stones se la sbrigano in meno due ore, il dosaggio dell’energia di Paul è più da maratoneta.
La scaletta parla Beatles, quelli a firma Macca, per circa i due terzi, quindi i Wings, e solo qualche accenno alla carriera solista (con più accento su quella più recente e meno ispirata) quasi a voler rimarcare la forza della sua personalità anche quando stava con altri.
L’essenza del concerto sono le canzoni. Del resto con pezzi come Let It Be, Hey Jude, Get Back, Golden Slumbers/Carry That Weight/The End uno può permettersi di lasciare fuori anche Yesterday. Non c’è bisogno di altro. Ci scherza sopra Paul quando si libera della giacca dopo i primi brani: «È il solo cambio abito della serata». Uniche concessioni allo show i classici fuochi d’artificio e fiamme in stile Capodanno a Fuorigrotta per Live and Let Die e Blackbird cantata da solo con chitarra acustica, innalzato su una pedana mobile.

Non c’è Back in the Ussr, uno dei cardini della sua storia live, ma è una scelta precisa da quando la Russia ha invaso l’Ucraina

Se non fosse chiaro da che parte stia, la bandiera di Kiev sventola sul megaschermo durante il pre-show.
La band è una macchina precisa, che spinga sull’energia rock degli anni 60-70 nella prima parte o che scelga la delicatezza per un set raccolto nel mezzo dello show. Lui suona di tutto, dal suo basso Höfner alla chitarra, dal banjo al pianoforte a coda a quello verticale decorato da grafiche psichedeliche.
Paul non dimentica i compagni di viaggio. Nella vita privata al suo fianco ora c’è la moglie Nancy, «donna meravigliosa che è qui stasera» cui dedica My Valentine e un cuoricino fatto con le dita come se fosse un GenZ su TikTok. A volte gli scappa la piacioneria rivolgendosi al pubblico, ma, anche se ci prova, Paul non è uno di noi. Non può esserlo. È uno, unico, e basta.

Ci sono poi le avventure in musica

I primissimi passi con i Quarrymen, l’incubatore dei Beatles, ricordati con In Spite of All the Danger. Dei Beatles ci sono la prima canzone, Love Me Do, e l’ultima, quella Now and Then recuperata l’anno scorso e al suo debutto live in Europa. Something, suonata con l’ukulele che Harrison gli regalò, è l’omaggio, il ricordo per «mio fratello» George. E poi c’è «l’amico John» con Here Today, scritta per lui nel 1982, ma soprattutto con quel duetto virtuale su I’ve Got a Feeling che si è inventato un paio di anni fa. Lennon sui megaschermi, ripreso durante l’iconico rooftop concert, l’ultima esibizione live dei Beatles avvenuta nel 1969 sul tetto degli uffici della Apple; Paul sul palco che lo guarda dando le spalle al pubblico. «Ho la sensazione di dover tornare a cantare ancora con John». Non lassù. Non così presto.

(fonte: link)

— Onda Musicale

Tags: The Beatles/Paul McCartney
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