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Standing On The Shoulder Of Giants: la gemma ritrovata degli Oasis

Oasis

Sembrano lontani i tempi in cui – per quanto concerne gli Oasis – si era soliti rendere degne di conversazione le sole pubblicazioni antecedenti all’anno che – più di tutti – si è presentato in veste di vero e proprio spartiacque rispetto alla loro produzione: il 2000.

Il discorso, insomma, sembrava arrestarsi a The Masterplan – nota raccolta di b-sides, firmata dai mancuniani –, in seguito al tramontare della ben nota golden age della band, avviata dal rilascio del celebre Definitely Maybe, trascurando de facto la parte minore della discografia dei Gallagher, la quale avrebbe meritato, forse, giudizi meno severi e avventati. Non è difficile, infatti, scovare online decine e decine di recensioni e commenti, relativi alla produzione post-Britpop, rei di consegnare un’immagine pressoché alterata di ciò che album come Standing On The Shoulder Of Giants abbiano potuto davvero rappresentare.

A proposito di quest’ultimo, infatti, il 2025 si è già distinto per l’azione di marketing avviata dai vari profili social della band – fresca di una attesissima live reunion, annunciata ad agosto scorso e al via nel mese di luglio –, riservando un piccolo spazio alla celebrazione dei 25 anni, appunto, dal rilascio del disco che avrebbe aperto alla produzione minore del loro catalogo. Celebrazione che, peraltro, ha permesso la ristampa in vinile del suddetto album, in edizione limitata, ma anche la ripubblicazione in alta definizione e con audio rimasterizzato – via YouTube – dei videoclip ufficiali che ne hanno accompagnato il naturale decorso.

Ma, in fin dei conti, cosa ci rimane di Standing On The Shoulder Of Giants?

È certo che gli Oasis non trovarono la nuova Wonderwall, ma furono perfettamente in grado di confezionare un prodotto più che dignitoso e godibile, tanto per i fan più accaniti che per gli ascoltatori occasionali. Il sound che fino a qualche anno prima aveva fatto la fortuna del movimento Britpop fu abbandonato, in favore di sonorità più inclini al semplice indie rock – e catalogabili, dunque, come tali –, ma senza chiudere la porta alle influenze che sin da principio ne avevano caratterizzato l’immaginario artistico: dal madchester degli Stone Roses (vedi Who Feels Love?), fino alle sonorità di marca tipicamente beatlesiana; l’uso del mellotron nella hit dimenticata Go Let It Out sembra, in tal senso, una vera e propria dichiarazione di intenti.

Ma è senz’altro la traccia di apertura (Fuckin’ in the Bushes) a mettere subito sull’attenti i non pochi detrattori, con un messaggio chiaro: la band di Manchester avrà anche cambiato qualche interprete – fuori Bonehead e Guigsy; dentro Gem Archer e Andy Bell dei Ride –, ma non ha certo perso lo smalto che, fino a quel momento, ne aveva connotato i numerosi successi. Il brano – ancora oggi ad aprire i live in solo del minore dei Gallagher –, infatti, è quantomai aggressivo, come pochi se ne sarebbero visti di lì a qualche tempo, ponendo, così, fine ai dubbi dei fan più scettici.

Gas Panic!, di seguito, segna il breve momento progressive della band, generalmente poco incline a contaminazioni simili

Mentre Where Did It All Go Wrong? ci consegna un Noel piuttosto ispirato dal punto di vista compositivo, seppur non memorabile come in passato. Il gran finale è affidato a Roll It Over, malinconico brano dalle piuttosto marcate venature floydiane, che ancora accende i ricordi dei fan più attenti, tanto da costringere Liam all’inserimento dello stesso entro la scaletta prevista per i propri concerti da solista. L’unico tasto dolente, invece, sembra essere rappresentato dalla melliflua tenerezza di Little James, scritta dal noto frontman di proprio pugno, con risultati che ancora oggi non convincerebbero del tutto neanche l’ascoltatore più affezionato.

Insomma, ciò che rimane di Standing On The Shoulder Of Giants è la pressoché precisa impressione di un disco di transizione necessaria, il quale avrebbe dovuto permettere ai mancuniani di abbracciare il nuovo millennio in maniera inedita, o quantomeno senza ricalcare direttamente i fasti dell’immediato passato. Era chiaro, inoltre, che la prolificità di Noel – in qualità di compositore e songwriter – fosse destinata a fare spazio a momenti di fisiologica stanca, che poco avevano in comune con i successi che permisero, a lui e a suoi compagni, l’ambito accesso ai riflettori di tutto il mondo. La recente rivalutazione di Standing On The Shoulder Of Giants – ritornato in classifica tra i dischi più venduti in UK –, d’altronde, è la prova della sua stessa validità: un disco giudicato troppo in fretta e destinato a cadere nel dimenticatoio, soprattutto in seguito all’uscita di un progetto dalla portata ben più ampia, vale a dire Kid A, firmato dai connazionali Radiohead.

La storia, dunque, era già stata scritta

Non rimaneva che cavalcare quanto sembrava rimanere dell’onda che i Gallagher in prima persona erano stati in grado di generare, agendo, in tal senso, con un prodotto senz’altro degno di ascolto, il quale avrebbe dovuto attendere 25 lunghi anni prima di essere riscoperto e rivalutato in maniera adeguata. Probabilmente anche per merito dello stesso Noel, il quale, com’è noto, non ha mai rilasciato una sola dichiarazione positiva rispetto ad esso, forse perché concepito in un periodo particolarmente difficile per il cantautore, denso di problemi personali e di divergenze che, non a caso, avrebbero condotto alla rivoluzione della lineup.

Ma, nonostante ciò, Standing On The Shoulder Of Giants continua ad assomigliare a una piccola gemma sperimentale, la quale, ancora oggi, si trova a dover lottare con i lavori più importanti e famosi della band, rivendicando una sua propria dignità, una sua propria autonomia.
Nel bene e nel male.

— Onda Musicale

Tags: Noel Gallagher, Liam Gallagher, Radiohead, mellotron
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