Il recente successo di Parthenope, l’ultimo lavoro di Paolo Sorrentino, ha riportato in hit parade “Era già tutto previsto”, il brano del ‘75 scelto dal regista per la scena chiave del suo film.
La canzone è una traccia dell’album “L’Alba”, il quarto LP di Riccardo Cocciante. Un disco splendido, che entrò nelle nostre vite in un caldo giorno di giugno di quasi cinquant’anni fa.
La musica di Cocciante, con tutta la carica emotiva delle parole dure e sincere presenti nel testo, accompagnano la scena madre del film. La scena in cui, quel che doveva restare solo un silenzioso racconto intimo, inizia a svilupparsi e a cambiare forma, evolvendo in una fase contorta, decisamente critica e ambigua.
Nel sottofondo di Era già tutto previsto, lo spettatore assiste alla trasformazione di un rapporto che diventa un qualcosa di conturbante ma tuttavia disfunzionale alla relazione intercorrente tra i protagonisti, che rischia di diventare insostenibile e distruttiva.
Il giovane Cocciante compose Era già tutto previsto con lo scopo di descrivere una delle possibili esperienze emotive che derivano dalla complessità dell’essere umano. Per essere più circostanziati, le difficoltà di un giovane uomo nel relazionarsi con una donna che, seppur coetanea, risulta essere più forte e dotata.
Una questione che ai giorni nostri potrebbe apparire superata. Vi invitiamo pertanto a considerare il substrato della società italiana di circa mezzo secolo fa, pervasa dei vizi e di quei cliché tipici di una società preindustriale.
Era un tempo in cui l’uomo ancora poteva dominare la donna, a livello psichico ed anche sul piano giuridico. Faremmo prima a riportare come, la figura maschile, risultasse essere quella predominante in qualsiasi ambito, pubblico e privato.
Guardiamo al mondo della canzone italiana. Quali modelli culturali avevamo? Quali erano i valori e quali i messaggi?
Nel 1975, quando Era già tutto previsto arrivava al successo, i cantautori più popolari erano Claudio Baglioni e Lucio Battisti. Alto e prestante il primo, enigmatico e misterioso il secondo, le loro canzoni descrivevano meta-modelli semplificabili nello schema uomo-cacciatore / donna-preda.
“Prego sali pure, no non mastico l’inglese, I don’t speak… so solo giusto qualche frase, è carina da morire, quanta roba, porca l’oca” – canticchiava Baglioni con un’irritante sicumera. Battisti alzava addirittura la posta, specificando che “Dieci ragazze per me posson bastare”.
Nell’insieme, quasi tutti i cantautori – anche quelli meno celebrati – rimanevano in questo perimetro. Altri affondavano nel politico-sociale. Pensiamo soprattutto a Francesco Guccini e a Fabrizio De André, ma potremmo spingerci a Francesco De Gregori e ad Antonello Venditti.
E nonostante il Cocciante degli esordi, avesse compiuto, proprio con i due cantautori della cosiddetta “scuola romana”, un percorso comune – le loro strade avevano preso direzioni antitetiche. Non che a De Gregori e a Venditti difettassero le istanze romantiche – tutt’altro, ma l’intimità delle confessioni sentimentali di Riccardo Cocciante viaggiava su piani più alti.
Chi è il giovane Cocciante?
Un ragazzo sensibilissimo, animato da una riflessività introspettiva e profonda.
È un giovane artista alla ricerca di una forma musicale che rappresenti soprattutto una tensione amorosa che, muovendo dal desiderio, è destinata a trasformarsi rapidamente in disillusione, lasciando affiorare una condizione intrisa di sofferenza e di solitudine.
Eppure, dall’analisi dei risultati di queste sofferte relazioni uomo-donna, in cui, inevitabilmente, è la figura femminile quella ad uscirne vincente, non v’è traccia di desiderio di vendetta, di coercizione, né di denigrazione verso colei che ha abbandonato.
Per prima cosa, Cocciante prova a comprendere le emozioni. La sua è un’educazione sentimentale in formazione, che implica il riconoscimento e la comprensione delle emozioni, proprie e degli altri.
