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Il Festival dell’Isola di Wight del 1970: un evento epocale tra musica e caos

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Festival isola di White

Il Festival dell’Isola di Wight del 1970, tenutosi dal 26 al 30 agosto ad Afton Down, sull’Isola di Wight in Inghilterra, è ricordato come uno dei più grandi raduni musicali della storia, un evento che ha segnato l’apice e, allo stesso tempo, il declino dell’era dei grandi festival della controcultura.

Con una partecipazione stimata tra 600.000 e 700.000 persone – un numero che superò persino Woodstock dell’anno precedente – il festival dell’Isola di Wight fu un trionfo artistico ma un disastro economico e organizzativo, lasciando un’eredità controversa ma indelebile nella storia della musica.

Gli organizzatori: i fratelli Foulk e Fiery Creations

Il Festival dell’Isola di Wight del 1970 fu ideato e organizzato dai fratelli Foulk – Ron, Ray e Bill – sotto la loro compagnia, Fiery Creations Limited. Dopo il successo delle edizioni precedenti (1968 e 1969), i Foulk ambivano a creare un evento che potesse competere con Woodstock, attirando i più grandi nomi della musica internazionale. Ron e Ray erano i principali promotori, mentre Bill contribuiva alla logistica e alla visione creativa. Ispirati dai grandi raduni americani come Monterey Pop e Woodstock, i Foulk volevano trasformare l’isola in un simbolo della controcultura europea, ma la loro ambizione si scontrò con una realtà caotica.

L’organizzazione fu tutt’altro che impeccabile

Il costo del biglietto (3 sterline per cinque giorni di musica) si rivelò insufficiente a coprire le spese, soprattutto perché molti spettatori entrarono senza pagare, scavalcando recinzioni o sfruttando la confusione. Inoltre, gli abitanti dell’isola, già ostili ai festival precedenti per il rumore e l’invasione di giovani “hippie”, protestarono vigorosamente. Il risultato fu un buco economico di 125.000 sterline, che portò Fiery Creations alla liquidazione e spinse il Parlamento britannico a emanare l’Isle of Wight County Council Act 1971, vietando raduni notturni di oltre 5.000 persone senza permessi speciali. Dopo il 1970, il festival non si tenne più fino alla sua rinascita nel 2002.

I partecipanti: una line-up leggendaria

Il vero cuore del Festival dell’Isola di Wight del 1970 fu la sua straordinaria line-up, che riunì alcuni dei più grandi artisti dell’epoca, molti dei quali al culmine della loro carriera o prossimi a momenti cruciali della loro vita.

