Già nell’articolo dedicato a “Face To Face” avevo ricordato come, per lungo tempo, i Kinks fossero stati un gruppo ampiamente sottostimato, di come i loro album più memorabili fossero andati incontro a grandi flop.
Il capolavoro dei Kinks del 1968, “Village Green Preservation Society”, fu un flop più dei precedenti LP a causa dell’intrecciarsi di una serie di fattori concomitanti. In primis la difficile trattativa con la Pye Records circa le dimensioni del prodotto da vendere (singolo disco o doppio disco): abortita l’idea di un doppio album a 20 tracce, la casa discografica fece pressioni per la pubblicazione di un singolo album a dodici tracce (dalla scaletta del futuro album britannico – a 15 tracce – restavano escluse “Last of the Steam-Powered Trains”, “Big Sky”, “Sitting by the Riverside”, “Animal Farm” and “All of My Friends Were There”; “Mr. Songbird” e “Days” venivano invece incluse in sostituzione).
Il “Village Green” a 12 tracce (Stereo) venne distribuito sul mercato europeo (Italia inclusa) dal settembre 1968, ma Ray Davies – ritenendo che fosse un prodotto incompleto e quindi non all’altezza delle sue intenzioni – ne bloccò ogni ulteriore diffusione. A Novembre, in concomitanza con l’uscita – lo stesso giorno – del White Album, uscì il “Village Green” a 15 tracce (Mono). Una simile concorrenza, cioè il Doppio Bianco, aiuta in parte a spiegare il perché questo straordinario disco soffrì parecchio nelle performances di vendita.
Altro motivo che contribuì a determinare il flop dell’album dei Kinks fu la sua coloritura fortemente inglese (la sua “inglesità”, se così si può tradurre l’originale “englishness”). Il Village Green – nucleo del progetto discografico concepito per “Something Else” già nel novembre 1966 e cuore del titolo dell’opera stessa – tradizionalmente è uno spazio comune all’interno di insediamenti rurali, anticamente utilizzato per il bestiame e successivamente divenuto un’area dove la popolazione locale si potesse incontrare in occasioni festive. La realtà rurale del Village Green spesso è stata assorbita nell’espansione delle grandi città, ma sopravvive ancora in diverse zone dell’Inghilterra.
Nella visione di Ray Davies la cittadina di campagna diventa un’oasi di pace dove rifugiarsi per sfuggire alla pressione e alla follia del mondo circostante, soprattutto quello discografico, e riprendere il controllo sulla propria vita dandole respiro ed armonia (significativi sono alcuni versi della magnifica e luminosa “Animal Farm”: «This world is big and wild and half insane / Take me where real animals are playing / Just a dirty old shack / Where the hound dogs bark / That we called our home / I want to be back there»).
La libertà che Davies riesce a riconquistare nel Village Green, trova libero sfogo anche nella scanzonatezza gustosa di “Picture Book”, carrellata dei migliori ricordi (fotografici) che una persona possa desiderare (sempre che le foto non siano l’unico modo per testimoniare a se stessi – e agli altri – che si esiste, vedi “People Take Pictures Of Each Other”), nonché nella vastità del cielo («When I feel that the world is too much for me / I think of the big sky, and nothing matters much to me»– “Big Sky”).
I ricordi, e quindi la nostalgia per una bellezza del tempo passato che si può rivivere solo in essi, affiorano anche in “Sitting By The Riverside”, dove la fisarmonica contribuisce a far immaginare un piacevole momento trascorso lungo il fiume (da bambino Davies si dedicò spesso alla pesca): personalmente mi immagino una bella festa tipicamente estiva, con le inconfondibili luminarie appese agli alberi, tra cui i famosi salici.
“All Of My Friends Were There” sembra collegarsi a quest’ultima, quando descrive un momento di pubblico imbarazzo in parte compensato dall’aver alzato il gomito («I drank too much beer»). Nota positiva, ed è ciò che conta, è il fatto che il protagonista è in compagnia di chi conta veramente, dei veri grandi amici («Not just my friends, but their best friends too»).
Nel meraviglioso mondo del Village Green trovano posto anche personaggi immaginari, come il motociclista ribelle Johnny Thunder (ispirato a Marlon Brando) e la prostituta Monica, e fantastici, come il “Phenomenal Cat” e la sinistra ed inquietante strega “Wicked Annabella”.
Già da questa sommaria rassegna dell’opera ci si può chiaramente rendere conto di come questo capolavoro dei Kinks sia una meravigliosa anomalia nel panorama musicale di un anno memorabile: il suo essere fuori dal tempo guardando al tempo passato lo rende un gioiello ancor oggi attuale e che i decenni trascorsi hanno degnamente risarcito e riconosciuto nella sua grandezza (nonostante la rivista Rolling Stone lo collochi ad un non esaltante 255° posto su 500 album).