“Era già tutto previsto
fin da quando tu ballando
mi hai baciato di nascosto”
Dopo averle identificate, prova a comprenderne le cause e gli effetti
“Fino al punto che sapevo
che oggi tu mi avresti detto
quelle cose che mi dici”
Riesce ad esprimere le sue ragioni in modo sano
“Che non siamo più felici
che io sono troppo buono
che per te ci vuole un uomo
che ti sappia soddisfare”
Osservandolo, nel video estratto dal varietà televisivo Senza rete, Cocciante dimostra anche discrete doti attoriali. Dal linguaggio del corpo, soprattutto dalla rilassata posizione delle spalle, emerge distacco e indifferenza, ed anche nel momento in cui inizia ad urlare, mostra di saper gestire le emozioni anche in una situazione complessa come una diretta televisiva.
“Mentre ti sta portando via
ho previsto che sarei
restato solo in casa mia”
La compostezza mantenuta da Cocciante durante l’interpretazione di tale sofferenza interiore, lascia pensare che l’artista avesse imparato a sviluppare strategie per affrontare lo stress, la rabbia e la tristezza per l’abbandono, in modo costruttivo e non distruttivo.
Che avesse sviluppato nel suo intimo una gentilezza e un’educazione sentimentale che conferiscono ai suoi brani un qualcosa di unico e inimitabile. Un segno di riconoscimento, un marchio di fabbrica dal sapore taumaturgico.
Vi proponiamo Il tagliacarte, anch’esso tratto dall’album L’alba. Sembra il seguito di Era già tutto previsto. O, meglio ancora, la sua versione osservata da un’altra angolazione, quella degli amici che si sono accorti che c’è qualcosa che non va.
“Poi faccio il giro dei pochi amici miei
a tutti dico che non tornerò mai più
loro mi chiedono se l’hai voluto tu”
L’educazione sentimentale di Cocciante si sposta su un altro livello, concentrandosi sulle relazioni interpersonali, familiari e amicali. Comunica i suoi pensieri in modo efficace, andando dritto al sodo, “loro mi chiedono se l’hai voluto tu”.
Cocciante, pur travolto dal dolore dell’abbandono, riesce a stabilire confini sani, rispettando il consenso e affrontando il conflitto in modo costruttivo.
Nel corso della sua esplorazione sentimentale, intrisa di riflessione sulla conoscenza di sé stesso, non riesce ad evitare sentimenti di natura vendicativa-distruttiva. Pertanto, sul finire del pezzo, ci confessa come, perfino nella forma più alta della cosiddetta Educazione sentimentale, sia assai difficile riuscire a mantenere le giuste distanze
“Ti lascio solo il tagliacarte
con sopra scritto
‘tuo per sempre sempre sempre sempre tuo
ho messo in tasca una tua fotografia
ti lascio solo il tagliacarte
il tagliacarte nel tuo cuore”
Questi, dunque, i dolori del giovane Cocciante, un artista che ha raggiunto, oltre che la piena maturità artistica, anche l’amore vero.
Ha conosciuto Margherita e, dall’unione, è arrivata la Primavera
La sua vita è cambiata per il meglio.
I toni si sono placati, lui non urla più. Ha tempo per esplorare vecchie questioni familiari, in Seduto sul bordo del fiume, uno dei brani più rivelatori contenuto nell’album Concerto per Margherita.
Cocciante lascia affiorare accadimenti della sua adolescenza
“non hai la costanza, non sei buono a niente
diceva mio padre là sulla corrente
portava il cappello sui bianchi capelli
remava con foga nella camicia sudata
Ma lascialo stare, sei troppo impaziente
diceva mia madre là sulla corrente
la testa inclinata e lo sguardo distante
pregava e piangeva credendosi santa”
Il rapporto con la famiglia è una confessione inattesa, di un artista che non smette di esplorare dentro sé stesso, pescando da qualsiasi ambito sentimentale, anche quello, scomodo e imbarazzante, del rapporto conflittuale genitori-figli.
Una capacità di osservazione che ha arricchito l’educazione sentimentale cui ci ha abituato Riccardo Cocciante, l’ex ragazzo dall’aspetto impacciato in cui è sbocciata l’eleganza di un cigno.
