Nella seconda metà degli anni ’70, in previsione della nascita della figlia Luisa Vittoria De André (detta Luvi), Fabrizio si stabilisce nella tenuta sarda dell’Agnata, in Gallura, a due passi da Tempio Pausania, insieme a sua moglie Dori Ghezzi.
La sera del 27 agosto 1979, la coppia è rapita dall’anonima sequestri sarda e tenuta prigioniera alle pendici del Monte Lerno presso Pattada, per essere liberata dopo quattro mesi (Dori fu liberata il 21 dicembre alle undici di sera, Fabrizio il 22 alle due di notte, tre ore dopo), dietro il versamento del riscatto, di circa 550 milioni di lire, in buona parte pagato dal padre Giuseppe.
Prima, durante e dopo il sequestro, alcuni giornali fanno uscire illazioni e falsità, talune che legano il rapimento perfino alle Brigate Rosse, a motivi personali (come un allontanamento volontario, causa mancanza di notizie e testimoni nei primi tempi), a uno sfondo politico. Proprio l’anno del sequestro, comunque, termina la nota sorveglianza dei servizi segreti ai danni di De André.
Intervistato all’indomani della liberazione (il 23 dicembre in casa del fratello Mauro) da uno stuolo di giornalisti, Fabrizio De André traccia un racconto pacato dell’esperienza (« […] ci consentivano, a volte, di rimanere a lungo slegati e senza bende») ed ha parole di pietà per i suoi carcerieri («Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai»).
Pochi mesi dopo De André cede al settimanale Gente i diritti per la pubblicazione del memoriale del sequestro, pubblicato in cinque puntate a partire dal numero dell’8 febbraio 1980 e nei numeri successivi.
L’esperienza del sequestro si aggiunge al già consolidato contatto con la realtà e con la vita della gente sarda, e diventa ispirazione per la realizzazione di diverse canzoni, scritte ancora con Bubola e raccolte in un album senza titolo, pubblicato nel 1981, comunemente conosciuto come L’indiano dall’immagine di copertina che raffigura un nativo americano. Il filo che lega i vari brani è il parallelismo tra il popolo dei pellerossa e quello sardo. Oltre alla narrazione di questi due popoli sono presenti anche spunti all’attualità del periodo (Se ti tagliassero a pezzetti – un inno alla libertà personificata, il cui verso “signora libertà signorina fantasia” spesso venne modificato dal vivo in “signora libertà signorina anarchia” – contiene un’allusione alla strage di Bologna del 1980).
Sottili, ma non velate, sono le allusioni all’esperienza del sequestro: dalla stessa ripresa della locuzione “Hotel Supramonte” (nome in codice usato dai banditi, anche se in effetti non si trovavano sul Supramonte), alla descrizione degli improvvisati banditi (presente in Franziska) ai quali, comunque, non intende negare note di un certo romanticismo e una connotazione di proletariato periferico che meritava attenzione, coerentemente con le sue tematiche privilegiate. Al processo, Fabrizio De André conferma il perdono per i suoi carcerieri (circa dieci), ma non per i mandanti perché persone economicamente agiate.
Il cantautore e suo padre non si costituiscono nemmeno parte civile contro gli autori materiali del sequestro, ma solo, in primo grado, contro i soli capi della banda, tra cui erano un veterinario toscano e un assessore comunale sardo del PCI (che durante il sequestro a volte discuteva di politica con De André stesso), che però, avranno paradossalmente pene molto più basse di quelle degli esecutori grazie alla legge sulla “collaborazione di giustizia“.
Nel 1991 De André è anche tra i firmatari della domanda di grazia rivolta al Presidente della Repubblica, nei confronti di uno dei sequestratori, un pastore sardo condannato a 25 anni di prigione.