Alle soglie del nuovo Millennio, forse spinti dalla ricerca di nuovi stimoli rispetto al loro mainstream o forse semplicemente coadiuvati dalla voglia di miscelare le proprie esperienze personali, il polistrumentista americano Neal Morse (Spock’s Beard, Flying Colors) e il batterista Mike Portnoy (Dream Theater, Flying Colors, Liquid Tension Experiment) decidono di dar vita a una nuova creatura.
Un super gruppo destinato a fa parlare di sé nel Nuovo Continente e non solo, spinto da una freschezza compositiva con pochi eguali nel panorama musicale internazionale: i Transatlantic (il dirigibile futurista non è una scelta casuale visto il tipo di musica proposta). Completano la line-up Roine Stolt (The Flower Kings) e Pete Trewavas (Marillion).
Gli esordi
L’album d’esordio vide la luce nel 2000, dal titolo SMPTe, che non è altro che l’acronimo di Stolt, Morse, Portnoy, Trewavas. Già da questo primo episodio musicale, si percepisce la forte sinergia tra le atmosfere ariose create dalla tastiera di Morse, figlie della forte e lunga esperienza con gli Spock’s Beard, i fill ricchi di musicalità di Portnoy, gli incisi di Stolt e il substrato denso di armoniche creato dal basso di Trewavas. Pur non essendo particolarmente innovativo, l’album è suonato straordinariamente bene e funge da anticamera da quello che è un autentico capolavoro.
La svolta: Bridge Across Forever
E che svolta! L’opener Duel with the Devil è già il piatto forte che vale l’intero platter, una suite di ben 26:43 minuti suddivisa in cinque movimenti che si apre con un intro classicheggiante di archi di Chris Carmicheal che stendono il tappeto un riff clamoroso di pianoforte, poi accentato dalle pelli di Portnoy e ripreso dalla chitarra di Stolt.
Si va avanti inesorabilmente tra cavalcate in tempi dispari, riff di Hammond di “purpleliana” memoria e melodie sognanti che intrecciano la voce di Morse e i contrappunti corali del resto della truppa. Prima della gran chiusura c’è spazio anche per atmosfere degne dei migliori Pink Floyd (senza esagerare troppo). Che dire, un brano così completo era molto tempo che non si ascoltava.
Suite Charlotte Pike è un’altra suite, meno articolata della precedente, che strizza l’occhio a fusion, funk e al miglior AOR di stampo Toto e Journey. Se si ascoltasse ad occhi chiusi, si avrebbe l’impressione di ascoltare un mash up dei migliori refrain anni ‘80 sapientemente intrecciati insieme per poi riprendere in chiusura di brano il main theme del brano precedente: semplicemente geniale.
La title track, Bridge across forever è il brano più corto di tutto l’album, ma non per questo meno valido. Anzi, sostenuto dal pianoforte delicato e dalla voce soave di Morse, è un passaggio fondamentale per allentare la tensione e l’adrenalina accumulata nella prima parte. Qui si sogna, in attesa del capitolo finale.
Stranger in your soul rappresenta il lato B e si apre allo stesso modo di come si era aperto il lato A, ovvero con lo stesso intro di archi (forse meno solenne, ma altrettanto potente). E’ anche il brano più lungo con i suoi 30 minuti esatti.
Tra reprises, alterazioni, momenti hard, altri più soft, Stranger in your soul rappresenta la conclusione di un viaggio magnifico attraverso le note tra le più belle dell’intero neo progressive e racchiude quanto ascoltato finora. Degna conclusione di un disco pressoché perfetto sotto ogni punto di vista: musicale, tecnico neanche a parlarne e di produzione.
Conclusioni
Il dirigibile dei Transatlantic è giunto a destinazione, in attesa di salpare per altri lidi. Per quanto riguarda il sottoscritto, Bridge Across Forever è stato il disco introduttivo al neo progressive del Nuovo Millennio. Un disco che non impallidisce di fronte ai grandi classici del passato e che fortunatamente propone anche qualcosa di nuovo per gli appassionati del genere e non solo.
- Voto: 5/5
- Genere: Neoprogressive
- Etichetta: Inside Out Music
- Anno di pubblicazione: 2001