Con la maturità, il trentenne Cocciante scopre il senso dell’espressione “crisi di coppia”. Gli scricchiolii che si percepiscono nei silenzi del sabato sera, Cocciante li trasforma in musica, parlando direttamente, senza giri di parole, per farceli sentire anche nostri, come se facessimo parte della scena
“E a mano a mano mi perdi e ti perdo
e quello che è stato ci sembra più assurdo
di quando la notte eri sempre più vera
e non come adesso nei sabato sera”
Siamo arrivati ad A mano a mano, un’altra delle canzoni più iconiche di Riccardo Cocciante. Artisticamente e sentimentalmente ha già avuto tutto dalla vita. Può dunque spingersi oltre, cogliendo, con una delicatezza inconsueta, i tratti salienti di quel che capita nella vita a tutti gli umani, assistere – più o meno consapevolmente – alla trasformazione di un amore.
Un percorso che parte da questo punto: l’assenza dell’amore conduce alla ricerca dell’Essenziale. In A mano a mano, l’artista ricorda con lucida nostalgia i primi anni della relazione, quando, pur non disponendo di molto denaro, tutto si basava sulla freschezza della felicità, sulla spensieratezza che scandisce le ore di tutte le coppie di innamorati, che possono fare a meno di tutto eccetto che dell’altro.
“Vivevi con me in una stanza
non c’erano soldi ma tanta speranza”
Anche questa canzone è entrata nel nostro immaginario per essere stata la colonna sonora di un film. Stiamo parlando di “Allacciate le cinture”, opera di Ferzan Özpetek del 2013.
Esattamente come sta accadendo oggi con Parthenope, anche in quell’occasione, il brano di Cocciante tornò in classifica a quattro decenni dalla prima pubblicazione.
Le nuove generazioni attribuiscono il brano a Rino Gaetano
In realtà, molti vennero tratti in inganno, perché A mano a mano venne lanciata da un Cocciante che ormai era entrato a far parte del gotha della canzone italiana. Nel 1978, non venne data la giusta importanza ad un brano costruito su una partitura perfetta, con rime misurate e strofe magistrali, arrangiate con archi classicheggianti che le conferivano un’aurea di malinconica inafferrabilità.
Ad ingigantire l’equivoco, contribuirono sia Rino Gaetano ma soprattutto lo stesso Riccardo Cocciante. Come raccontò Özpetek, era venuto a conoscenza che il pezzo cantato da Rino Gaetano era stato preso in prestito dal collega Cocciante. Tutto accadde nel 1981, durante una serie di concerti organizzati dalla RCA.
Erano i primi anni Ottanta, le case discografiche erano in rosso, per via del calo delle vendite dei dischi. Per rimediare al problema, la RCA, iniziò a proporre la formula del “Q-Concert”. Concerti dal vivo, in cui i vari cantanti interpretavano canzoni altrui. Una sera, poco prima di uno di questi concerti, Rino Gaetano intravide una sua ex fidanzata tra la folla. Chiese a Cocciante se potesse cantare la sua “A mano a mano”.
E Cocciante acconsentì. L’esecuzione che Rino Gaetano sfoderò quella sera continua ad arrivarci intatta, nelle tracce di quel disco oggi abbastanza introvabile. Rino la interpreta utilizzando il suo caratteristico tono roco, graffiante, più rock, così diverso dall’interpretazione nostalgica e malinconica che aveva caratterizzato la versione originale.
Nel tempo, la canzone è diventato il dono di Cocciante per Rino, due artisti opposti ma vicini, quanto a sensibilità e capacità espressive.
Anche dalla versione di Rino Gaetano, affiora la poetica cocciantiana, spicca la sua educazione sentimentale, che sembra fuoriuscire da ogni singolo tocco del pianoforte.
Se certe canzoni tornano in classifica a distanza di mezzo secolo non può essere solo perché si sono “materializzate” in un film.
Le due canzoni di Cocciante sono state scelte da due registi molto capaci nel trasformare i sentimenti in immagini. Se sono state individuate, fra le migliaia e migliaia di canzoni potenzialmente idonee, il motivo è da attribuire alla stessa condivisione di valori, come se Cocciante e registi fossero figli della stessa educazione sentimentale.
Fin dagli esordi nei primi anni Settanta, Riccardo Cocciante ha avuto il grande merito di non guardare le classifiche delle hit parade.
Si è preoccupato soltanto di scrivere musica di grande qualità, di regalarci opere senza tempo, capaci di librarsi alte, oltre lo spazio circoscritto di un determinato momento storico.
Canzoni meravigliose, che ci emozionano, ci discolpano, ci fanno sentire liberi. Di scegliere e di sbagliare. Liberi di ripetere tutti i classici errori che si commettono quando siamo alla ricerca della nostra educazione sentimentale.