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Un disco per il week end: “American Idiot” dei Green Day

Siamo nell’America del 2004, settembre quasi finito, ma le cose non vanno certo per il meglio. Tra Bush, guerra e povertà non c’è molto da ridere ed anche in questo delicato frangente i Green Day hanno voluto dire la loro.

A pochi anni dal precedente Warning la band americana butta sul mercato una granata targata American Idiot, un “concept” che ha come protagonista il disilluso Jimmy inserito all’interno di un’America sempre più paranoica e guerrafondaia. Diamoci un’occhiata:

 American Idiot: alzi la mano chi non conosce questa canzone!Scatenata e critica contro l’America di Bush e dei media, sempre più alienanti, è la canzone simbolo del disco e dei Green Day post Warning(2000). Semplice e diretta con chitarra, basso e batteria, pochi accordi, ma tanta, tanta energia!

Jesus of Suburbia: la seconda traccia di quel successone che è stato American Idiot” è praticamente una breve suite, detta da appassionato di prog fa strano lo so, di circa nove minuti divisa in cinque parti. La trascinante canzone, soprattutto gli ultimi minuti in cui si ripete all’infinito “I don’t care if you don’t care”, è la cronaca della città in cui vive questo tale Gesù della periferia.

Le giornate sono all’insegna dello squallore famigliare, del Ritalin, di varie dipendenze e tanta confusione nella testa e nel cuore. Che la fuga sia l’unico metodo? Il lungo video è più che descrittivo a tal proposito!

Molto particolare è anche la divisione tra atmosfere più elettriche ed altre più simil – acustiche con tanto di malinconiche note di pianoforte e chitarra in palm – muting. Notevoli anche i giri di basso dello scatenato Mike Dirnt.

Holiday: preludio all’altro singolo di successo dell’album, Boulevard of Broken Dreams, il brano si apre in maniera allegra e scanzonata, almeno dal punto di vista strumentale, ma la verità è ovviamente un’altra.

I trascinanti cori, e la voce di Armstrong in versione speaker, cantano infatti dello schierarsi contro ogni tipo di conflitto senza dimenticare il denaro e le menzogne che servono a coprire sangue e sporchi interessi. “I beg to dream and differ from the hollow lies/This is the dawning of the rest of our lives/On holiday”.

Boulevard of Broken Dreams: alzi la mano ancora una volta chi non l’ha mai sentita, canticchiata o strimpellata alla chitarra. La canzone è di stampo decisamente più acustico e malinconico rispetto alle altre tracce presenti nel disco e vede protagonista Jimmy, che comparirà effettivamente qualche canzone dopo. Il triste protagonista cammina lungo una strada solitaria e vuota, il viale dei sogni infrantiappunto. Una hit che è sempre un piacere riascoltare in poche parole, so già che la conoscete bene!

Are We the Waiting: la malinconia non lascia certo la penna di Armstrong, leader della band e autore di quasi tutti i testi del disco, ma qui i Green Day si lanciano in un brano che dire corale è poco! I cori del ritornello sono infatti degni della miglior partita da vedere allo stadio e fa anche capolino nuovamente il “Gesù della periferia”.

St. Jimmy: la canzone vera e propria che descrive Jimmy. Nervoso, paranoico e arrabbiato esattamente come il coinvolgente ritmo punkrock contenente sempre quella vena di amarezza che ha sempre distinto i testi dei Green Day.

Give Me Novacaine: dopo un’iniziale apertura in acustica ritorna l’elettricità, interrotta da momenti quasi lounge, a tutto volume al pari del cinismo. La “soluzione” qui cantata è la novocaina, un anestetico ad uso locale, usata per dare “un lungo bacio della buonanotte”.

She’s a Rebel: sonorità più tipiche dei Sum 41 assaltano l’ascoltatore cantando della bellezza distruttiva di questa ragazza ribelle. Chi ha detto che per essere immagini di salvezza debbano per forza essere delle santarelline? Particolarità del brano è il nominare la copertina del disco stesso con le seguenti parole she’s holding my heart like a handgranade.

Extraordinary Girl: altra ballad punk – rock che quasi cozza contro l’energia della traccia precedente, ma non manca certo di intensità e decisione.

Letterbomb: una voce femminile apre le danze cantando come non piaci a nessuno, ma la parte migliore arriva ovviamente dopo. La band parla infatti della loro disillusione e del nichilismo causati da disoccupazione, crollo di valori, menzogne. St. Jimmy e il Gesù della periferia sono dei parti dell’immaginazione e della mente malata che hanno solo contribuito a creare l’idiota americano. Una perfetta sintesi delle tematiche affrontate dall’album in poche parole!

Wake Me Up When September Ends: altro singolo di successo estratto dal disco. Sulle tristi note della chitarra acusticadi Armstrong si costruisce il resto del tappeto sonoro con la chitarra elettrico ed il ritmo dettato da basso e batteria particolarmente evidenziato nel ritornello.

Un brano molto triste e sentito scritto da Armstrong quando suo padre morì di cancro. Lo stesso titolo del brano, svegliami quando settembre è finito, è stata poi la frase pronunciata da Armstrong alla madre dopo il funerale.

Homecoming: nove e passa minuti lanciati a mille, cori forsennati e tanta ironia per un’altra piccola suite da godervi a tutto volume! Prestate poi particolare attenzione ai cori da stadio verso la fine, non ve ne pentirete.

Whatsername: altro brano in stile decisamente più “classico” per chiudere il disco in bellezza.

 

Giudizio sintetico: in molti l’hanno definito più commerciale rispetto agli standard della band, ma a mio avviso è un disco che si lascia ascoltare. I messaggi di fondo ci sono tutti e le musiche sono veramente orecchiabili. Rispolveratelo!

Copertina: una mano bianca su sfondo nero che regge un cuore a forma di bomba a mano

Etichetta: Reprise Records

Line Up: Billie Joe Armstrong (chitarre e voce), Mike Dirnt (basso e voce) e Tré Cool (batteria e voce)

 

— Onda Musicale

Tags: Green Day, Billie Joe Armstrong, Mike Dirnt, Tre Cool, Sum 41
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