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Merry Xmas, l’ultima (geniale) bizzarria di Eric Clapton

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Dopo tanti, tantissimi, capolavori, qualche perla sparsa nel tempo e talvolta anche dischi abbastanza piatti o addirittura di cattivo gusto, la parabola di Slowhand sembrava essere giunta al termine con quello che, per molti, avrebbe rappresentato il suo ultimo disco: I Still Do

A quanto pare non è stato così e sin dall’agosto scorso, quando iniziarono a circolare le voci su un possibile nuovo album di questo signore che per secondo nome ha God (Dio), i pareri su una nuova produzione discografica hanno suscitato non poche chiacchiere.

Non tanto per il fatto che Clapton non rinunci a fare musica (nonostante i suoi problemi fisici), del resto, le ultime date live e lo stesso I Still Do hanno già mostrato un Clapton che “lo fa ancora”, pur non avendo più lo smalto dei tempi migliori. Le perplessità sono scaturite più che altro dalla natura stessa del disco. Si, perché questa volta Clapton ha stupito tutti, o ha dato conferme a chi lo dava da diversi anni per “bollito” (per usare un eufemismo), dichiarando la volontà di pubblicare un disco di canzoni natalizie. Ora, Clapton non è nuovo a uscite apparentemente infelici, copertine grossolane e stravaganti che mi hanno fatto porre più volte qualche domanda sulla sua sanità mentale, oppure dischi inascoltabili ma salvati da quel vibrato che ti fa credere nell’esistenza di Dio.

Tuttavia, quando ti chiami Eric Clapton e tiri fuori un disco di natale, più di una domanda poco carina nei tuoi confronti la muovi. E le domande saranno tutto fuorché generose, soprattutto di fronte a un disco di natale che esce a più di due mesi dal natale stesso, in uno degli autunni più caldi degli ultimi cinquant’anni, e quando il videoclip promozionale ti mostri – signori, parliamo di Eric Clapton – indossando un abito da Santa Claus!

Ad ogni modo, ora che ci avviciniamo alle festività natalizie e che sembra essere il momento giusto per parlarne, vediamo un po’ di fare un resoconto di questo Happy Xmas. La domanda su cui dovrà vertere la riflessione è: si tratta ancora di un disco di Eric Clapton, o è soltanto di una buffonata pensata per fini commerciali di una leggenda della chitarra lontana ormai anni luce dal Derek dei primi Settanta, quello che girava in bus con una bottiglia di Jack Daniel’s e una strato nera?

In generale, l’idea che dà un artista quando incide un disco di canzoni natalizie, è quella di non avere più un bel niente da dire. Clapton sembra motivare bene il suo desiderio di pubblicarne uno, alludendo a grandi del passato che, proprio in canzoni di Natale, hanno alcuni dei loro più grandi capolavori. Ma non voglio farmi prendere dalle sue dichiarazioni e dall’affetto – quasi fraterno – che nutro verso questo artista, per questo terrò conto del solo strumento “oggettivo” per una critica costruttiva: l’ascolto.

Il disco si apre subito con quella che potrebbe essere una risposta a tale domanda, ma non facciamoci prendere dall’entusiasmo! “White Christmas” è un bluesaccio di quelli che tanto piacciono al buon Eric, e sentire un suo disco iniziare con una chitarra dal suono diretto e potente non può che riportare la memoria a cose eccelse come “From The Cradle”. Il suono della chitarra è un richiamo al periodo migliore di Slowhand, quello con i “Derek and the Dominos”. Infatti, da quanto ci è dato sapere, alcune canzoni sono state registrate live, senza sovraincisioni, utilizzando il minimo e indispensabile, con un piccolo amplificatore a valvole (stile Fender Champ).

La prima traccia è una di queste, e il suono della chitarra che esplode dai piccoli coni e dalle valvole saturate, insieme a un’interpretazione vocale calda e confortevole, regalano un clima di complicità con un ascoltatore affezionato a certe sonorità. La linea del disco sembra essere chiara fin a subito: Happy Xmas è certamente un disco di canzoni di Natale, ma arrangiate nuovamente da Clapton e dal produttore Irving Berlin, in una veste più bluesy.

