Viaggio senza vento è il quarto disco dei Timoria, quello che li consegna all’attenzione del grande pubblico. Un concept album che indaga il malessere di una generazione senza ideali e – per dirla con loro – senza vento.
I Timoria nascono a Brescia nel 1985 dall’estro di Omar Pedrini, chitarrista liceale imbevuto di buoni ascolti e letture. Da band da scuola superiore a star dei piccoli concorsi locali, il passo è breve. All’inizio la band si chiama Sigma Six, poi Precious Time. I cambi non riguardano solo il nome, ma anche la formazione. Il gruppo si assesta a quintetto nel 1988, quando pubblica il primo EP, Macchine e Dollari. Il moniker è intanto diventato quello definitivo: Timoria.
La parola viene dal greco, a testimonianza delle radici culturali del progetto di Pedrini, e vuol dire a un tempo aiuto e vendetta. Alla voce troviamo l’ultimo arrivato, Francesco Renga. Omar Pedrini si occupa dei cori e delle chitarre, Davide Cavallaro è al basso, Diego Galeri alla batteria e Roberto Bandello alle tastiere.
Pedrini ricorderà così i primi tempi: Ci consideravano un po’ come gli “scemi del villaggio” perché, quando c’erano le assemblee politiche, gli altri compagni saltavano la scuola e andavano in giro con le ragazze, noi invece ci chiudevamo in sala prove a suonare, ci prendevano in giro. “Un giorno ci vendicheremo”, pensai, e nacque quel nome.
Qualche album un po’ acerbo, un’improbabile apparizione a Sanremo, e i ragazzi bresciani si impongono come una delle realtà più originali del rock italiano. Negli anni Novanta, il rock italiano vive un buon periodo, con band come Litfiba, Afterhours e Marlene Kuntz che rielaborano sonorità alternative, grunge e hard rock in chiave nazionale.
I Timoria sono un po’ un oggetto misterioso, fuori dai circuiti più underground, ma indigeribili per il mainstream. Pedrini e soci finiscono per essere commerciali per i duri e puri e troppo alternativi per il grane pubblico. L’ispirazione di Omar, poi, arriva più dal Beat anni Sessanta e dal Prog dei Settanta, che non dalla New Wave e dal Grunge.
Prima di Viaggio senza vento, i Timoria pubblicano alcuni lavori significativi: Colori che esplodono,esordio del 1990, del 1991 e Storie per vivere del 1992. L’ultimo li proietta all’attenzione del grande pubblico. Tuttavia, è proprio con Viaggio senza vento che la band raggiunge il successo e forse l’apice artistico.
L’album viene registrato in Inghilterra, presso i mitici Abbey Road Studios, e vede la collaborazione di produttori d’eccezione. La formazione è leggermente diversa dall’esordio: Omar Pedrini (chitarra e voce), Francesco Renga (voce), Enrico Ghedi (tastiere), Diego Galeri (batteria) e Carlo Alberto Pellegrini (basso). La copertina, suggestiva e onirica, raffigura un enigmatico paesaggio, richiamando il concept dell’album: un viaggio di formazione in cui il protagonista, Joe, affronta un percorso di crescita attraverso esperienze simboliche e non solo.
Il tema del viaggio è soprattutto metaforico. Joe è una ragazzo in cerca di ideali, quelli che forse lo stesso Pedrini rimpiange, ovvero quelli delle generazioni che trent’anni prima cambiarono un po’ il mondo, per dirla col testo di Senza Vento. Il dramma della loro generazione, per i Timoria, è proprio la mancanza di ideali che muovano le vele dei ragazzi.
È proprio quello degli ideali, insomma, il vento che manca a Joe e a cui allude il titolo dell’album. Tra le collaborazioni prestigiose, Eugenio Finardi nella programmatica Verso Oriente e Mauro Pagani al violino.
L’album si apre con Senza vento, dal riff potente e la voce altrettanto granitica di Renga, ancora ben lontano dallo scialbo pop che lo renderà ricco e popolare. Il testo dice già tutto: “Vivo e non credo in niente, credo in niente”. Il pezzo è riuscito in tutto e resta uno dei cavalli di battaglia della band.
Il concept si compone di ben ventuno pezzi, impossibile analizzarli tutti. Ci limitiamo ai passaggi più importanti che, va detto, sono quasi tutti nella prima parte. Sangue Impazzito è una classica ballad rock. Acustica e sofferta all’inizio, cresce con un arrangiamento granitico e l’intensa interpretazione di Renga. Il brano segna il rifiuto di Joe per la religione e per le convenzioni della vita di provincia. Sicuramente uno dei pezzi migliori del canzoniere dei Timoria.
Gli intermezzi sono gustosi, da Joe a Campo dei Fiori Jazz Band, ma la tracklist forse troppo numerosa tende a diluire un po’ le buone intuizioni.
Il Sogno è un bel pezzo che trova un gran gancio melodico, mentre altre tracce – Il guardiano di cani e Come serpenti in amore – si muovono ai limiti del metal. Rimane, però, sempre il gusto per la melodia, pur sepolta da chitarre distorte. Particolare, ma leggermente avulso dal contesto concept, Frankenstein. Il brano, quasi tutto strumentale, si muove tra il funk da colonna sonora anni ’70 e passaggi quasi prog.
Nel cuore dell’album troviamo Verso oriente, che introduce elementi psichedelici e mediorientali, e in cui la band duetta con Finardi. Lombardia si caratterizza invece per un potente riff di chitarra e un testo amaramente nostalgico sulla terra d’origine della band. Si va verso la chiusura del viaggio di Joe e dell’album.
La Città di Eva è un riuscito passaggio lento e psichedelico, mentre Il Guerriero chiude con un lieto fine salvifico. Il guerriero è Joe, che ha completato il suo viaggio metaforico di crescita e pare aver trovato la motivazione giusta per continuare a combattere. Lo fa con una bella ballata energica che chiude il disco in gloria.
All’uscita, Viaggio senza vento ottiene un ottimo riscontro di pubblico e critica, affermandosi come uno degli album più importanti del rock italiano anni ‘90. Viene certificato disco d’oro e continua a essere considerato un cult, lodato per la sua coesione tematica e la qualità delle composizioni. Ancora oggi è un punto di riferimento per molte band italiane.
Dopo l’album, i Timoria vivono una fase turbolenta. Dopo i discreti successi di 2020 SpeedBall ed Eta Beta, Renga lascia il gruppo nel 1998 per intraprendere la carriera solista. Francesco cerca il pubblico più vasto e i fatti gli danno ragione, con un grande successo commerciale. Diverso il discorso della qualità che, tra un gossip da rotocalco e un Sanremo, crolla vertiginosamente.
Omar Pedrini, invece, affronta gravi problemi di salute, che ne compromettono la carriera musicale per diversi anni. Omar, però fedele all’iconografia di guerriero che ama, combatte e continua a sfornare dischi solisti. Tutti lavori di grande qualità che attingono al Beat anni ’60 e alla canzone d’autore. Talmente buoni che il successo del grande pubblico rimane fuori portata.
La storia dei Timoria si chiude col definitivo scioglimento nel 2003, lasciando dietro di sé un’eredità importante e periodiche voci di reunion. Che non si concretizzano mai.
Viaggio senza vento rimane un capolavoro minore del rock italiano, un’opera che ha saputo coniugare ambizione e accessibilità, mantenendo i Timoria in bilico tra il successo commerciale e l’anima underground. È il loro disco più maturo e rappresentativo, un esempio di come il rock italiano degli anni ’90 potesse al tempo stesso cercare di essere profondo e di vendere copie.