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Born to Run, il disco che rende leggenda Bruce Springsteen

Born to Run

Tra gli album che compiono mezzo secolo nel 2025, ce n’è uno cruciale per la storia del rock. Quell’anno, Bruce Springsteen pubblica Born to Run, il disco che lo consacra come “The Boss” e segna un punto di svolta nella sua carriera.

Springsteen, originario di Freehold, New Jersey, arriva a Born to Run con due lavori già all’attivo: Greetings from Asbury Park, N.J. e The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle. Sebbene acclamati dalla critica, entrambi non hanno ottenuto il successo commerciale sperato. Probabilmente a sancire la mancata esplosione è un equivoco che si trascina.

All’inizio, infatti, la casa discografica vede in Bruce il nuovo prodigio del folk. I produttori vorrebbero cavalcare l’onda lunga di Dylan, quella che ha portato fenomeni commerciali come James Taylor. Il Boss, dal canto suo, vuole fare rock vero, quello sanguigno ed elettrico con una band come dio comanda.

E lui la band ce l’ha, la E Street Band. Tuttavia, per cercare il compromesso – come spesso accade – non si fa contento nessuno e i primi due lavori suonano un po’ depotenziati.

La Columbia Records comincia a perdere fiducia in lui. È una situazione da tutto o niente: o Springsteen fa il botto, o rischia di essere scaricato dall’etichetta. Con queste premesse, Bruce decide di mettere tutto in gioco, puntando a creare il miglior album possibile.

Qui, tra leggenda e realtà, avviene l’imponderabile. Dopo il live – da sempre la dimensione migliore del nostro – del 9 maggio 1974 a Cambridge, la situazione inizia a ribaltarsi. Quella sera, Bruce suona come spalla di Bonnie Raitt, grande blueswoman. Il pubblico, però, impazzisce per lui, tanto da chiedere alla sua band di tornare sul palco al posto della frontwoman.

Non basta, quel giorno tra il pubblico c’è Jon Landau, critico del Rolling Stone e figura chiave nel futuro di Springsteen. Jon scrive un articolo su un quotidiano locale che diventerà mito quanto la storia di Bruce e della sua band.

“Giovedì scorso, al teatro di Harvard Square, ho visto balenarmi davanti agli occhi i miei trascorsi rock ‘n’ roll. E ho visto qualcos’altro: ho visto il futuro del rock and roll e il suo nome è Bruce Springsteen. In una sera in cui avevo bisogno di sentirmi giovane, lui mi ha fatto sentire come se ascoltassi musica per la primissima volta.”

Jon e Bruce fanno amicizia e il giornalista diventa prima produttore e poi manager del rocker. Con lui in sala comando, Born to Run nasce con un hype mai visto prima e sessioni infinite.

Registrato in vari studi, tra cui il leggendario Record Plant di New York, Born to Run è frutto di un lavoro maniacale. L’obiettivo è raggiungere un suono grezzo e spontaneo, ma la registrazione non lo è di certo. La title track, per dire, richiede sei mesi di lavoro e oltre dieci sessioni di registrazione per essere completata.

La copertina, che immortala Bruce con la sua Fender Telecaster appoggiata sulla spalla e Clarence Clemons al suo fianco, è diventata iconica. Scattata da Eric Meola, cattura l’intensità e il cameratismo – per usare una bruttissima parola – che permeano l’album. Quando esce, il 25 agosto 1975, il disco è accompagnato da una campagna pubblicitaria senza precedenti per l’epoca, con banner affissi a Times Square. Lo slogan, manco a dirlo, è:” Il futuro del rock’n’roll”.

E allora, mettiamo sul piatto questo lavoro irripetibile e vediamo come suona dopo cinquant’anni dall’uscita.

Born to Run si apre con Thunder Road, una ballata epica che evolve in un crescendo di emozione e speranza. La canzone introduce l’universo springsteeniano fatto di sogni di fuga, cuori ribelli e strade infinite. “You ain’t a beauty, but hey, you’re alright”, canta Bruce, ricordandoci che non servono apparenze perfette per inseguire un futuro migliore.

La seconda traccia, Tenth Avenue Freeze-Out, è un tributo alla nascita della E Street Band. Con un groove irresistibile e una sezione fiati trascinante, il brano racconta con un pizzico di mitologia l’incontro tra Springsteen e Clemons, il sassofonista che diventerà suo braccio destro.

Nights, una canzone malinconica ed energica, descrive le vite di giovani lavoratori e i loro sogni infranti. Qui emergono i temi sociali che diventeranno centrali nella carriera di Springsteen. La produzione è ricca, con un arrangiamento che mette in risalto la voce di Bruce e la sua narrazione cruda.

Con Backstreets, Bruce esplora i legami di amicizia e le promesse infrante. Il piano di Roy Bittan domina la melodia, mentre la voce di Springsteen si fa sempre più intensa. È uno dei momenti più emotivi dell’album.

E siamo Born to Run, il momento clou del disco. Un inno generazionale che cattura l’essenza della ribellione e della voglia di libertà. Il muro di suono creato da Springsteen e Landau è un mix di chitarre, fiati e tastiere che travolge l’ascoltatore. È una canzone costruita per essere suonata a tutto volume, con i finestrini abbassati e l’orizzonte davanti.

She’s the One richiama il rock ‘n’ roll classico, con il suo ritmo incalzante e i riferimenti al sound di Phil Spector. La canzone è un omaggio alle figure femminili forti e indipendenti che popolano l’immaginario di Springsteen.

Meeting Across the River è una ballata noir che racconta di sogni disperati e affari loschi. Con la tromba di Randy Brecker che aggiunge un tocco jazz, è una traccia unica nel contesto del disco e anticipa le atmosfere più cupe dei lavori successivi.

L’album si chiude con Jungleland, una suite epica di quasi dieci minuti. La storia di amori tragici e rivalità tra bande è sostenuta da un arrangiamento orchestrale e dal sax struggente di Clemons, che qui firma uno dei suoi assoli più memorabili.

Alla sua uscita, Born to Run è accolto con entusiasmo dalla critica e dal pubblico. Il disco raggiunge la terza posizione nella classifica Billboard e proietta Springsteen sulla copertina di Time e Newsweek nello stesso mese, un evento senza precedenti. Se Born to Run non avesse funzionato, probabilmente non staremmo parlando di Springsteen oggi. Invece, l’album lo trasforma in una leggenda.

Secondo noi, Born to Run è un capolavoro più per il suo valore simbolico che per la qualità intrinseca dei brani, comunque eccelsa. È il disco che ha dato una voce a una generazione e ha ridefinito il concetto di sogno americano, con tutti i suoi lati luminosi e oscuri.

A distanza di cinquant’anni, il messaggio di Bruce è ancora chiaro: ci sono strade da percorrere, anche quando sembrano infinite. Basta avere il coraggio di partire.

— Onda Musicale

Tags: Telecaster, James Taylor, Phil Spector
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