La seconda traccia, “Away in a Manager (Once In Royal David’s City)”, un pezzo tradizionale che racconta eventi relativi alla natività, costituisce senza dubbio una delle parti migliori dell’intero disco. Clapton suona principalmente in acustico qui, un ambito in cui andare a colpo sicuro, anche in questo caso. La canzone è molto intima e l’intreccio vocale con i cori è ben riuscito, soprattutto grazie a un mixaggio ottimale di tutti gli elementi. Bel pezzo. 

Proseguendo si incontra “For Love On Chrismas Day”,  una delle poche canzoni inedite di un disco costituto prevalentemente da classici. Non è un pezzo che morde, come tutti quelli in cui Eric vuole essere più cantante e meno chitarrista, ma non c’è male, c’è certamente di peggio. La traccia successiva, per fare un esempio. “Everyday Will Be Like a Holyday” è una canzone che mi suscita sensazioni contrastanti. Inizia più che bene, tornando ad esplorale sonorità care a Eric, un vero peccato, poiché se più curata avrebbe potuto essere collocata perfettamente in dischi come 461 Ocean Boulevard o Beckless. Tuttavia, quello che non funziona è proprio la poca cura di troppi elementi che invece rendevano tali dischi dei piccoli capolavori.

Il canto prima di tutto, man mano che si sale di tonalità la voce di Clapton sembra inadeguata e in alcuni punti pare strillare per giungere alla nota desiderata. Inoltre, i cori non aiutano, anzi… rendono il pezzo solo più confusionario. La canzone, poco dopo la metà della sua durata, sembra crollare su se stessa, con un cambio di ritmo che non spinge da nessuna parte il pezzo con fraseggi di chitarra approssimati e che sembrano essere messi lì per caso.

Fortunatamente, appena conclusa la traccia, si torna in territori più amichevoli. “Christmas Tears” è un classico blues in dodici battute. Funziona tutto: l’interpretazione canora, la band, i cori, ma soprattutto la chitarra. Superfluo dirlo ma mai abbastanza, chi compra un disco di Eric Clapton lo fa per sentire la sua chitarra, e quando la tira fuori, quando si sentono gli sprazzi di Dio, ti prende nella pancia e ti strappa un applauso di tre ore che credi nulla possa interrompere (soprattutto per come si chiude il pezzo, “Clapton is God!!!”, non lo avevo ancora detto, scusate).

Dopo aver riascoltato per tre volte “Christmas Tears” si può passare alla traccia successiva, altro bel pezzo. “Home for the Holydays”si apre con una bella chitarra acustica alla Reptile, è una bella ballad in cui pian piano subentrano in modo equilibrato tutti gli elementi della band. La canzone ha un’anima soul che ti entra dentro e la rende uno dei momenti più piacevoli del disco, non un capolavoro ma lascia un senso di benessere.

A questo punto dell’ascolto probabilmente il giudizio è già dato, un bel disco, con atmosfere certamente natalizie, ma mai eccessivamente imbellettato per tal scopo. La traccia successiva ha un nome ben noto al grande pubblico: “Jingle Bells”, non nego la mia curiosità su questo pezzo. Accanto al titolo della canzone c’è riportata un’annotazione, “in memory of Avicii” (Giovane dj morto la primavera scorsa). Nobile l’intento, meno (molto, molto, molto meno) la riuscita. Dopo nemmeno un paio di secondi ogni schema è già saltato, i come e i perché lasciano spazio al disorientamento totale.

Non c’è nulla della celeberrima canzone, se non il tema della stessa appena accennato. Un pezzo di musica da discoteca in un disco blues, non c’è bisogno di commentare oltre… Tra i suoi mille difetti, questa traccia ha anche quello di restare nella mente dopo pochi secondi, soprattutto il riff di chitarra ossessivo ripetuto all’infinito. Si teme di non riuscire a dimenticarla per tutta la durata del disco. Perché lo fai Eric? Dimmi, perché?

