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Tell me a song: “Call Me” di Blondie

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Blondie

La storia di “Call Me” di Blondie è una di quelle che intrecciano talento musicale, intuizioni creative e un pizzico di casualità, dando vita a un brano che è diventato un’icona degli anni ’80.

Blondie, band nata nel 1974 a New York, è una formazione che ha saputo fondere il punk della scena underground con il pop e la new wave, conquistando il pubblico internazionale. Guidata dalla carismatica Debbie Harry, voce e volto del gruppo, e dal chitarrista Chris Stein, la formazione ha sempre avuto un approccio eclettico, capace di spaziare tra generi senza perdere la propria identità. Con membri come Clem Burke alla batteria, Gary Valentine al basso (sostituito poi da Nigel Harrison) e Jimmy Destri alle tastiere, Blondie si è imposta come una delle realtà più innovative della fine degli anni ’70, grazie a hit come “Heart of Glass” e “One Way or Another“. Ma è con “Call Me” che la band raggiunge un altro livello di fama, grazie a una collaborazione inaspettata e a una genesi ricca di dettagli curiosi.

“Color me your color, baby
Color me your car
Color me your color, darling
I know who you are
Come up off your color chart
I know where you’re coming from”

Tutto inizia nel 1980

Quando il produttore italiano Giorgio Moroder, già celebre per il suo lavoro con Donna Summer e per la sua abilità nel plasmare la disco music elettronica, contatta la band. Moroder stava lavorando alla colonna sonora del film American Gigolo, diretto da Paul Schrader e interpretato da Richard Gere. Il regista voleva un brano che catturasse l’atmosfera sensuale e misteriosa della pellicola, e Moroder aveva in mente una melodia accattivante, con un ritmo pulsante e un tocco di modernità. Inizialmente, il produttore aveva offerto la base musicale a Stevie Nicks dei Fleetwood Mac, ma la cantante declinò l’invito. Fu così che Moroder si rivolse a Debbie Harry e Chris Stein, proponendo loro di scrivere il testo e adattare la canzone.

La genesi di “Call Me” è stata rapida ma intensa

Moroder arrivò con una traccia strumentale già definita, caratterizzata da un riff di sintetizzatore e da una linea di basso che dava un groove irresistibile. Debbie Harry scrisse il testo in poche ore, ispirandosi al tema del film: una storia di seduzione, ambiguità e desiderio. Le parole “Call me, my darling” e il tono provocante della voce di Harry si sposarono perfettamente con l’atmosfera cinematografica che Moroder voleva creare. Chris Stein contribuì con il suo tocco chitarristico, aggiungendo un’energia rock che bilanciava la freddezza elettronica della produzione. Il risultato fu un ibrido perfetto tra pop, disco e new wave, un brano che suonava al contempo sofisticato e immediato.

Call me (call me) on the line
Call me, call me any, anytime
Call me (call me) I’ll arrive
You can call me any day or night
Call me

La registrazione avvenne a New York, negli studi di Westlake Audio, sotto la supervisione di Moroder e del suo team

Il processo fu fluido, ma non privo di dettagli tecnici interessanti. La batteria di Clem Burke, con il suo stile energico e dinamico, fu registrata con microfoni ambientali per catturare il riverbero naturale dello spazio, dando al brano quella sensazione “live” che lo distingue. Le tastiere di Jimmy Destri, invece, si intrecciarono con i sintetizzatori di Moroder, creando strati sonori che anticipavano il suono degli anni ’80. Un aneddoto curioso riguarda Debbie Harry: durante le sessioni vocali, Moroder le chiese di cantare in diverse lingue per alcune versioni internazionali del brano. Nacquero così varianti in francese (“Appelle-moi“) e spagnolo (“Llámame“), un’idea che rifletteva l’ambizione globale del progetto.

Uscita come singolo nel febbraio 1980, “Call Me” scalerà le classifiche, raggiungendo la numero uno negli Stati Uniti per sei settimane consecutive e diventando uno dei brani più venduti dell’anno

Il successo fu amplificato dal videoclip, che alternava scene del film a immagini di Debbie Harry in pose magnetiche, consolidando il suo status di icona pop. Ma la canzone non si è fermata al suo tempo: negli anni, “Call Me” è stata reinterpretata da diversi artisti, dimostrando la sua versatilità. Tra le cover più note c’è quella dei Franz Ferdinand nel 2006, con un arrangiamento più aggressivo e rock, inserita nel tribute album War Child Presents Heroes. Anche i The Box Tops ne fecero una versione negli anni ’90, mantenendo un approccio più classico. Più recente è la rilettura di Tess dei The Kills, che nel 2011 diede al brano un’impronta minimalista e oscura. Ogni cover ha saputo cogliere un aspetto diverso di “Call Me“, confermando la sua capacità di attraversare decenni e generi.

Cover me with kisses, baby
Cover me with love
Roll me in designer sheets
I’ll never get enough
Emotions come, I don’t know why
Cover up love’s alibi

Oggi, “Call Me” resta un simbolo dell’eredità di Blondie e di un’epoca musicale in cui i confini tra generi si dissolvevano. È il frutto di una collaborazione tra visionari – Moroder, Harry, Stein – e di un momento in cui la musica pop trovava nuove strade per raccontare storie di passione e mistero. Un brano che, ancora adesso, basta ascoltare per sentirsi richiamati dal suo invito irresistibile.

— Onda Musicale

Tags: Giorgio Moroder/Fleetwood Mac/Stevie Nicks/tell me a song/Debbie Harry
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