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El Galactico, i Baustelle tornano e non sbagliano un colpo

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I Baustelle sono tornati con El Galactico, decimo album di inediti. A due anni da Elvis, la band di Montepulciano sembra aver ritrovato una certa regolarità nelle uscite e rinnova la svolta verso un sound chitarristico e Sixties.

Dopo la sbornia elettro-pop anni Ottanta dei due capitoli de L’Amore e la Violenza, il disco precedente aveva sancito il ritorno a un sound più analogico. El Galactico prosegue sulla falsariga, virando verso il suono Jingle-Jangle degli anni Sessanta. E del resto, anche l’estetica californiana e il titolo – suggerito a Francesco Bianconi da un locale milanese di taco – rema nella stessa direzione.

Ormai la ricetta Baustelle, una ricetta – va detto – che ha del miracoloso, è consolidata. Canzoni che vivono della dicotomia tra melodie e ritmi pop da canzonetta leggera e i testi, che spesso sono veri pugni allo stomaco. E il cantautorato sottile e raffinato per cui si era molte volte intravisto in Bianconi una sorta di nuovo De André? Quelli sembrano per ora appannaggio dei dischi solisti dell’autore. Negli album a titolo Baustelle se ne trovano pochi, distillati col contagocce.

L’apertura di El Galactico è affidata a Pesaro, brano che chiarisce da subito il sound del lavoro. L’attacco col tipico suono Rickenbacker tra Byrds e Buffalo Springfield è quanto di più Sixties si sia mai sentito tra le note di Bianconi e soci. Il ritornello è invece puro Baustelle style. Il testo, consueta straziante mistura di amore e dolore, pare sia stato scritto dopo la notizia della morte del padre di Bianconi, investito a Montepulciano.

Si passa a Spogliami, uno dei singoli anticipatori e tra i pezzi forti del disco. Fa un po’ strano ascoltare suoni perfettamente Jingle-Jangle da Byrds su una melodia tipica Baustelle. La cosa, però, funziona alla grande. Il ritornello è catchy al punto giusto e strizza l’occhio a un certo mondo pop anni Ottanta. Quello più appiccicoso e difficile da scacciare dalla mente.

Con Canzone Verde, Amore Tossico, i Baustelle – che non sono proprio adolescenti – prendono una salutare posizione sul cambiamento climatico. Il bersaglio è chiaro, i cosiddetti Boomer che se la prendono con la fragilità delle nuove generazioni. Le stesse a cui stanno consegnando un mondo a orologeria, condannato ai disastri del cambiamento climatico che loro hanno provocato.

Il testo è pieno di citazioni, come ci hanno abituato da sempre i Baustelle. Le immondizie musicali care a Battiato, per dirne una. Il sound, invece, ricorda i Rokes di Ma che colpa abbiamo noi, forse non a caso.

Filosofia di Moana propone di nuovo, stavolta con la voce di Rachele Bastreghi, il contrasto tra melodia allegra e leggera e un testo doloroso. Sono gli ultimi giorni di Moana Pozzi, quelli che vengono raccontati senza giudizio e con grande empatia. Così Bianconi ha descritto il processo creativo alla stampa:

Ci ha colpito questa sorta di espressione triste, il lavoro legato allo sfruttamento del piacere sessuale che conduceva con un’espressione sempre vagamente triste. Per cui già questo è, come dire, un motore di storie possibili. La canzone è stata scritta pur non sapendo nulla della biografia di Moana, non ho letto libri, non ho visto il film né la serie. Mi è bastato essere stato spettatore da ragazzino dei film porno, di alcuni film porno che ha fatto”

Una storia è uno dei pochi passaggi di El Galactico dove si rallentano i ritmi. E dove il testo piuttosto duro va a braccetto con l’incedere ben poco leggero del sound. La storia è attualissima e ancora rivolta ai giovani, con una pertinenza ammirevole. La storia del titolo è quella di una ragazza vittima di revenge porn. La melodia è straniante, di quelle che sembrano andare a parare da una parte e poi svicolano all’improvviso.

Forse Una Storia è il pezzo più difficile di El Galactico, da ascoltare più volte per entrare nel delicato mood. Un brano che, specie nel finale vagamente catartico, riporta ai Baustelle dei primi dischi. Una gemma, in ogni caso.

L’imitazione dell’amore, ancora puro sound Baustelle, dimostra la grande lucidità di Bianconi come autore. Francesco se la prende coi sentimenti un po’ troppo a buon mercato di certo pop. E, in modo geniale, lo fa proponendo un ritornello che riecheggia quasi i Ricchi e Poveri, combattendo – in un certo senso – il bersaglio della canzone con le stesse armi.

Gli uomini non accettano che la vita li faccia piangere/Crollerebbero se capissero il senso sono comunque versi notevoli per una canzone pop. Per dire.

L’arte di lasciar andare, terzo singolo, è di nuovo un pezzo killer come Spogliami. Bellissime le chitarre californiane che aprono il brano e sia strofa che ritornello propongono melodie del tutto baustelliane. Un miracolo che, dopo più di vent’anni, i ragazzi di Montepulciano riescano a produrre una canzone che sgomita per entrare tra le migliori del repertorio.

Il testo va ancora a rovistare nel mal di vivere, nelle fragilità dei mortali, proponendo come soluzione l’arte di lasciar andare. Un po’ quella leggerezza invocata da Italo Calvino nella famosa citazione usata quasi sempre a sproposito sui social:

“Esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste […] una leggerezza della frivolezza: anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.”

Non è quella che vi ricordavate? Ah, sì, quella è falsa.

Giulia come stai attacca con una chitarra alla Creedence Clearwater Revival, poi si avvinghia a un pre-chorus che riecheggia la mitica It’s all over now, baby blue di Dylan e si apre in un ritornello che è Baustelle al 100%. Il testo è vagamente psichedelico e nostalgico di altre vite, ma la suggestione è tale che finisce per essere quasi commovente.

C’è ancora spazio per la fenomenale Lanzarote e per La Nebbia.
La prima è cantata da Rachele e mescola un testo quantomai attuale su influencer, guerra e vuoto pneumatico di una certa società. Il ritmo sostenutissimo si regge sul basso pulsante e archi da discomusic anni Ottanta, quasi una Raffaella Carrà pompata e autorale. In ogni caso, irresistibile.

La Nebbia è invece l’unica incursione nel Bianconi solista e d’autore, quasi una versione più ottimista di L’Abisso, canzone meravigliosa quanto cupa. L’ennesima riflessione di Bianconi sull’insensatezza della vita, retta da pianoforte e archi. L’ennesimo capolavoro.

Il disco si chiude con Non è la fine, brano strumentale che fa il paio con la precedente Per Sempre. Se la prima cita Morricone, questa pare pescata dalle librerie musicali delle colonne sonore anni Sessanta dei B Movie, tra Umiliani, Piccioni e tanti altri maestri dimenticati.

El Galactico si chiude con la certezza che i Baustelle non sbagliano un colpo. Forse, dopo Fantasma, hanno abbassato le pretese e non cercano più il disco capace di riscrivere la storia della musica, e forse è meglio così. Se dessimo voti, o semplicemente i numeri, sarebbe un bell’otto pieno. Ma, visto che non lo facciamo, ci limitiamo a una promozione piena e a consigliarvi El Galactico.

Se non altro, per smentire chi ancora va dicendo che la musica di qualità non esiste più e ascolta solo quello che passa in radio nel tragitto tra casa e ufficio.

— Onda Musicale

Tags: Baustelle, Elvis
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