A metà negli anni ‘70, mentre imperversava l’ondata di rock progressivo italico capitanata da gruppi come PFM, Banco del Mutuo Soccorso, Area, Le Orme, a Napoli cominciava a muovere i primi passi uno dei musicisti nostrani più innovativi ed avanguardisti del panorama musicale italiano: Pino Daniele.
Di lì a poco, la stagione d’oro del prog sarebbe tramontata con la fine degli anni ‘70. Si dice che il canto del cigno di questo genere sia stato “Forse le lucciole non si amano più“, album del 1977 a firma La Locanda delle Fate, album intriso di lirismo e malinconica bellezza
Per sopravvivere all’avvento dei sintetizzatori e alle nuove sonorità, molte band dell’epoca sono state spinte a reinventarsi rivedendo la propria identità musicale approdando a sponde più accessibili per l’ascoltatore e vicine al pop.
A Napoli invece…
Lo sviluppo del sound
Proveniente da quartiere Porto di Napoli e poco più che ventenne, la stella di Pino Daniele cominciò a brillare nel firmamento musicale partenopeo all’interno di una formazione dal groove inconfondibile formata tra gli altri dal sassofonista italo-americano James Senese e dal batterista Franco del Prete.
Sebbene fossero associati al genere prog, i Napoli Centrale fondevano all’interno del loro repertorio molti elementi provenienti da altri generi tra cui jazz, blues e soprattutto fusion e proprio James Senese contribuì in modo rilevante per la crescita musicale di Pino Daniele. Grazie all’audizione tramite una cassetta provino fatta recapitare alla EMI Italiana, il 1976 segna una tappa cruciale, fungendo da trampolino di lancio che porterà alla pubblicazione di un 45 giri contenente i primi brani inediti del cantautore: Che calore e Fortunato.
Da lì a poco, seguì ben presto l’album di esordio Terra mia, rilasciato nel 1977, in cui furono ripresi anche i brani del singolo precedente. La cifra stilistica di Pino Daniele continuava ad essere profondamente radicata nella tradizione partenopea, sia dal punto di vista musicale che delle liriche, ammiccanti fortemente alla storia della canzone popolare napoletana.
Tra i brani più celebri dell’album troviamo Terra mia, ‘Na tazzulella ‘e cafè e, soprattutto, Napule è, composta dall’artista a soli diciotto anni e diventata quasi un Inno dell’intera città di Napoli.
Con l’omonimo album successivo Pino Daniele, vi fu un’evoluzione sia sonora che di songwriting: abbandonata in parte la tradizione popolare napoletana, trovarono maggiore spazio elementi dal sound fortemente blues, ne sono esempio alcuni classici tra cui Je so’ pazzo, Je sto vicino a te, Chi tene ‘o mare.
Nero a metà
E’ l’ingresso negli anni ‘80 a segnare la vera svolta per la carriera di Pino Daniele che finalmente poteva brillare ancor più di luce propria.
Nel 1980 viene pubblicato il capolavoro Nero a metà. La band è formata da musicisti eccezionali, tra cui Gigi De Rienzo – basso, Karl Potter – conga, James Senese – sassofono, Ernesto Vitolo – Tastiera e Tullio de Piscopo – batteria.
L’album rappresentò la piena maturazione del suo stile inconfondibile: un latin blues capace di rinnovare profondamente il linguaggio musicale fondendo la tradizione partenopea con quella americana. Il titolo è infatti un omaggio a Mario Musella, cantante degli Showmen, scomparso poco prima della pubblicazione del disco.
Pino Daniele lo definì Nero a metà in riferimento alle sue origini – madre napoletana e padre nativo americano – sottolineando così la fusione identitaria, musicale e culturale, che caratterizzava anche la propria musica.
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L’importanza dell’album di Pino Daniele è insita nell’incredibile tracklist che lo compone:
- I Say i’ sto ccà
- Musica musica
- Quanno chiove
- Puozze passà nu guaio
- Voglio di più
- Appocundria
- A me me piace ‘o blues
- E so cuntento ‘e sta’
- Nun me scoccià
- Alleria
- A testa in giù
- Sotto ‘o sole
Dopo lo straordinario concerto del 19 settembre 1981 in Piazza del Plebiscito a Napoli, di fronte a oltre 200.000 spettatori, nello stesso anno incise Vai mo’, il suo quarto album in studio che rappresentò anche il trampolino di lancio per le rispettive carriere soliste dei già noti compagni di avventura: Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, Tony Esposito e James Senese.
Nasceva così il cosiddetto Neapolitan Power, un movimento artistico innovativo che, pur restando fedele alle radici culturali della tradizione campana, incorporava elementi di blues, jazz, funk e rock.
Un napoletano cittadino del Mondo
Già dalla fine degli anni ‘80, Pino Daniele cominciò a collaborare con alcuni dei maggiori artisti di fama Internazionale, tra cui Alphonso Johnson e Wayne Shorter, nonché Joe Bonamassa, Carlos Santana e Bob Dylan.
L’album simbolo degli anni ‘90 e che ne sancisce la consacrazione commerciale è sicuramente Non Calpestare i fiori nel deserto, più orientato al pop e sonorità contaminate dalla musica nordafricana e orientale, ma senza dimenticare le origini blues che hanno contraddistinto la svolta musicale del Cantautore.
Brani come Io per lei, Anima, Se mi vuoi (in duetto con Irene Grandi) sono un forte esempio di come Pino Daniele sia riuscito ad internazionalizzare la cultura napoletana che fino a quel momento era rimasta fortemente radicata nel territorio partenopeo.
La tragica scomparsa
Affetto da gravi problemi cardiaci da tempo, la sera del 4 gennaio 2015, poco più di due mesi prima di compiere sessant’anni, fu colpito da un infarto mentre si trovava nella sua villa in provincia di Grosseto. Trasportato d’urgenza all’ospedale Sant’Eugenio di Roma, i tentativi di rianimazione risultarono purtroppo vani.
Conclusioni
Pino Daniele lascia un’eredità musicale immensa, capace di resistere al tempo e di trasmettere emozioni indescrivibili. Brani come Voglio di più, Anima, Chi tene ‘o mare, Quanno chiove e A me me piac ‘o blues rimangono testimoni di una Napoli e di un’Italia che non esistono più, ma che continuano a vivere attraverso le sue note. La sua musica e le sue parole, intrecciate come in una danza senza fine, resteranno impresse nella memoria di chi ascolta e di chi, nel tempo, continuerà ad emozionarsi al suono della sua chitarra e alla voce di un poeta.