Gli americani ricordano l’arrivo dei Beatles al John F. Kennedy International Airport il 7 febbraio del 1964 come un terremoto nel mondo del pop, ma solo pochi si resero conto che uno dei Fab Four era già stato tra di loro in passato.
“Ero stato in America prima degli altri, da Beatle esperto che ero» ha ricordato Harrison nel documentario del 1995 The Beatles Anthology. Andai a New York e St. Louis nel 1963 per darmi un’occhiata attorno, e finii tra le campagne dell’Illinois dove viveva mia sorella all’epoca“.
I Beatles esplosero in Inghilterra verso settembre 1963 grazie a una sfilza di hit e a un album d’esordio che scalò le posizioni in classifica, Please Please Me. Storditi dal successo dopo anni vissuti nell’anonimato, decisero che era arrivato il momento per del sano rock & roll. John Lennon portò sua moglie Cynthia a Parigi, mentre Paul optò per le coste soleggiate della Grecia.
Ringo Starr doveva unirsi a Harrison per la traversata oltreoceano, ma alla fine decise di partire con McCartney. Fu così che il 16 settembre, Harrison divenne il primo Beatle a mettere piede in America, accompagnato da suo fratello Peter.
La coppia rimase a casa della sorella maggiore Louise “Lou” Caldwell, che viveva al 112 di McCann Street a Benton, in Illinois, posto in cui era emigrata da poco con il marito Gordon, ingegnere presso una miniera di carbone nei paraggi. Il paesino tranquillo fu una manna per Harrison, inorridito dagli assilli della Beatlemania che impazzava in Inghilterra. Negli Stati Uniti poteva andare e venire come gli pareva, in completo anonimato. I fratelli trascorsero diverse serate felici in campeggio alla Shawnee National Forest. Mangiarono persino in un piccolo posto che serviva hamburger, dove un Harrison affascinato boccheggiò alla vista di una cameriera sui roller.
Louise presentò Harrison al suo amico Gabe McCarty, che lavorava in lavanderia ma la sera suonava in una band chiamata Four Vests. I due musicisti si presero subito, e McCarty divenne la guida di Harrison per gran parte del suo soggiorno a Benton. Visitarono l’unico negozio di dischi del posto, dove Harrison si lanciò negli acquisti con entusiasmo. “Comprai il primo disco di Booker T and the M.G., Green Onions, alcune cose di Bobby Bland e tante altre” ha detto in Anthology. Comprò anche un disco chiamato Got my mind set on you di James Ray, di cui avrebbe fatto una cover venticinque anni più tardi.
Quando Harrison chiese al commesso se c’erano dei dischi dei Beatles, il ragazzo lo fissò con uno sguardo vacuo, così fu costretto a portare la sua copia alla stazione radio WFRX-AM a West Frankfort, dopo aver fatto autostop insieme a Caldwell per passare l’ultimo singolo dei Beatles, She Loves You. La DJ Marcia Schafer, solo diciassettenne all’epoca, lo mise su con solerzia.
“Louise venne alla radio diverse volte durante l’estate chiedendoci di passare la musica dei Beatles, che fino ad allora era disponibile solo in Inghilterra” ha detto Schafer all’Illinois Times nel 2013.
Ma a colpirla non fu tanto la musica quanto la mise di Harrison – jeans, camicia bianca, sandali. “Aveva un aspetto insolito. Si vestiva in maniera diversa dai ragazzi qui. Parlava in maniera morbida e gentile“. Più tardi fece la prima intervista americana a Harrison, destinata al giornalino del suo liceo. Quando gli venne chiesto quali fossero le sue cose preferite, il Beatle ventenne replicò: “Le bionde minute…, guidare, dormire…, Eartha Kitt, uova e patate fritte, e i film di Alfred Hitchcock”.
La musica fu un tema dominante nel viaggio di Harrison. Alla ricerca di una nuova chitarra fatta in America, guidò per quaranta miglia insieme a McCarty e all’altro membro dei Four Vests Vernon Mandrell, diretto verso il Music Store di Fenton, dove l’inglese mise quattrocento dollari sul tavolo per portarsi a casa una solida Rickenbacker 425. Harrison non andava matto per la sua rifinitura rossa, così la dipinse di nero per abbinarla alla chitarra di Lennon. Quella chitarra ruotò sul palco prima di essere rimpiazzata dalla più celebre Rickenbacker 360 a dodici corde l’anno successivo.
In possesso di una nuova chitarra, aveva bisogno di un posto in cui suonarla. Fu così che McCarty e Mandrell lo invitarono a prendere parte al loro imminente concerto alla VFW Hall di Eldorado, in Illinois. Quel sabato, il 28 settembre, i Four Vests diedero il loro benvenuto all’”Elvis inglese”. Anche se Harrison aveva fatto una jam al Boccie Ball Club di Benton e dentro al Music Store di Fenton, quella fu la prima vera performance di un Beatle negli Stati Uniti.
Aveva dato alla band i dischi dei Beatles, ma alla fine decisero di fare i classici: Roll Over Beethoven e Johnny B. Goode di Chuck Berry, Matchbox di Carl Perkins e Your Cheatin Heart di Hank Williams.
La folla era elettrizzata, batteva i piedi, applaudiva e mostrava tutti i sintomi precoci della Beatlemania. Dopo il set da quaranta minuti, un tizio amichevole si avvicinò a Harrison per incoraggiarlo: “Con i freni giusti, potresti fare davvero grandi cose” gli disse. L’esperienza fu così piacevole che Harrison si ripromise di tornare al VFW con la sua band l’anno dopo. Non sarebbe andata proprio così.
Il giorno successivo, Harrison e i suoi nuovi amici lasciarono Benton per visitare St. Louis e New York City. Da bravi turisti, scattarono tantissime foto, che da allora hanno assunto una patina quasi surreale. Nelle foto, Harrison mostra la famosa zazzera a scodella, un vestito fatto su misura e una cravatta lavorata ai ferri che lo avrebbero reso famoso, eppure sembra un alieno in mezzo agli altri. Quando si sporge sulla piattaforma panoramica dell’Empire State Building, si trova a Liberty Island o sulla terrazza di un palazzone di Midtown, viene completamente ignorato. Al ritorno in città solo pochi mesi dopo, assistette alla nascita di caos senza precedenti che sarebbe continuato per tutta la sua vita.
(fonte: www.rollingstone.it)