  • Jimi Hendrix: la sua esibizione nella notte tra il 30 e il 31 agosto fu uno degli ultimi concerti della sua vita – morì meno di tre settimane dopo, il 18 settembre 1970. Hendrix suonò classici come “Purple Haze”, “Foxy Lady” e “Voodoo Child (Slight Return)”, oltre a brani inediti come “Dolly Dagger”, lasciando un’impronta indelebile davanti a un pubblico estasiato.
  • The Doors: con Jim Morrison alla voce, il gruppo si esibì il 29 agosto in quella che fu l’ultima apparizione europea della band con il suo leggendario frontman, morto meno di un anno dopo, nel luglio 1971. La performance fu intensa e cupa, con brani come “Light My Fire” e “The End”.
  • The Who: reduci dal successo di Tommy, gli Who offrirono uno show energico, con Pete Townshend e Roger Daltrey in gran forma. La loro esibizione fu immortalata nel documentario Message to Love.
  • Miles Davis: il trombettista jazz portò il suo innovativo jazz-rock, con un settetto che includeva futuri giganti come Keith Jarrett e Chick Corea. La sua performance fu un momento di sperimentazione che incantò un pubblico abituato al rock.
  • Joni Mitchell: nonostante un’interruzione da parte di contestatori, Joni Mitchell conquistò la folla con la sua voce cristallina e brani come “Woodstock” e “Big Yellow Taxi”. La sua esibizione sul palco divenne leggendaria.
  • Emerson, Lake & Palmer: al loro debutto ufficiale, il trio progressive rock stupì con un’esibizione teatrale e virtuosistica, segnando l’inizio della loro ascesa.
  • Leonard Cohen: salì sul palco alle 4 del mattino del 31 agosto, dopo Jimi Hendrix, e con la sua poesia e canzoni come “Suzanne” e “Famous Blue Raincoat” calmò una folla esausta ma entusiasta.
  • Joan Baez: icona del folk, portò messaggi di pace e speranza con la sua voce potente, placando le tensioni tra il pubblico.
  • Jethro Tull: guidati da Ian Anderson, offrirono una miscela unica di rock e folk, con il loro successo “Aqualung” ancora fase di gestazione.
  • Free: con Paul Rodgers alla voce, il gruppo eseguì la hit “All Right Now”, cementando il loro status nel rock britannico.
  • The Moody Blues: pionieri del progressive rock, incantarono con il loro sound orchestrale.
  • Chicago: portarono il loro jazz-rock americano, con fiati e ritmi contagiosi.
  • Ten Years After: la loro performance di “I’m Going Home” fu un’esplosione di energia blues-rock.
  • Donovan: il cantautore folk psichedelico offrì un set intimo e sognante.
  • Richie Havens: dopo aver aperto Woodstock, Havens tornò a emozionare con la sua voce soul e la sua chitarra ritmica.
  • Kris Kristofferson, John Sebastian, Melanie, Taste (con Rory Gallagher), Sly and the Family Stone, Procol Harum e molti altri completarono un cartellone eclettico che spaziava dal rock al folk, dal jazz al blues.

L’evento: tra utopia e disordine

Il festival si tenne in un’atmosfera di caos glorioso. Più di 600.000 persone si riversarono sull’isola, un numero ingestibile per le infrastrutture locali. Il vento forte compromise la qualità del suono, i servizi igienici erano insufficienti e la distribuzione di cibo e acqua era caotica. Una minoranza di contestatori, tra cui anarchici francesi e britannici, interruppe alcune esibizioni, accusando gli artisti di essersi “venduti” al sistema. Joni Mitchell, ad esempio, fu costretta a fermarsi per calmare il pubblico, mentre Kris Kristofferson abbandonò il palco frustrato.

Nonostante le difficoltà, il festival fu un’esperienza musicale irripetibile. Il regista Murray Lerner catturò l’evento nel documentario Message to Love: The Isle of Wight Festival (1996), che mostra sia i momenti di magia che il disordine dietro le quinte. Per molti, fu l’ultimo grande raduno della controcultura hippie, un’utopia che si sgretolò sotto il peso della sua stessa grandezza.

Il Festival dell’Isola di Wight del 1970 segnò la fine di un’era

Dopo il disastro economico e le proteste locali, i grandi raduni musicali di questo tipo persero slancio in Europa. Tuttavia, la sua rinascita nel 2002 come evento annuale dimostra la sua duratura influenza culturale. Per chi c’era, e per chi lo rivive attraverso filmati e racconti, rimane un simbolo di un’epoca in cui la musica poteva riunire oltre mezzo milione di persone in un’isola remota, tra sogni di pace e realtà di caos.

All’isola di Wight, e al Festival del 1969 in particolare, il cantante francese Michel Delpech dedicò la canzone Wight is Wight, della quale poi il gruppo musicale italiano Dik Dik incise la versione italiana, dal titolo L’Isola di Wight. È citato anche nella canzone Scusa Mary di Rino Gaetano.

— Onda Musicale

Tags: Joni Mitchell/Leonard Cohen/Jimi Hendrix/Joan Baez/Woodstock/Jethro Tull/Moody Blues/Procol Harum
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