Dopo questa “strage degli innocenti” prenatale, si spera in qualcosa che dia in qualche modo sollievo, altro che Avvento… Fortunatamente la canzone successiva, “Christmas In My Hometown”, uno standard del country-blues tradizionale (originariamente scritto da Sonny James) ha tutto un altro sapore. Si torna in acustico e anche questa volta si va sul sicuro, con slide, armonica e una voce umana degna di questo nome. Gran bel pezzo, deve essersene accorto anche lui, quel pasticcione di Slowhand, che sul finire della traccia ripete per tre volte un “one more” di soddisfazione. Pace fatta, o quasi. “It’s Christmas” è un classic rock tipico del Clapton dei primi Duemila, quello di One More Car One More Rider, e porta con sé tutti gli elementi migliori di quel periodo. È una canzone che morde – finalmente – senza grandi assolo di chitarra, bella la ritmica in levare, ti prende sin dal primo ascolto e fa dimenticare gli orrori di qualche minuto prima.

Sentimental Moment” è la canzone con l’atmosfera più natalizia tra quelle viste fino a ora. Non esalta, ma ha un suo perché se ascoltata accanto al camino con una cioccolata calda tra le mani (mai avrei pensato di scriverlo per un disco di Clapton). Uno dei momenti migliori è rappresentato dalla traccia successiva, in cui, già dal titolo, si capisce che si stia per tornare in territori blues. “Lonesome Christmas” è un gran bel pezzo, un classico shuffle blues in cui Eric tira fuori – che novità!! – il meglio di sé. Il primo solo di chitarra è da scuola, dovrebbero farlo studiare a tutti i chitarristi, con dei bicordi semplici ma di grandissimo effetto, la ritmica e i fraseggi sono eseguiti in modo magistrale. A fine canzoni ti chiedi il perché Clapton debba complicarsi la vita con strane e rocambolesche trovate quando è nelle semplicità delle dodici battute che si esprime al meglio, “lo fa ancora”!!!

C’è spazio ora per un altro grande classico della tradizione natalizia: “Silent Night”. Si propone una versione particolare, (stavolta) rispettosa della tradizione, ma poco affascinante. Ci si limita a un canto e controcanto di questi famosissimi versi, senza infamia, senza lode. Lode che arriva, di nuovo, nell’ennesimo standard blues: “Merry Christmas Baby”, gran bella performance canora ma soprattutto chitarristica, la migliore del disco. Il sound della chitarra è notevole, semplice, diretto, anche qui si intravedono gli sprazzi di Dio soprattutto in quei bending tiratissimi che suonano come una firma d’autore.

Ottimo anche il fraseggio di Doyle Bramhall II, ma quando Clapton sale in cattedra non c’è spalla che tenga, così come era ai tempi di Just One Night con il funambolico Albert Lee ad accompagnarlo. L’ascolto si conclude nel modo migliore tra quelli auspicabili “Have Yourself a Merry Little Christmas” è un blues raffinato e di gran classe. Torna il sound della stratocaster, meno presente in questo disco, con un fraseggio molto rilassato e ridotto al minimo, ed è un buon modo per concludere un ascolto, forse troppo prevenuto, ma tutto sommato piacevole.

Merry Xmas per certi aspetti è un ottimo disco, torna – dopo diversi lavori in cui aveva messo da parte questo aspetto – il blues nella sua accezione più pura e, di conseguenza, una chitarra protagonista come è giusto che sia per un artista come Clapton. Peccato per quelle cadute di stile, di cui si è ampiamente detto, e per alcune tracce un po’ piatte . Nel complesso si tratta di un buon lavoro, con troppo scarto rispetto al precedente I Still Do. Alla domanda iniziale dunque non posso non rispondere positivamente, si tratta – a tutti gli effetti – di un disco del leggendario chitarrista britannico, e non di una trovata meramente commerciale da mettere sotto l’albero di Natale.

Un consiglio però, comprate il disco, ascoltatelo per bene, ma cancellate tutta l’immondizia di alcune tracce dalla playlist o da mettere in macchina o sul telefono. In quel modo vi godrete al meglio un ottimo disco blues, senza dover bestemmiare qualche santo in paradiso, del resto, a Natale si è tutti più buoni. 

 

Matteo Palombi – Onda Musicale

 

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Tags: Chitarra/Eric Clapton/Natale/Rock/Blues/Slowhand/Matteo Palombi
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