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Gennaio 1975: esattamente 50 anni usciva “Rimmel” di De Gregori

La copertina di Rimmel

Di giorno lo scenario era bucolico. Campagna romana, terra di pecorino e grandi bicchierate del vino de li Castelli. Di notte qualche pistolettata di criminali di borgata. 

«Rimmel come il trucco che usano le ragazze, quello per gli occhi. Rimmel nel senso di trucco,
di qualcosa di artefatto, ma questo disco è fatto per smascherarli,
per metterli in evidenza. Almeno queste sono le intenzioni»

Tiburtina, chilometro 12. La Rca nel 1975 era venuta su (anche) con gli avanzi del piano Marshall e su insospettabile ordine di Pio XII. Un pellegrinaggio di musica leggera. Passano Modugno, Battisti, Baglioni, Dalla. Francesco De Gregori ci arriva ancora con la barba lunga. Ha in tasca 9 canzoni e 29 minuti che stanno per riscrivere l’ordine della musica italiana. Si infila nello studio A e incide di nascosto una canzone dopo l’altra. Non vuole che nessuno bussi a quella porta. Bussa a cose ormai fatte l’allora boss di Rca Ennio Melis: «Per me puoi proseguire, ma se il disco è una merda o non vende, ogni responsabilità sarà tua”».

Da quel giorno Rimmel è prima una canzone, poi un trucco per gli occhi

Il disco, che a gennaio compie i suoi primi 50 anni, rimase in classifica per 60 settimane, record mai più battuto da un cantautore italiano. Più di mezzo milione di copie e una tassa per ogni karaoke. Contiene canzoni eterne. Quel «Signor Hood» dedicata a Marco Pannella, «Pablo» scritta con Lucio Dalla e dedicata a un emigrato morto sul lavoro in Svizzera, «Le storie di ieri», manifesto antifascista scritta per Faber («belin me l’avevi promessa»). Poi «Piano bar» secondo giurisprudenza dedicata a Antonello Venditti.  La carezza arpeggiata di «Pezzi di vetro», la poetica di «Piccola mela».

C’è soprattutto la mitologica «Rimmel»

Nata in una sera milanese dell’estate del ’74. Francesco è in albergo con la tv accesa. «Rimmel come il trucco che le ragazze usano per gli occhi. Come qualcosa di artefatto, che questo disco vuole smascherare» raccontò FdG. Un giro di accordi che la storia ha reso eterno con «Like a Rolling Stone» di Dylan e poi «Boys Don’t Cry» dei Cure. Una canzone d’amore senza una donna. Un amore finito male come una partita a carte truccata. «Chi mi ha fatto le carte mi ha chiamato vincente ma lo zingaro è un trucco». E il riferimento vola alla Puny, prima moglie di De Andrè che leggeva a Francesco i tarocchi in quelle notti sarde. De Gregori pensa anche alla copertina: una donna dell’Ottocento dentro una tappezzeria di «pagine chiare e pagine scure».

La critica bollò il disco come roba da baci Perugina

Il cantautorato serio non avrebbe dovuto scrivere canzoni come «Buonanotte fiorellino». Uno dei più grandi tifosi di quei brani era invece Fabrizio De Andrè. Li aveva sentiti nascere dalla penna di FdG a casa sua in un gelido inverno in Gallura. Fiumi di vino, nuvole di fumo. Il clima in giro però non è buono. C’è una nuova rivoluzione violenta per le strade. De Gregori ci sbatte contro. Sono gli anni di piombo e nel mirino finiscono anche molti cantautori che si arricchiscono alle spalle delle tematiche di sinistra. 

De Gregori finisce «a processo» sul palco del Palalido di Milano il 2 aprile del 1976, proprio mentre suona le canzoni di «Rimmel»: «Quanto hai guadagnato stasera?”». Minacce, concerto sospeso. Annuncia il ritiro. Si stacca dalla musica suonata, per più di due anni rinuncia ai concerti dal vivo. Non smette di scrivere, si sposa con un’ex compagna di liceo (testimone è Walter Veltroni, allora segretario della Fgci), diventa padre di due gemelli. Ora Rimmel compie 50 anni. Tutti l’hanno ascoltato, cantato, citato, commentato, strimpellato, dedicato.  «Hanno ammazzato Pablo», tutto il resto è (ancora) vivo.

(articolo di Stefano Landi – link)

— Onda Musicale

Tags: Francesco De Gregori
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